Un
articolo apparso di recente sul
New York Times ha portato alla ribalta un tema piuttosto delicato e diffuso:
la convivenza! “Ho trascorso più tempo ad organizzare il mio matrimonio che non
ad essere felicemente sposata”: comincia così il racconto di Jennifer (il nome
è inventato), una donna di 32 anni alla sua psicologa clinica Meg Jay
dell’Università della Virginia, autrice dell’articolo sul quotidiano americano.
La donna (che aveva già alle spalle il fallimento del matrimonio dei suoi
genitori) confida alla psicologa di aver convissuto per più di 4 anni, prima di
sposare quello che sarebbe diventato il futuro marito e di aver iniziato dopo
la terapia anche la ricerca di un avvocato divorzista. Incredula si chiede:
“Com’è potuto accadere?”
Nel
1960 negli Stati Uniti le coppie conviventi erano 450.000, mentre oggi il loro
numero è aumentato vertiginosamente, fino ad arrivare a più di 7,5 milioni. Si
calcola, inoltre, che più della metà dei matrimoni siano preceduti da
convivenza. Oltre ai motivi più disparati che vengono enumerati, quali: la
rivoluzione sessuale, la pianificazione delle nascite, i vantaggi di ordine
economico, riguardanti la suddivisione di spese e bollette, un’ulteriore
motivazione additata dai 2/3 dei giovani americani punta sulla convivenza come
una forma di “prevenzione” del divorzio. Ciò emerge dai dati di un
sondaggio nazionale del 2001, a cura del National Marriage Project.Attualmente, però, gli studi dei ricercatori vanno nel senso propriamente opposto e l’esperienza degli sposi va a falsificare le convinzioni dei ragazzi americani. Dalle pagine dell’autorevole quotidiano statunitense si evince che “le coppie che convivono prima del matrimonio (e soprattutto prima di un fidanzamento o di un impegno chiaro), tendono ad essere meno soddisfatte del loro matrimonio e hanno più probabilità di divorziare rispetto alle coppie che non lo fanno”. I ricercatori precisano che non sono le caratteristiche individuali come l’istruzione, la religione o le idee politiche a compromettere la convivenza (“effetto negativo”), ma alcuni dei rischi sono insiti nella convivenza stessa.
Il Pontificio Consiglio per la Famiglia, nel suo Documento “Famiglia, matrimonio e ‘unioni di fatto’”, mette a confronto matrimonio e convivenza, chiarendo che: «la comunità familiare nasce dal patto d’alleanza dei coniugi. Il matrimonio che sorge da questo patto d’amore coniugale non è una creazione del potere pubblico, bensì un’istituzione naturale e originaria che lo precede. Nelle unioni di fatto, al contrario, si mette in comune l’affetto reciproco, ma allo stesso tempo manca quel vincolo coniugale di natura pubblica e originaria che fonda la famiglia. Famiglia e vita formano un’unità che deve essere protetta dalla società, in quanto si tratta del nucleo vivente della successione (procreazione ed educazione) delle generazioni umane» (n. 9).
Quando la psicologa domanda a Jennifer: ”Come siete arrivati alla convivenza?” lei risponde: “Ci siamo scivolati dentro, è successo. Stavamo un po’ da lui un po’ da me, ci piaceva stare insieme ed era più conveniente dividere le spese”. I ricercatori definiscono questo modus operandi come uno “scorrere, uno scivolare dentro”, anziché “decidere”. Nel Documento si legge ancora: «Le unioni di fatto non comportano diritti e doveri matrimoniali, né pretendono una stabilità basata sul vincolo matrimoniale. Si distinguono per la ferma rivendicazione di non implicare alcun vincolo. L’instabilità costante, dovuta alla possibilità di interrompere la vita in comune è, di conseguenza, caratteristica delle unioni di fatto» (n.4). Invece, «con il matrimonio si assumono pubblicamente, mediante il patto d’amore coniugale, tutte le responsabilità che derivano dal vincolo così stabilito. Da questa assunzione pubblica di responsabilità risulta un bene non solo per i coniugi e i figli nella loro crescita affettiva e formativa, bensì anche per gli altri membri della famiglia. La famiglia fondata sul matrimonio è così un bene fondamentale e prezioso per l’intera società, le cui fondamenta riposano solidamente sui valori che si concretizzano nei rapporti familiari e che trova la propria garanzia nel matrimonio stabile». (Pontificio Consiglio per la Famiglia, “Famiglia, matrimonio e ‘unioni di fatto’“, 2).
Pertanto la convivenza diventa, talvolta, la via di fuga dinanzi a scelte più convenienti (la suddivisione delle spese) oppure include il rimando o la mancata assunzione di vincoli e responsabilità. In un’epoca in cui dilagano edonismo e relativismo, il “per sempre” come categoria temporale incute sempre più timore e viene demonizzato, sostituito dal più semplice “forse” o dallo “stare insieme, finchè dura”. Decidere di scommettere tutta la propria vita sull’altro, di impegnarsi seriamente nel presente e nel futuro dell’eternità dell’amore mira a costruire orizzonti stabili al comune progetto di vita a due, a ricoprirlo di valenza giuridico-sociale e ad arricchire l’amore di significato e pienezza di senso.
(Fonte:
Anna Paola Borrelli, UCCR, 8 maggio 2012)
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