Più di mezzo secolo dopo quel lontano 1952 e in entrambi i casi con le elezioni amministrative alle porte, si ripresenta oggi per la diocesi del papa un pericolo identico: che il suo governo civile cada in mani nemiche.
Ma le reazioni della Chiesa appaiono oggi molto diverse da allora.
Nel 1952 il papa e le autorità vaticane, allarmatissimi, si attivarono in prima persona. Temendo la vittoria elettorale, proprio sotto le mura vaticane, di comunisti e socialisti che all'epoca erano legatissimi all'impero di Mosca, Pio XII ordinò al partito cattolico – la Democrazia Cristiana guidata da Alcide De Gasperi, oggi in via di beatificazione – di far fronte comune con i partiti di estrema destra dentro una lista civica capeggiata dall'anziano sacerdote Luigi Sturzo – anche lui oggi incamminato agli altari – e pronta ad essere sostenuta dall'Azione Cattolica e dai suoi Comitati Civici.
De Gasperi rifiutò. Nelle elezioni amministrative di Roma tenne ferma l'alleanza con i partiti laici di centro, la stessa con cui era al governo in Italia. Aveva visto giusto e i numeri gli diedero ragione. A Roma i comunisti e i socialisti furono sconfitti.
Ciò non tolse che Pio XII punì De Gasperi per la disubbidienza, rifiutando di riceverlo in udienza con la moglie e la figlia Lucia in occasione dei suoi trent'anni di matrimonio e dei voti religiosi della figlia.
Oggi il quadro politico italiano è profondamente mutato. La DC non c'è più. I cattolici sono diluiti in tutti i partiti. Al governo nazionale c'è Silvio Berlusconi, che su vita, famiglia e scuola è il leader più vicino alle attese della Chiesa. Al governo della regione Lazio e quindi della diocesi del papa c'è un'amministrazione di sinistra, lontana e sbiadita erede del defunto partito comunista.
Questa amministrazione ha subito nei mesi scorsi un duro colpo con le dimissioni del suo presidente, Giuseppe Marrazzo, travolto da avventure a luci rosse con transessuali e cocaina. Privi di un proprio candidato alternativo, per riconquistare il governo del Lazio nelle elezioni regionali che si terranno tra due mesi i partiti di sinistra hanno accettato di appoggiare l'autocandidatura a presidente di un personaggio ad essi esterno, simbolo del radicalismo anticattolico più spinto, Emma Bonino (nella foto).
Emma Bonino è una veterana dei "diritti umani". Ma entro questi "diritti" – che ha difeso anche come incaricata della Commissione Europea – essa ha sempre incluso aborto, eutanasia, matrimoni omosessuali, libertà di droga, insomma l'intera panoplia di quella che Giovanni Paolo II definì "cultura della morte". Dagli anni Settanta circola un filmato che la ritrae, fiera, mentre pratica un aborto a una donna aiutandosi con un barattolo di latta e una pompa di bicicletta.
Ebbene, di fronte alla sfida rappresentata dalla candidatura Bonino, come reagisce la Chiesa? Sicuramente non come fece nel 1952. Anche perché oggi è impensabile che il papa in persona detti ai cattolici una precisa "macchina" politica per fronteggiare il pericolo.
Anche nella Chiesa infatti, oltre che in campo politico, tante cose da allora sono cambiate. La Chiesa italiana non ha più un partito cattolico di riferimento. Si muove libera a tutto campo. La sua battaglia è fatta di "cultura cristianamente orientata". E grazie a questa libertà e intraprendenza riesce a volte a essere più influente che in passato, nella sfera pubblica. È questo il modello Ruini, dal nome del cardinale che ha guidato la conferenza episcopale per sedici anni, fino al 2007.
Se e come questo modello stia operando oggi, con il caso Bonino, è materia vivacemente discussa.
Ad accendere la discussione è stato un intellettuale che non appartiene alla Chiesa ma è da anni vigoroso apologeta della visione di Karol Wojtyla, Joseph Ratzinger e Camillo Ruini: Giuliano Ferrara, direttore del quotidiano d'opinione "il Foglio".
La scintilla gliel'ha offerta un articolo – durissimo contro la Bonino – uscito il 20 gennaio su "Avvenire", il giornale della conferenza episcopale italiana. Domenico Delle Foglie, l'autore dell'articolo, è un cattolico di primo piano, ha organizzato per mandato dei vescovi il "Family Day" di due anni fa e dirige il sito "Più voce. Cattolici in rete". È stato vicedirettore di "Avvenire" e lo scorso autunno fu quasi sul punto d'essere chiamato a dirigerlo, al posto del dimissionario Dino Boffo e in continuità con lui, ruiniano a tutto tondo.
Ma prima ancora che Delle Foglie scrivesse il suo articolo, nel principale partito della sinistra italiana, il Partito Democratico, la candidatura Bonino aveva diviso i cattolici che ne fanno parte. Due di essi, Renzo Lusetti ed Enzo Carra, avevano abbandonato il partito, giudicandolo non più abitabile. Altri invece, come Franco Marini e Maria Pia Garavaglia, avevano salutato con favore la candidatura Bonino, addirittura raccomandandola come "capace di temi e programmi che stanno a cuore agli elettori cattolici".
Contro questi cattolici "arrendevoli" e "illusi", Delle Foglie ha invece scritto che la Bonino incarna almeno tre pericoli gravi.
Il primo è simbolico: uno "schiaffo alla comunità cristiana" da parte di "una testimone di militante inimicizia nei confronti della visione cristiana dell'uomo e del mondo".
Il secondo pericolo è che, qualora vincesse, la neopresidente Bonino si metterebbe all'opera per fare del Lazio "il laboratorio di tutti gli zapaterismi", dal nome del premier spagnolo iperlaicista.
Il terzo è la "sovrana ipocrisia" di cui la Bonino dà prova già nel corso della campagna elettorale, quando promette di operare "con e per i cattolici", lei che ha speso tutta una vita a lottare contro la Chiesa.
Ebbene, il giorno dopo l'uscita di questo articolo su "Avvenire", sulla prima pagina del "Foglio" Ferrara sottoscrisse in pieno quanto scritto da Delle Foglie. Ma nello stesso tempo si scagliò contro il giornale dei vescovi perché aveva nascosto quell'articolo a pagina 11, perché l'aveva declassato a opinione personale dello scrivente, perché insomma aveva dato prova di timidezza nell'affrontare una questione che riguarda non piani urbanistici o altre faccende opinabili, ma quei principi supremi definiti dallo stesso papa "non negoziabili".
Insomma, concludeva Ferrara alludendo a ciò che faceva la Chiesa nel 1952 e prima di quell'anno: "Meglio i Comitati Civici di una volta che il timido 'Avvenire' di oggi".
A Ferrara rispose il giorno successivo il direttore di "Avvenire" Marco Tarquinio. E Ferrara gli controrispose ventiquattr'ore dopo, confermando le sue critiche.
Intanto, però, "il Foglio" aveva fatto altro. Aveva mandato una sua valente inviata, Marianna Rizzini, a esplorare le diocesi della regione Lazio, per sentire cosa pensassero i preti e i fedeli della candidata Bonino.
Il responso della prima diocesi esplorata, quella di Viterbo, fu impietoso. Il titolo: "Chiesa di base con Emma. Inchiesta a Viterbo. Compatte opinioni cattoliche, in certi casi fervide, a favore della candidata abortista, divorzista, eutanasista, che definì l'embrione 'un grumo inerte'. Rari i distinguo, e timidi".
In effetti, nel reportage di Marianna Rizzini da Viterbo i soli che si schieravano contro la Bonino erano i "missionari" del Movimento per la Vita, quelli che dedicano la loro vita a far nascere i bambini, non a farli abortire.
Di poco più confortante è stato il secondo reportage della serie, dalla diocesi di Frosinone. E così un terzo, dalla città di Roma.
A questo punto sono entrati in campo i vescovi. Il primo, Angelo Bagnasco, è il cardinale che ha preso il posto di Ruini alla presidenza della conferenza episcopale. Nella prolusione con cui ha aperto il 25 gennaio la sessione invernale del consiglio permanente della CEI, Bagnasco ha detto di avere questo "sogno":
"Vorrei che questa stagione contribuisse a far sorgere una generazione nuova di italiani e di cattolici che, pur nel travaglio della cultura odierna e attrezzandosi a stare sensatamente dentro ad essa, sentono la cosa pubblica come importante e alta, in quanto capace di segnare il destino di tutti, e per essa sono disposti a dare il meglio dei loro pensieri, dei loro progetti, dei loro giorni. Italiani e credenti che avvertono la responsabilità davanti a Dio come decisiva per l’agire politico".
E ancora: "Vorremmo che i valori che costituiscono il fondamento della civiltà − la vita umana comunque si presenti e ovunque palpiti, la famiglia formata da un uomo e una donna e fondata sul matrimonio, la responsabilità educativa, la solidarietà verso gli altri, in particolare i più deboli, il lavoro come possibilità di realizzazione personale, la comunità come destino buono che accomuna gli uomini e li avvicina alla meta − formassero anche il presupposto razionale di ogni ulteriore impresa, e perciò fossero da questi cattolici ritenuti irrinunciabili sia nella fase della programmazione sia in quella della verifica".
Bagnasco non ha aggiunto nulla, a proposito del caso Bonino. Parecchio di più ha detto invece un presule che non fa parte del consiglio permanente ma non è di second'ordine: Luigi Negri, vescovo di San Marino e Montefeltro, milanese e stretto collaboratore in gioventù del fondatore di Comunione e Liberazione, don Luigi Giussani.
In un'intervista a Paolo Rodari su "il Foglio" del 26 gennaio, Negri ha detto che un limite della Chiesa italiana è di non saper sempre rendere operativo il pur chiarissimo magistero degli ultimi due papi: "Perché di fronte a una candidatura dichiaratamente contro la Chiesa una parte del mondo cattolico si mostra privo di atteggiamento critico? È la domanda che mi sono posto dopo aver letto l’inchiesta del 'Foglio' a Viterbo che ha evidenziato come per molti cattolici non fa difficoltà la candidatura della Bonino nel Lazio. Se facessimo la medesima inchiesta in altre regioni, vorrei dire in tutte le regioni d’Italia, il risultato sarebbe lo stesso di Viterbo. Perché il dato è uno e chiede d’essere guardato: stiamo crescendo generazioni assolutamente incapaci di giudizio critico sulle cose. Leggendo l’inchiesta del 'Foglio' mi è venuto in mente quel versetto della Bibbia, Geremia 31, dove si dice: ‘I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati’. Mi domando: siamo stati capaci di favorire in questi anni l’espressione di una vera cultura della fede? Oppure è cresciuta tra noi, sotto i nostri occhi, una generazione per la quale il dialogo viene prima dell’identità? A volte sembra che il dialogo che impostiamo con chi non crede altro non sia che una resa senza condizioni. Nel nome del dialogo ci dimentichiamo chi siamo. E dimenticandoci chi siamo sono sempre gli altri ad avere ragione, ad avere la meglio”.
Per il vescovo Negri occorre ripartire da ciò che predicano Benedetto XVI e la conferenza episcopale italiana. "Sono dieci anni che i vescovi parlano di emergenza educativa. Occorre lavorare tutti su questa emergenza perché soltanto in questo modo i cattolici di oggi e di domani potranno imparare a giudicare e difendere la propria identità. Soltanto in questo modo i cattolici potranno capire che è arrivato il tempo di uscire dalla notte in cui tutte le vacche sono nere e tutte le identità hanno lo stesso colore. Un tempo, insomma, in cui anche il vaglio critico dei candidati alle elezioni sarà più semplice”.
Lo stesso giorno, su "Avvenire" un altro cattolico in vista, Pio Cerocchi, di nuovo criticava con severità quei politici cattolici presenti nel Partito Democratico che avevano accettato passivamente la candidatura Bonino. Anche questa volta in una pagina interna e come opinione personale.
(Fonte: Sandro Magister, www.chiesa, 28 gennaio 2010)
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