Avevamo invitato Corrado Augias a scusarsi. Con le suore Misericordine, e con tutte le suore italiane che accudiscono malati, accusate di essere capaci di sopprimerli per cento euro sottobanco. Un grossolano e sprezzante esempio di anticlericalismo rigurgitato martedì in diretta sul servizio pubblico televisivo, durante il “Diario italiano” di Rai3.
Ieri, l’imperturbabile giornalista e conduttore ha aperto la trasmissione leggendo pubbliche scuse di questo genere: «Comincio con una precisazione doverosa. Nella puntata di martedì, ospite Gustavo Zagrebelsky, si accennava al caso di Eluana Englaro, diventata un caso nazionale e di coscienza. Riferendo le parole testuali di un medico di un ospedale romano, io ho detto: “Invece di fare tutto quel putiferio, il signor Englaro, avrebbe fatto meglio ad allungare cento euro alla monaca e a farla finita”. Non intendevo in alcun modo riferirmi alle religiose Misericordine che hanno assistito Eluana nel suo penoso decorso, e anzi dirò di più: mi dispiace del possibile equivoco. Quelle parole vanno intese come metafora, rimandavano e rimandano a un problema generale; e cioè che, sollevando il caso di principio, il signor Englaro ha consegnato un risultato contrario alle sue aspettative e a quelle di numerosi italiani. Una cattiva legge, come quella che si sta preparando, è peggio di quel tacito accordo che ogni giorno negli ospedali di tutto il mondo lascia agli interessati e ai medici la soluzione umana del problema». Prendiamo atto del «dispiacere» prontamente espresso da Augias. Ma notiamo con rinnovato dispiacere nostro – noi che la parola «monaca» la pronunciamo ed evochiamo con grato rispetto – che all’esercizio moderato delle scuse, Augias ha accompagnato – inesorabile e inelegante – l’enfasi della propaganda (fino a definire «umana» la mercanteggiata soluzione finale per malati e disabili gravissimi) e un increscioso arrampicarsi sugli specchi.
Una metafora la «monaca» cinica? Una metafora nella metafora il prezzo di una vita fissato in una “mancia” di cento euro? Ha detto molto, Augias, e infine troppo. Bastava dire: ho sbagliato.
(Fonte: Avvenire, 14 gennaio 2010)
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