Sul
sito del Corriere della Sera, il 17 maggio scorso, comparve un articolo così intitolato:
«Pio XI fu assassinato dal padre di
Claretta?». Nel sottotitolo si poteva leggere: «Dall’agenda dell’amante di Mussolini qualcuno ha strappato le pagine
dal 5 al 12 febbraio del 1939, e il Pontefice morì il 10. Sul tavolo del Papa
era pronta l’enciclica contro l’antisemitismo».
Non è
una novità. Questa fosca leggenda fu messa in piazza, a suo tempo, da ambienti
comunisti interessati a gettare fango sul Papa regnante, quel Pio XII che aveva
tagliato loro la strada verso il potere proclamando la scomunica per chi, nel
1948, avesse votato per il PCI. Certo, fa un po’ specie che questa fanghiglia
venga ripescata da una voce autorevole come quella del Corriere. Soprattutto
perché non appare sostenuta da validi elementi. Nell’articolo si parla di pagine
dei diari di Claretta che sarebbero state strappate. Esattamente le pagine che
vanno dal 5 al 12 febbraio 1939 (e Papa Ratti morì il 10 febbraio). Ma (a parte
il fatto che solo un cretino può pensare che la donna avrebbe scritto: «Mio
padre ha ammazzato il Papa») nei diari di Claretta pubblicati da Rizzoli - lo
stesso editore del Corriere - vi sono parecchi vuoti. Non è detto quindi che la
giovane amante del Duce scrivesse ogni giorno.Si fa poi riferimento ad un’affermazione («Lo hanno assassinato») che sarebbe stata fatta nel 1972 dal cardinale Eugène Tisserant e ad una «decisione» di Papa Giovanni XXIII che, vent’anni dopo, avrebbe fatto pubblicare solo in parte la bozza del discorso che Pio XI aveva preparato e che avrebbe pronunciato alla radio se non fosse deceduto (discorso, non enciclica: quella l’aveva già promulgata e diffusa in tutto il mondo).
Prima di tutto, va ricordato che Pio XI fu un deciso avversario del nazismo e del fanatismo razzista. Ne è testimone, appunto, la famosa enciclica «Mit brennender Sorge», alla quale collaborò da vicino colui che poi sarebbe diventato il suo successore, ovvero Eugenio Pacelli. Per saperne di più, mi permetto di ricordare il mio libro (Luciano Garibaldi, O la Croce o la Svastica, pubblicato nel 2009 dalla Lindau), dove la vicenda è ricostruita in ogni particolare.
A seguito di questo rimestare nel torbido, ho ritenuto opportuno ascoltare l’ultimo nipote vivente dell’archiatra pontificio Francesco Saverio Petacci, ovvero, Ferdinando Petacci, settantenne, che vive negli Stati Uniti, in Arizona. Questa l’intervista esclusiva:
D. Che c’entra il cardinale Tisserant con questa confusa storia?
«Chiaramente il cardinale Eugène Tisserant non ha mai parlato né affermato niente riguardo alla questione, ma, dopo la sua morte, misteriosamente apparve uno scritto anonimo (e il Corriere della Sera non dice che era anonimo), scritto che fu attribuito a lui e che accuserebbe mio nonno».
D. Qual era il suo esatto ruolo in Vaticano?
«Mio nonno era uno degli archiatri pontifici, ma non il capo di essi. Inoltre, era legato da personale amicizia con Papa Ratti fin da molti anni prima che il cardinale salisse al trono pontificio».
D. Come e perché nacquero le insinuazioni contro di lui?
«I comunisti furono i primi ad accusare mio nonno, ma il motivo è evidente: dovevano fare apparire mio nonno, e mio padre Marcello, come dei filonazisti per giustificare l'assassinio di mio padre a Dongo, assassinio di un uomo che non solo collaborava con l'Intelligence Service sotto il nome di copertura di "Fosco" (come ha riportato anche Urbano Lazzaro, il capo partigiano che catturò Mussolini, nei suoi libri di memorie), ma si dedicava anche a salvare ebrei, come testimoniano numerose lettere in mio possesso e che lei, Garibaldi, conosce da tempo. Per i comunisti, la vergogna di avere ucciso un collaboratore degli Alleati doveva essere a tutti costi evitata».
D. Approfondiamo questo aspetto, invero poco conosciuto, della personalità di suo padre e di suo nonno.
«In realtà, mio nonno e mio padre collaboravano con gli inglesi ed aiutarono ebrei anche attraverso il Vaticano durante il pontificato di Pio XI. Riguardo alla solidarietà di Papa Ratti nei confronti degli ebrei, del resto, è sufficiente rileggersi l'articolo di Andrea Tornielli, un giornalista studioso dei fatti vaticani, apparso su "Il Giornale" il 17 dicembre del 2008. Ora, se due più due fa quattro, è chiaro che esisteva una via vaticana di aiuto agli ebrei a cui mio nonno e mio padre collaboravano. Del resto, come ricordavo prima, lei lo sa perché ha letto le lettere inviate dagli ebrei nell’immediato dopoguerra a mia madre, lettere che testimoniano dell'aiuto ricevuto. Ed oltre a ciò, io ne ho un ricordo preciso perché ho vissuto personalmente quelle vicende quando, da giovanetto, andai, con mia madre e mio fratello, a vivere a Milano. Ricordo perfettamente l'apprezzamento di numerose famiglie ebree per la memoria di mio padre».
D. L’articolo del Corriere on line afferma anche che suo nonno era «ricattabile» dal regime fascista.
«Che mio nonno fosse ricattabile è un'altra invenzione. Il nonno scriveva sul “Messaggero” articoli sulla salute. Ma che non fosse non solo ricattabile, ma neanche influenzabile, lo dimostra il fatto che, alle ripetute richieste del Duce di divenire il suo ministro della Sanità, oppose sempre un netto rifiuto».
(Fonte:
Luciano Garibaldi, Riscossa Cristiana, 20 giugno 2012)
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