Il
Papa ha recentemente inviato una Lettera all’Episcopato tedesco con
la quale ordina che l’espressione “per tutti” attualmente presente nel Messale
tra le parole della Consacrazione Eucaristica, venga mutata in “per molti”,
perché, dice il Pontefice, questa è la traduzione esatta del testo greco
originale del Vangelo.
Sappiamo
come per molti secoli la Chiesa abbia usato la cosiddetta “Vulgata” latina,
ossia la traduzione di S. Girolamo, la quale ha “pro multis”. Questa
espressione, fraintesa, dette occasione all’eresia di Calvino, il quale credeva
che Cristo non fosse morto per tutti ma solo per “molti” o addirittura, come
lui credeva, per “pochi”, quelli che egli chiamava, abusando di un’espressione
biblica, gli “eletti”.Sappiamo come in Calvino, in ciò precorso da Lutero, esiste una doppia “predestinazione”: alcuni sono da Dio predestinati al paradiso, altri all’inferno. Da Dio viene tanto il bene quanto il male, tanto la grazia quanto il peccato.
Il Concilio di Quierzy dell’853 aveva già affrontato e risolto questo problema della predestinazione insegnando che essa, ben intesa, esiste come volontà salvifica di Dio, per cui Egli manda in paradiso, ma non manda nessuno all’inferno. Ognuno raggiunge quel destino eterno che corrisponde alle proprie opere: chi opera il bene va in paradiso, chi opera il male va all’inferno. Senonchè però, siccome è Cristo che salva con la sua grazia, chi si salva si salva perché il Padre lo salva, ossia lo predestina alla salvezza, mentre chi si danna si danna solo per colpa sua.
Gettando ulteriore luce su questo mistero, il Concilio di Trento dirà contro Lutero che negava i meriti della salvezza: l’uomo può e deve meritare il paradiso con le buone opere, ma questi stessi meriti, che egli si procura vivendo in grazia di Dio, sono a loro volta dono di Dio. Quindi Dio è la causa prima della salvezza. Mentre la dannazione è esclusivamente frutto dei meriti del peccato, atto esclusivo del peccatore, nel quale Dio non c’entra assolutamente nulla. Quindi il dannarsi dipende esclusivamente dal peccatore.
La Chiesa prese occasione dal Concilio di Quierzy per condannare la dottrina, definita “orribile”, di un certo monaco di nome Godescalco (Gottschalk), il quale invece già allora sosteneva che Dio manda anche all’inferno chi vuole che vada all’inferno, per quanto bene questo disgraziato cerchi di fare, perché Dio muove la stessa volontà di questo tale a compiere il peccato.
Purtroppo questa orribile eresia, che è una vera e propria bestemmia contro la bontà e la misericordia di Dio, in nome di un falso concetto della predestinazione, risorse col protestantesimo. Il protestantesimo di oggi invece, a parte alcune sette che conservano questo orientamento, come per esempio i testimoni di Geova, è passato nell’estremo opposto che sostiene che Dio salva tutti e che quindi tutti sono “predestinati”.
Ma è un’eresia anche questa, di segno opposto, messa in giro da Rahner, la quale oggi purtroppo ha molto successo anche tra i cattolici. Si potrebbe chiamare eresia del “buonismo”: siccome Dio è “buono”, anche il “male” in fondo è bene, tutti sono buoni, tutti sono in buona fede, tutti sono perdonati, tutti per essenza sono in grazia, tutti per essenza tendono a Dio, tutti si salvano. Il peccato non esiste, è solo uno “sbaglio in buona fede”. La Redenzione non è un’“espiazione” o una “riparazione”, ma semplicemente un perfezionamento supremo dell’uomo “già da sempre - come dice Rahner -, in tensione verso Dio”.
Il Concilio Vaticano II ha sviluppato in modo molto consolante e confortante la dottrina della possibilità che tutti si salvino, perché Cristo ha dato il suo sangue per tutti, offre a tutti la salvezza, offre a tutti i mezzi per salvarsi, anche a chi non Lo conosce, purché però sia onesto e in buona fede. In questo senso Cristo è il Salvatore dell’intera umanità, come dice il Papa nella sua Lettera: “l’universalità della salvezza proviene da Lui”.
Ma il Concilio non dice per nulla che di fatto tutti si salvano, anzi riporta alcuni passi del Vangelo i quali, con la parola del Cristo stesso, ci fanno capire che alcuni non si salvano, come del resto la Chiesa ha sempre sostenuto, in modo speciale nel suddetto Concilio di Quierzy.
Questo vuol dire che non tutti sono predestinati alla salvezza, ma solo quelli Dio ha “scelto” o “eletto”. Per questo, ancora nel Canone Romano della Messa il sacerdote chiede a Dio insieme con i fedeli presenti di poter esser posto da Dio “nel numero degli eletti”. L’idea di elezione evidentemente implica il prendere una parte da un tutto. Non si sceglie un tutto, ma solo una sua parte. Quindi solo una parte dell’umanità si salva, non tutta.
Questo dà fastidio alle orecchie di molti oggi, eppure questa è la verità di fede, negando la quale si cade nell’eresia. Si tratta semmai di accostarci a questa difficile verità trovando argomenti di convenienza che proporzionino anche qui la fede alla ragione. E del resto è questo il compito della teologia. Ho trattato di queste cose in un mio recente libro.
In riferimento a ciò il Papa distingue i “molti” dai “tutti” e dice: “Tutti” si muove sul piano ontologico – l’essere ed operare di Gesù comprende tutta l’umanità, il passato, il presente e il futuro. Ma di fatto, storicamente, nella comunità concreta di coloro che celebrano l’Eucaristia, Egli giunge solo a “molti””. In altre parole: Cristo offre la salvezza a tutta l’umanità, ma di fatto Egli giunge solo a molti, ossia solo questi molti si salvano, quindi non tutti.
Tornando alla questione dei “per molti” o “per tutti”, bisogna dire che il Papa ci ricorda un’importante regola ermeneutica, valida sempre e in ogni caso nell’interpretazione della Bibbia, come del resto di qualunque testo letterario: un conto, dice il Pontefice, è tradurre e un conto è interpretare. La traduzione va fatta con fedeltà e precisione, anche se il testo che vien fuori è difficile o indigesto o antipatico. A questo punto ci può soccorrere un’opportuna interpretazione che ce lo rende digeribile ed accettabile, per non dire attraente.
Applicando questo metodo, Benedetto XVI dice con la schiettezza e la sicurezza del Pastore universale della Chiesa (anche se si rivolge solo all’Episcopato tedesco) che si deve riprendere la traduzione “per molti”, perché è quella esatta. Ciò non impedisce, anzi richiede che poi la si interpreti nel senso giusto, non nel senso calvinista. Allora “per molti” vuol dire “per tutti”, perché “molti” va inteso nel senso che Cristo si riferiva al fatto che gli uomini, nel loro complesso, sono molti. Ma non intendeva affatto con questi “molti” una parte che si opponesse al tutto.
La traduzione “per tutti”, dice pertanto il Pontefice, non è una vera traduzione, ma è un’interpretazione, per quanto valida, che di fatto si è imposta nel clima del postconcilio, preoccupato di sottolineare la “chiamata universale alla salvezza e alla santità”, che indubbiamente è uno dei grandi temi del Concilio, che sarebbe grave danno minimizzare o dimenticare. Ma occorre anche guardarsi bene dal fraintenderla alla maniera di Rahner e dei buonisti. “Per tutti” non vuol dire che tutti si salvano, ma semplicemente che possono salvarsi. Nei fatti, come ho detto e come la Chiesa ha sempre sostenuto, alcuni si salvano, altri si dannano, nel senso che ho spiegato sopra.
Accogliamo dunque con gratitudine questo richiamo del Vicario di Cristo che, in un punto così importante della Parola di Dio quali sono le parole della Consacrazione Eucaristica, ci precisa quali sono le parole esatte del testo evangelico, esortando nel contempo alla giusta interpretazione che deve evitare tanto l’eresia di Calvino quanto quella di Rahner.
(Fonte:
P. Giovanni Cavalcoli, Riscossa cristiana, 8 maggio 2012)
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