venerdì 15 gennaio 2010

Perché tanto interesse a confutare le tesi scontate di Odifreddi?

Non certo perché il suo pensiero rivesta francamente una grande importanza: sono posizioni – anche se rilanciate da grandi e potenti mezzi di stampa – vecchie e scontate, poco creative e povere di ragioni. Mi spiace dirlo, e non è per mancanza di rispetto. Tra l’altro nel confronto sono anche emerse note interessanti, tra cui una presa di distanza dello stesso Odifreddi (Presidente onorario) dall’UAAR. In un momento come questo in cui il desiderio di tale associazione è quello di farsi propaganda con tutti i mezzi (lo ha in qualche modo fatto capire sul suo sito), questa presa di distanza può fare pensare. Sarebbe bello capire su quali punti esiste una divergenza.
Ho iniziato, come dal professore onnipresente indicato, a leggere il suo libro «La Via Lattea», e le perplessità che avevo avuto leggendo due suoi libri precedenti, quello sul matematico impertinente e quello sulla sua impossibilità a dirsi cristiano, sono rimaste: in sintesi posso dire che del suo dio io sono ateo. Cioè mi sembra che quelle affermazioni che lui fa sul cristianesimo siano suoi pensieri, personali, leciti, per carità, ma che non colgono nel segno di quella che è la fede cristiana cattolica, quella del Papa, del Concilio, dei grandi santi. Quella che ho imparato da mio padre e da quel grande educatore che è stato don Giussani. Troppe volte nel suo testo il «naturalmente» significa che «è naturale perché lo penso io». C’è un ovvio che non è mai dimostrato (e non secondo la considerazione di Aristotele che sarebbe da pazzi voler dimostrare l’evidente), ed è l’ovvio della sua misura, della sua storia, dei suoi pregiudizi…
«La ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori», così mi è stata insegnata, e così cerco di viverla e comunicarla. E capisco che questa è una avventura che avvince ed esalta. Ad un certo punto il professore onnipresente dice, nel libro citato: «Tu sostieni che per l’uomo la verità non è mai conoscibile…». Beh, sarà la posizione del suo interlocutore (da lui preso comunque in qualche modo come campione della fede), ma certo non è posizione cattolica. Basterebbe una lettura del tanto deriso Chesterton e dei suoi racconti su Padre Brown per avere una smentita ironica e divertente di questo pregiudizio (Flambeau docet “What?” asked the thief, almost gaping. “You attacked reason,” said Father Brown. “It’s bad theology.”).
Credo che sia giunto il momento di guardare avanti, con realismo e speranza, senza ottusi schemi e pregiudizi, soprattutto se si ha di mira il bene degli uomini che così spesso incontriamo. È forse necessaria quella alleanza tra credenti non clericali e laici non laicisti che può consentire all’uomo del terzo millennio di guardare alla vita, alla realtà, agli uomini, alla storia con speranza e realismo, evitando il male possibile e aprendo a tutti lo spazio di una umanità libera e amica.
Ho ritrovato questi pensieri di don Giussani ai monaci buddisti: «La voce dell’universo, del tutto di cui noi siamo piccola, infinitesima parte, questa voce è il cuore dell’uomo.
Guardando le stelle o il mare, innamorandosi di una donna, guardando con tenerezza i figli, animosamente cercando di conoscere la natura e di usarla, l’uomo di tutti i tempi, di tutte le razze cerca la felicità: quello che è vero, quello che è giusto, quello che è bello. I nostri filosofi antichi dicevano: «Cerca l’essere». Qualunque cosa l’uomo veda nell’universo, nella realtà, gli suscita il desiderio della bellezza, della bontà, della giustizia, della felicità. Questa è la voce che l’universo, la totalità realizza: si chiama “cuore” dell’uomo.
Allora la grande alternativa culturale ed esistenziale è chiara: o questa voce è senza senso, senza realtà e il cuore dell’uomo non c’è, o tutto ha senso per il cuore dell’uomo. La nostra voce canta per un perché e la nostra lotta, se così si può dire, è per destare e per sostenere negli uomini il senso della positività ultima della vita e del cuore. È per questo rapporto ultimo, è per questo destino ultimo di felicità che l’uomo, consciamente o no, vive. È per questo sentimento ultimo di una giustizia reale che l’uomo può sostenere la fatica di oggi. Senza questa ipotesi sarebbe ingiusto far nascere.»
Da parte mia questo cammino ci sto a farlo, e sul mio cammino ho incontrato molti, anche su posizioni ideali e di fede diverse, che ci stanno. La partita è aperta. Per tutti.

(Fonte: Cultura cattolica, gennaio 2010)

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