A sferrare un altro colpo più micidiale del primo, dalla prima pagina del “Foglio”, è nientemeno che Vittorio Feltri, direttore del “Giornale”, cioè colui che a fine agosto aveva attaccato e fatto dimettere il direttore di “Avvenire” Dino Boffo sulla base di carte diffamatorie a lui pervenute “da fonti vaticane”: carte rivelatesi poi false, come riconosciuto dallo stesso Feltri in una memorabile rettifica del 4 dicembre.
Già in quella rettifica Feltri aveva alzato il velo sull’ “informatore attendibile, direi insospettabile” che gli aveva passato le carte. Ma ora, intervistato dal “Foglio”, dice molto di più: “Tutta la vicenda è nata da un fatto: una personalità della Chiesa della quale ci si deve fidare istituzionalmente mi ha contattato e fatto avere la fotocopia del casello giudiziale dove veniva riportata la condanna di Boffo e, assieme, una nota informativa, che per capirci potremmo chiamare velina, che aggiungeva particolari alla notizia”.
Così l’intervista di Feltri al “Foglio” di Giuliano Ferrara, prosegue: “Avrei voluto vedere chi, al posto mio, non si sarebbe fidato di questa persona”. Perché? “Perché ci si doveva fidare istituzionalmente”, dice Feltri, calcando parecchio su quell’avverbio: “istituzionalmente”. E ancora: “Non ho dubitato neppure per un attimo di questa persona perché non si poteva dubitare di lei. E come se io, che sono direttore del ‘Giornale’, venissi da lei e le facessi due racconti retroscena sul giornale che dirigo: lei ci crede a quanto le dico oppure no? Sono o non sono ai suoi occhi affidabile? Direi assolutamente di sì”.
Feltri spiega ancora: “L’emissario inviato da questa personalità arrivò da me per portarmi la fotocopia del casellario giudiziale dove si leggeva che Boffo era stato condannato e aveva pagato una pena pecuniaria per molestie. Prima di andarsene mi lasciò anche un foglietto, quello che poi tutti hanno chiamato ‘velina informativa’, che in realtà altro non era che un riassunto degli atti processuali: almeno questo a me è stato detto. In questa velina si diceva che chi aveva fatto questa molestia era un omosessuale. Così, fidandomi del fatto che la ‘velina’ altro non era che un riassunto degli atti processuali (allora secretati) decido di scrivere quanto sapete e il giorno dopo tutti i giornali danno grande enfasi alla cosa”.
Conclude Feltri: “Che dentro la Chiesa ci sono più anime lo sanno tutti. E che nel caso Boffo un’anima era interessata a far sì che certe cose uscissero è evidente. Ma l’ho capito dopo. È ovvio: sapevo benissimo che chi mi aveva contattato l’aveva fatto non certo per regalare uno scoop al ‘Giornale’. Ma a me interessava la notizia e la notizia c’era tutta: una condanna per molestie nei confronti di Boffo e il pagamento da parte di Boffo di una pena pecuniaria. Questa è la sostanza della notizia. Il resto sono particolari sui quali, come è giusto che fosse, sono ritornato sul ‘Giornale’ dopo che l’avvocato di Boffo mi ha fatto scoprire la loro inesattezza”.
Fin qui Feltri su “il Foglio” del 30 gennaio. Già abbiamo avuto di seguire passo passo lo svolgersi della vicenda. Compreso quel passaggio rivelatore costituito dall’articolo di “Diana Alfieri” sul “Giornale” del 19 settembre, il cui autore vero era Vian.
Anche da ciò che Feltri ha detto al “Foglio” trova quindi conferma che l’operazione contro Boffo, contro “Avvenire” e in definitiva contro la linea del cardinale Camillo Ruini, è nata dentro la Chiesa, e dentro la Chiesa voleva colpire.
Ma ora si è giunti al “redde rationem” finale. Il giornale del papa è al tappeto, nella persona del suo direttore, e le autorità vaticane, in testa la segreteria di stato, non possono più tirare avanti come se nulla fosse. Il conteggio è iniziato e il k.o. tecnico appare il verdetto più logico.
O peggio, in Vaticano tireranno avanti proprio così: come se nulla fosse.
(Fonte: Sandro Magister, Settimo cielo, 30 gennaio 2010)
Nessun commento:
Posta un commento