Dagli atti della sentenza depositata, in cui si ribadisce la regolarità della procedura adottata nei confronti di Eluana, leggiamo e commentiamo:
«In data 9 febbraio il cadavere della signorina Eluana Englaro veniva trasferito all’obitorio della “Quiete” su barella in acciaio. Trattasi di cadavere femminile, della lunghezza di circa 171 centimetri, del peso di 53.5 chili, cute liscia ed elastica, capelli neri... Entrambi i lobi presentano un foro per orecchini. Indossa una camicia da notte in cotone rosa».
Il resto ve lo risparmiamo. Dura 133 pagine la “Relazione di consulenza tecnica medico-legale”, letta la quale il gip di Udine l’altro giorno ha definitivamente stabilito che il tutto è avvenuto “regolarmente”.
Un testo che si legge a fatica e che toglie il sonno, e non tanto nelle pagine dell’autopsia, quando ormai Eluana è morta, ma in quelle tragiche, disumane dell’agonia, quando era viva e nelle stanze udinesi della “Quiete” la si faceva morire.
Ora lo sappiamo: nei giorni e nelle notti in cui alla giovane donna venivano sottratti l’acqua e il nutrimento (il sostegno vitale, lo chiama il documento), l’équipe del dottor De Monte sedeva accanto a lei e la osservava, prendeva appunti, diligentemente compilava di ora in ora la “Scheda di rilevazione degli elementi indicativi di sofferenza”.
Una crocetta alla voce “respiro affaticato e affannoso” ne indica frequenza e durata, un’altra rileva “l’emissione di suoni spontanei”, un’altra ancora i singoli lamenti sfuggiti a Eluana “durante il nursing”, ovvero mentre le mani di medici e infermieri nulla “potevano” per salvarle la vita e dissetarla (il Protocollo parlava chiaro, e loro erano lì per applicarlo, volontari), ma sul suo corpo continuavano a operare quelle piccole attenzioni richieste dallo stesso Protocollo: “Si procederà all’igiene giornaliera di routine al fine di garantire il decoro...”. Il decoro. Sono pagine meticolose, capillari. Gelide.
Il 3 febbraio, primo giorno di ricovero alla “Quiete” di Udine (nel cuore della notte la giovane era stata prelevata da un’ambulanza e strappata alla clinica di Lecco dove viveva da quindici anni), la voce di Eluana si è sentita sette volte, e l’équipe solerte le ha annotate tutte. I suoni si moltiplicano il 4, e poi il 5, finché il 6 (all’alba di quel giorno si è smesso definitivamente di nutrire e dissetare la giovane) la mano di un’infermiera scrive per la prima volta: “Sembrano sospiri”. E forse lo sono, se il giorno 7 cessano anche quelli. Eluana morirà improvvisamente già il 9 febbraio alle 19 e 35, senza più la forza di gemere: “nessun suono”, ma ore e ore di “respiro affaticato e affannoso”. Nei palmi delle mani, strette, i segni delle sue stesse unghie.
Ancora più esplicite le pagine del diario clinico di quei sette giorni udinesi, racconto di un’agonia che inizia sull’ambulanza, quando il dottor De Monte annota la terribile tosse che scosse Eluana, e prosegue con asettico cinismo: Eluana si lamenta, Eluana non ha quasi più saliva, non suda nemmeno più, le mucose si asciugano, “iniziata umidificazione”, “idratata la bocca”, “frizionata su tutto il corpo con salviette rinfrescanti”. Il decoro. L’igiene.
C’è anche lo spasmo con cui la prima notte arrivò a espellere il sondino: allora lo scrivemmo e ci diedero dei bugiardi... “Non eseguito cambio pannolone perché non urina più”: è il giorno della morte. Tutto regolare, dicono i magistrati, tutto perfettamente annotato. A parte quella mezzoretta tra il decesso e la registrazione dell’elettrocardiogramma, un “ritardo dovuto alla difficoltà di reperimento dello strumento”, scrive il capo dell’équipe... A parte, ancora, quelle tre ore che l’8 febbraio, il giorno prima della morte, in piena agonia, una giornalista di Rai 3 Friuli e un fotografo trascorrono nella stanza di Eluana riprendendone gli affanni.
Ci avevano detto che Eluana non avrebbe sofferto, e veniamo a sapere che morì tra gli spasmi, con 42 di febbre. Che da molti anni pesava 65 chili. Che risultava «o¬biettivamente in buone condi¬zioni generali e di nutrizione, con respiro spontaneo e valido, vigile durante buona parte della giornata». Che da due anni aveva di nuovo «il mestruo». Che l’alimentazione col sondino «non aveva mai dato complicanze» e i «parametri vitali si erano sempre mantenuti stabili, la paziente non ha presentato mai patologie ad eccezione di sporadiche bronchiti-influenzali, prontamente risolte con antipiretici ». Ce l’avevano descritta come un corpo “inguardabile”, una vista “devastante, piagata dal decubito, magra come uscita da un campo di concentramento”.
È pure calva, aggiunse Roberto Saviano... “Ha capelli neri, cute liscia ed elastica, corpo normale, nessun decubito”, recita ora l’autopsia.
Ma lo attesta il perito: «Le disposizioni sono state minuziosamente seguite».
(Fonte: Lucia Bellaspiga, Avvenire 14 gennaio 2010)
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