Il terremoto musicale che ha scosso la cattedrale di Cremona con l’abbandono del maestro Fulvio Rampi ha avuto altre scosse. Col maestro si è dimesso l’intero coro, 45 cantori su 47, in piena sintonia col suo pensiero. E così Rampi ha ulteriormente motivato l’abbandono, in una sua lettera: «La vicenda è triste e per molti versi paradossale. In undici anni con la cappella musicale della cattedrale di Cremona abbiamo vissuto un’avventura esaltante nel segno della musica sacra, e abbiamo portato felicemente ad esecuzione alcuni fra i più importanti capolavori del repertorio corale sacro: dalle Messe di Mozart alla Missa solemnis di Beethoven, dai mottetti di Palestrina ai salmi di Vivaldi, dalla Messa di Bruckner al Magnificat di Bach e alla sua Messa in Si minore, dalle Messe di Haydn alle Messe di Bartolucci, Perosi e molti altri. Il tutto, però, senza che in cattedrale vi fosse un vero progetto liturgico nel segno della tradizione della Chiesa.
L’assemblearismo dilagante ha condizionato anche la nostra cattedrale, nella quale, ad esempio, al canto gregoriano nessuno si è mai sognato di “riservare il posto principale” (Sacrosanctum Concilium 116). Con l’impegno e il sacrificio di tutti si è dimostrato nei fatti che un’istituzione musicale ecclesiale può e deve tendere al bello mettendo in gioco tutte le professionalità necessarie. Ma si è anche dolorosamente dimostrato che senza un progetto liturgico-musicale ben radicato non si può andare da nessuna parte. La mediocrità non può essere un obiettivo: dunque ce ne siamo andati.
Credo che l’equivoco e il nocciolo della questione stiano, in buona sostanza, nella sciagurata separazione e nella voluta opposizione, oggi di moda, tra l’esemplarità musicale e l’esemplarità celebrativa: l’una vista come potenziale pericolo per l’altra. Come dire: più si pensa alla musica, soprattutto a “quella” musica, e meno si pensa alla liturgia.
Non è così: il canto gregoriano resta il paradigma della musica pensata nella sua essenza come forma di comunicazione e di esegesi della Parola che si fa puro atto liturgico. Per questo la Chiesa lo riconosce come “suo” e vuole che da lì si parta, oggi come sempre; non da altro. E partire da lì significa tendere all’esemplarità celebrativa anche attraverso l’esemplarità musicale, ossia attraverso ciò che l’uomo, in ogni tempo, sa produrre e realizzare di meglio nell’arte musicale. Il canto gregoriano e la grande tradizione della polifonia classica ci consegnano la forma e la sostanza del canto liturgico, fatto di arte sublime, bellezza e pertinenza liturgica assoluta.
La Chiesa, per la “sua” musica, pone da sempre e per sempre questi obiettivi. Non dice che bisogna eseguire sempre e solo il gregoriano e la polifonia classica, ma dice che bisogna fare “innanzitutto” questo e che bisogna partire da lì per il discernimento sulla forma e la sostanza di ogni nuovo repertorio per la liturgia.
Obiettivo molto alto, certo: dunque si fa quel che si può. Ma perché non fare quando si può? Io ho posto precisamente questo problema. Ma da lì non si vuol più partire, perché per decenni si è voluto di fatto contrapporre il patrimonio liturgico-musicale della Chiesa, se non alla “lettera”, almeno allo “spirito” dei documenti conciliari. Il concetto di partecipazione attiva è stato oggetto di una banalizzazione sconcertante, è stato retrocesso a puro attivismo liturgico e ha finito precisamente per dissociare le due “esemplarità”, liberandole da ogni vincolo reciproco. Le conseguenze, manco a dirlo, sono state devastanti. L’assemblea, ad esempio, è considerata tanto più “celebrante” quanto maggiormente si libera di tutto ciò di cui non sa immediatamente disporre, che non è a sua misura, che non comprende subito, che non la coinvolge perché non parla più il linguaggio del suo tempo. All’educazione si è preferita la distruzione, alla riflessione la rimozione, alla nuova sfida la resa.
Ancora a proposito del canto gregoriano, è quanto mai importante studiarlo in profondità per poi eseguirlo correttamente e bene. La sua difesa come “canto proprio della liturgia romana” passa anche attraverso la credibilità della proposta esecutiva, che faccia toccare con mano la sua vera e perenne bellezza per la liturgia di oggi. Purtroppo chi lo difende, anche a spada tratta, non sempre è credibile. Gli argomenti a favore di questo immenso patrimonio della Chiesa non possono limitarsi ad una sua difesa d’ufficio. Negli ultimi cinquant’anni sono stati compiuti passi enormi nella ricerca sulle fonti: al canto gregoriano è stato restituito il suo “valore ecclesiale”, anche se pochi se ne sono accorti perché già lo davano per defunto».
Dissolto il coro della cattedrale di Cremona, resta naturalmente vivo col maestro Rampi il coro dei Cantori Gregoriani, da lui fondato. Con questo coro Rampi ha inciso più di venti CD e ha tenuto centinaia di concerti in tutto il mondo. Con l’editore Rugginenti di Milano ha pubblicato nel 2006 il volume: “Del canto gregoriano. Dialoghi sul canto proprio della Chiesa”, a cura di Maurizio Cariani e Fabrizio Leonardi, pp. 272, euro 20,00.
(Fonte: Sandro Magister, Settimo cielo, 27 gennaio 2010)
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