La Polonia ha celebrato unita la memoria dei propri morti, non solo i 23.000 ufficiali assassinati a Katyn, ma anche le più alte cariche dello stato e del governo che hanno perso la vita nella tragedia aerea di Smolensk, oltre il confine orientale, nei pressi di Katyn. Una coincidenza singolare, come ha osservato l’ex presidente Lech Walesa, quella di un cupo luogo geografico che per la seconda volta tragicamente inghiotte l’elite politica ed intellettuale della nazione. Da giorni a Varsavia la gente si raduna spontaneamente davanti al palazzo presidenziale per piangere e pregare, portando fiori e candele, ed anche all’estero l’attenzione dei numerosi polacchi dispersi ormai per tutti i paesi del mondo si è polarizzata su questa tragedia. Tra i 96 morti anche due figure simbolo della resistenza della nazione ai deliri totalitari: Ryszard Kaczorowski, ultimo presidente del governo polacco in esilio a Londra (che non riconobbe mai la legittimità del potere comunista insediatosi a Varsavia), ed Anna Walentynowicz, l’eroina di Danzica, dal cui licenziamento presero avvio gli scioperi dei cantieri navali del 1980 e l’epopea di Solidarnosc.
La vicenda (ben poco conosciuta) di Ryszard Kaczorowski merita almeno un cenno perché racconta il carattere indomito di questa nazione. Scampato nel 1939 ad una condanna a morte inflittagli da un tribunale sovietico, Kaczorowski sopravvive anche ai lavori forzati cui è destinato nelle terribili miniere di Kolyma. E’ uno dei pochi a tornare da quell’inferno e, non appena se ne presenta la possibilità, si unisce alle ricostituite forze polacche che combattono contro i tedeschi in Italia, agli ordini del generale Wladyslaw Anders (II Corpo Polacco). Con Anders partecipa alla IV battaglia di Montecassino nel Maggio del 1944, alla liberazione di Ancona e, infine, a quella di Bologna il 21 Aprile 1945. Ovunque in Italia i soldati dell’Armia Krajowa sono accolti come liberatori, non così in patria dove il nuovo governo comunista, appena insediato, li accusa di essere traditori e mercenari al soldo degli Inglesi. Viene così revocata loro la cittadinanza e preclusa la possibilità di un ritorno a casa. Si calcola in almeno 150.000 il numero dei veterani costretti all’esilio, tra questi vi sono eroi del calibro di Anders e lo stesso Kaczorowski, cui non resta altro da fare che offrire la propria lealtà al governo polacco costituitosi nel frattempo a Londra. Molti di loro non vedranno più in vita la loro amata patria. Il governo polacco in esilio non avrà vita facile e comunque non sarà in grado di giocare alcun ruolo negli anni del dopoguerra, anzi diventa fonte di un crescente imbarazzo per i britannici rendendo ancor più difficili le relazioni con i paesi socialisti. Ciò nonostante non pochi polacchi continuano a guardare a quello di Londra come all’unico governo legittimo della nazione, e quando nel Dicembre del 1990 Lech Walesa diventa il primo presidente della Polonia post-comunista, una delegazione raggiunge in segreto Londra affinché il leader di Solidarnosc riceva simbolicamente il mandato non dal generale Wojciech Jaruzelski, ma dalle mani dell’anzianoRyszard Kaczorowski, ultimo rappresentante del governo polacco in esilio. In quell’occasione, dopo ben 52 anni, sono restituiti i simboli dello stato polacco: la bandiera presidenziale rossa, i sigilli presidenziali e dello stato, il testo originale della Costituzione del 1935. Con ciò viene ristabilita la continuità della Repubblica e si riconosce, retroattivamente, la piena legittimità del governo in esilio. Sono vicende che devono esser conosciute se si vuol capire lo spettacolo di grande fierezza e dignità nazionale di cui sta dando mostra il popolo polacco.
In questi giorni, invece, chi avesse dato un’occhiata alla pagina delle lettere di Avvenire ne avrà notate alcune firmate da polacchi residenti in Italia che si dicono amareggiati per il clima di faziosità e di indifferenza che ha accompagnato nel nostro paese le commemorazioni dei morti di Katyn e di Smolensk. Condivido. Parte della nostra “intellighentsia” intellettual-giornalistica è parsa del tutto latitante, ormai ci sono quelli che si rianimano solo se c’è da sputar fiele sulla Chiesa o sul papa. Ci siamo assuefatti ad una faziosità politica spinta all’estremo, al punto che qualcuno non ha mancato di tirar un sospiro di sollievo quando ha visto che la gran parte delle vittime apparteneva al partito di governo, quello etichettato come conservatore, quello ostile alle battaglie per i “nuovi diritti”. Come a dire che “non tutti i mali vengono per nuocere”. E mentre in Russia il presidente Putin riconosceva le responsabilità storiche del suo paese ed autorizzava la messa in onda del bellissimo film “Katyn” del regista polacco Andrzej Wajda, nel nostro paese andava in scena l’ennesimo spettacolo censorio. Il capogruppo del Pdl al senato Gasparri sollecitava l’inserimento nella programmazione televisiva del film di Wajda (di cui la RAI detiene da tempo i diritti) e la cosa era presa come una provocazione, come l’ennesimo attentato alla libertà del servizio pubblico! Al termine di uno scambio di pareri e di missive, i dirigenti dell’azienda concedevano la possibilità di un passaggio su RaiNews24 in seconda serata o tutt’al più sulla Rete 3 nella programmazione notturna. Ma il colmo lo si era toccato con la pubblicazione da parte dell’Unità di un’insulsa vignetta di Staino. Per chi non l’avesse vista ne riassumo in breve il contenuto: Bobo annunzia alla figlia Ilaria che 96 membri del governo polacco sono spariti in un colpo solo, la figlia replica che è sempre la solita storia, con qualcuno che ha tutte le fortune e qualcun altro niente! Chiaro il riferimento al governo italiano di cui si auspica un’altrettanto tragica fine ed altrettanto evidente la cinica esibizione di indifferenza nei confronti del dolore polacco. Concita De Gregorio non ha trovato di meglio che difendere l’infelice scelta millantando un’improbabile attitudine del quotidiano da lei diretto a “trovare sempre il sorriso in ogni tragedia”.
(Fonte: Stefano, La Cittadella, 20 aprile 2010)
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