sabato 9 giugno 2012

Solo il Papa non può... nel TG di Bianca Berlinguer

“E’diritto di cronaca!”, ti dicono i giornalisti-grandi-firme-&-incarichi-prestigiosi (che spesso sono “figli di…”, “amici di…”, “tesserati di…”), quando devono giustificare le peggio violazioni del codice, della deontologia, della privacy…
Ottimi conoscitori dei (loro) diritti, i suddetti giornalisti-grandi-firme-&-incarichi-prestigiosi mal sopportano però l’idea del “dovere di cronaca”, specie quando di mezzo c’è il Papa ma non c’è nessuno scandalo da sbattere gongolanti in apertura, nessun incartamento trafugato, nessun tema tanto scottante da farci uno scoop, nessuno sfrucugliamento pruriginoso.
Ieri, Padre Georg aveva preventivamente dato ai media il discorso integrale del Pontefice alla Scala, indicando che sarebbe durato intorno ai dodici minuti. Facile, dunque, calcolare i tempi e programmare l’edizione del telegiornale. Che fa Bianca Berlinguer, direttrice del Tg3 e, ieri sera, anche conduttrice? Sfuma il Papa. Taglia la conclusione del suo discorso.
Certo, lei è la direttrice e “può”. Ha il diritto (bulgaro) di fare ciò che crede. I diritti degli utenti (paganti) di sentire il Papa dall’inizio alla fine evidentemente non valgono quanto il suo di non ascoltarlo e di “tagliare corto”.
Eppure il padre Enrico, segretario del PCI, chissà quante volte l’avrà spiegato, alla primogenita Bianca, che “comunismo” vuol dire che siamo tutti uguali! Niente da fare, tempo perso. Evidentemente la carega del potere fa… la differenza. Anche a sinistra. E così, nel mondo degli eguali, qualcuno diventa, per carriera, “più eguale” degli altri.
Del resto, che il Papa alla Berlinguer non stia simpatico (ma neanche la Chiesa, ma neanche i cattolici) non è una novità. Ricordasse, almeno, che è direttrice (direttora?) di una rete del servizio pubblico, magari turandosi il naso farebbe quel che deve fare, meritando, così, i soldi che le diamo. Invece no. Più del dovere poté il potere. “Voglio, posso, comando”. Io, Bianca Berlinguer, se mi va sfumo anche il Papa. Detto, fatto.
Posso anche capire il “fastidio” della direttora di fronte alle parole di Benedetto XVI. Non mi riferisco, in particolare, a ciò che ha detto ieri: il ragionamento è più generale. Capita che il mondo e la Chiesa, nella persona del vicario di Pietro e, in generale, dei suoi pastori, usi le stesse parole del “mondo”, ma la sproporzione è tale e tanta da… confondere. E’ come se gli occhi vedessero, le orecchie sentissero, ma si fosse persa la chiave interpretativa e così al significante non corrisponde più un significato univoco, ma una pluralità di sfumature che, davvero, può turbare e disturbare.
Un esempio? Oggi il Papa, allo stadio Meazza, ha incontrato cresimati e cresimandi. Ha ricordato loro i doni dello Spirito e ne ha parlato così:
“– il primo dono è la sapienza, che vi fa scoprire quanto è buono e grande il Signore e, come dice la parola, rende la vostra vita piena di sapore, perché siate, come diceva Gesù, «sale della terra»;
– poi il dono dell’intelletto, così che possiate comprendere in profondità la Parola di Dio e la verità della fede;
– quindi il dono del consiglio, che vi guiderà alla scoperta del progetto di Dio sulla vostra vita, vita di ognuno di voi;
– il dono della fortezza, per vincere le tentazioni del male e fare sempre il bene, anche quando costa sacrificio;
– viene poi il dono della scienza, non scienza nel senso tecnico, come è insegnata all’Università, ma scienza nel senso più profondo che insegna a trovare nel creato i segni, le impronte di Dio, a capire come Dio parla in ogni tempo e parla a me, e ad animare con il Vangelo il lavoro di ogni giorno; capire che c’è una profondità e capire questa profondità e così dare sapore al lavoro, anche quello difficile;
– un altro dono è quello della pietà, che tiene viva nel cuore la fiamma dell’amore per il nostro Padre che è nei cieli, in modo da pregarLo ogni giorno con fiducia e tenerezza di figli amati; di non dimenticare la realtà fondamentale del mondo e della mia vita: che c’è Dio e che Dio mi conosce e aspetta la mia risposta al suo progetto;
– e finalmente il settimo e ultimo dono è il timore di Dio – abbiamo parlato prima della paura –; timore di Dio non indica paura, ma sentire per Lui un profondo rispetto, il rispetto della volontà di Dio che è il vero disegno della mia vita ed è la strada attraverso la quale la vita personale e comunitaria può essere buona; e oggi, con tutte le crisi che vi sono nel mondo, vediamo come sia importante che ognuno rispetti questa volontà di Dio impressa nei nostri cuori e secondo la quale dobbiamo vivere; e così questo timore di Dio è desiderio di fare il bene, di fare la verità, di fare la volontà di Dio”.
Ecco l’“esperimento”. Provate a leggere la definizione che dà il Papa dei sostantivi che corrispondono ai doni dello Spirito e poi provate a chiedervi cosa intende, oggi, per “sapienza”, un non credente. O per “pietà”. Guardate cosa dice Benedetto XVI della scienza.
Può Bianca Berlinguer (ma potremmo mettere al suo posto un ateo, un laicista, un razionalista, un agnostico qualsiasi…)… possono, costoro, oggi, staccarsi dall’idea positivistica di scienza? Eppure leggete cosa scrisse lo scienziato e filosofo francese Jules-Henri Poincaré, membro dell'Académie française, nell’opera del 1902 La scienza e l’ipotesi: “La scienza è fatta di dati, come una casa di pietre. Ma un ammasso di dati non è scienza più di quanto un mucchio di pietre sia una casa”. Pur nella diversità di visione della realtà rispetto ai cattolici, Poincaré con questa affermazione si è dimostrato intellettualmente onesto. C’è, oggi, questa “onestà intellettuale”?
E guardate, ora, come parla il Papa del “timor di Dio”. Una che è scesa in piazza Se non ora quando, tutte le volte che l’ha ritenuto necessario: per la libertà, intesa come autodeterminazione, per il corpo-è-mio-e-lo-gestisco-io, contro l’auctoritas… può non sentire fastidio quando le tocca dare la parola a uno (fosse anche il Papa) che parla della “volontà di Dio” e del “disegno di Dio sulla nostra vita”?
Si può, nel mondo relativista in cui viviamo, regalare dodici minuti al Pontefice lasciandogli dire che la Verità esiste, o la tentazione alla censura è irresistibilmente più forte del “dovere di cronaca”?
Oggi, a San Siro, Benedetto XVI ha ricordato ai giovani l’importanza della fedeltà alla Messa, al sacramento della Riconciliazione, alla preghiera personale che è dialogo con il Signore. “Confidatevi con Lui, ditegli le gioie e le preoccupazioni, e chiedete luce e sostegno per il vostro cammino”, ha detto. Figuriamoci! La luce elettrica, a casa Berlinguer-Manconi basta e avanza (o forse la coppia brilla di luce propria… chissà).
E poi, ve la immaginate la direttora abbozzare un sorriso di circostanza, qualora la telecamera facesse uno stacchetto imprevisto sulla conduttrice, mentre il santo Padre dice ai ragazzi: “Siate obbedienti ai genitori, ascoltate le indicazioni che vi danno, per crescere come Gesù «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,51-52)”?
Femminista, postfemminista, contestatrice dal primo vagito, già alla parola “obbedienza” verrebbe presa, in diretta, da uno di quegli attacchi di orticaria che non c’è cerone che tenga. Lo vedresti non solo in studio, anche in mondovisione.
C’è però una cosa che più di tutte infastidisce del Papa e della Chiesa. In un mondo che vorrebbe i ragazzi omologati e con desideri piccoli piccoli; ripetitori acritici del pensiero dominante, appiattiti sull’hic et nunc, oggi, con paterna fermezza, Benedetto XVI così ha detto all’immensa folla di giovani che ha colorato di vita e di speranza lo stadio Meazza, Milano, l’Italia e il mondo intero: “Permettetemi di dirvi che il Signore ogni giorno, anche oggi, qui, vi chiama a cose grandi. Siate aperti a quello che vi suggerisce e se vi chiama a seguirlo sulla via del sacerdozio o della vita consacrata, non ditegli di no! Sarebbe una pigrizia sbagliata! Gesù vi riempirà il cuore per tutta la vita! Cari ragazzi, care ragazze, vi dico con forza: tendete ad alti ideali: tutti possono arrivare ad una alta misura, non solo alcuni!”
Cara Bianca, sa una cosa? Forse è vero che non siamo “tutti uguali”. Come diceva Oscar Wilde, “Siamo tutti nati nel fango, ma alcuni di noi guardano alle stelle”.
Anche se sfuma “alcuni di noi”, perché non la pensiamo come lei, sarà battaglia persa. Forse il suo (di lei) sguardo si accontenta di fissare la lucetta della telecamera. Il nostro sguardo vuole di più. Cerca l’Infinito.

(Fonte: Luisella Saro, Cultura Cattolica, 2 giugno 2012)
 

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