Per
avere successo bisogna parlare male del Vaticano. Sembra infatti assodato che
per ottenere un riscontro di pubblico in un’opera di fantasia — ma anche nei
media — non si possa trattare delle cose d’Oltretevere senza dover tirare in
ballo oscuri misteri, trame sotterranee, segreti inenarrabili. Senza, insomma,
dover ricorrere allo scandalo, al pruriginoso, o comunque all’ipotesi
sensazionalistica. Eppure è possibile trattare l’argomento con un altro
sguardo, libero da preconcetti, da strumentali stereotipi, da volontà
denigratoria a tutti i costi, e cogliere comunque nel segno: ovvero attirare
l’attenzione dello spettatore e divertirlo senza ferire alcuna sensibilità. Lo
dimostra 100 metri dal Paradiso che infatti parla del Vaticano in modo leggero,
senza rinunciare al gusto della battuta salace al limite del dissacrante, ma
sempre con rispetto.
Dunque
niente codici antichi, niente angeli e demoni (peraltro avvincenti), niente
missioni impossibili all’ombra del Cupolone, ma nemmeno torbide manovre di
palazzo che tanto piacciono ai giornali, ma solo una trovata tanto improbabile
quanto irresistibile: un monsignore che vuole portare una squadra con i colori
vaticani nientemeno che alle olimpiadi di Londra. Altro che Clericus Cup.Tra improbabili ambientazioni e l’immancabile presenza di Guardie Svizzere disseminate senza risparmio un po’ dovunque — ma che fanno tanto Vaticano — la commedia di Raffaele Verzillo è così ingenuamente inverosimile da potersi permettere di inventare senza apparire irritante o irriverente. Anzi, preso atto dell’idea fantasiosa che lo ispira e delle semplificazioni che ne derivano, il film riesce ad apparire persino verosimile in alcuni aspetti, nonostante qualche benevola caricatura, che tuttavia non guasta.
Ed è credibile, malgrado la mancanza di approfondimenti psicologici, soprattutto in alcuni personaggi. Come monsignor Angelo Paolini — dove è adombrato un immaginario segretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali — che non è presentato nei panni del carrierista di curia nonostante il ruolo, ma come un prete normale, umanissimo, che vuole soltanto svecchiare il modo in cui la Chiesa entra in rapporto con il mondo, soprattutto con i giovani. E che prende troppo alla lettera l’indicazione di un superiore a non arrendersi di fronte a una difficoltà apparentemente insormontabile, creando qualche imbarazzo.
Un peccato veniale per un fine più alto: attirare attraverso lo sport l’attenzione del mondo sul Vaticano, anzi sulla Chiesa e sul suo messaggio, per trarne non tanto un beneficio d’immagine quanto un ritorno in termini di solidarietà concreta.
Ma c’è anche padre Rocco, parroco di strada come si definisce egli stesso, che prima di diventare sacerdote era un campione di scherma, e che oggi apre la sua chiesa anche di notte ai ragazzi del quartiere di Napoli in cui opera per tenerli insieme, per allontanarli da alcol, droga e criminalità. E non mancano i missionari, impegnati nel mondo a portare Dio agli uomini, insieme agli aiuti di una Chiesa vicina e sollecita verso chi è nel bisogno. Una Chiesa che sta in mezzo alla gente, che si sporca le mani.
Il film 100 metri dal Paradiso riesce insomma a parlare, sorridendo con levità, di buoni sentimenti, di riscatto, speranza, vocazione. E di Vaticano, con ironica simpatia.
(Fonte:
Gaetano Vallini, ©L'Osservatore Romano, 10 maggio 2012)
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