venerdì 23 aprile 2010

Ma tra l’assedio alla Chiesa e l’antisemitismo un legame c’è

Non stiamo giustificando alcunché. Ma si deve essere ciechi per non vedere che, in un mondo in cui la pedofilia diventa addirittura partito, l’indignazione a senso unico ha altri obiettivi, magari far pagare il conto di Ratisbona
Non è facile puntualizzare questioni tanto delicate, ma proviamo almeno a fare una sintesi di problemi. L’accusa nei confronti della Chiesa non è tanto di avere preti pedofili nel suo seno quanto di essere stata omertosa nei loro confronti. Ammettiamo pure che debba essere verificata. Ma c’è poco da verificare circa la natura della tolleranza che ha circondato per un triennio l’esistenza del Pnvd, partito olandese esplicitamente pro-pedofilo, il quale si è sciolto giorni fa solo perché non ha raccolto un numero sufficiente di firme per presentarsi alle elezioni, ma non perché fosse illegale. Anzi la Corte costituzionale olandese deliberò non potersi dichiarare anticostituzionale un partito in base al suo programma!… Ora, sia chiaro, una colpa non lava l’altra, ma lascia stupiti l’enorme scandalo suscitato nel primo caso e il silenzio totale nel secondo, in cui l’omertà è plateale. Quando si viene a sapere che si sta aprendo il capitolo della pedofilia nelle scuole rabbiniche, un sospetto viene alla mente: che qualcuno abbia pensato di cavalcare il sacrosanto sdegno nei confronti di un’aberrazione così schifosa e repellente per dare addosso alla religione in quanto tale. E attenzione: a certe religioni, guarda caso quelle che sono al cuore dell’Occidente. Se in un paese dell’Unione Europea si concede che un partito pedofilo possa presentarsi alle elezioni, nessuno fa una piega: è un’“opzione culturale”. Se si taglia la gola alle figlie che si sposano con un infedele ci si volta dall’altra parte: è un’“opzione culturale”. Anche consentire alle minorenni di abortire senza dirlo ai genitori è un’“opzione culturale”. All’interno di questa logica aberrante anche un prete avrebbe diritto alla sua “opzione culturale”.
Nessuno provi a dire che stiamo giustificando alcunché o alcuno. Ma bisogna essere ciechi per non vedere che, in un mondo in cui la pedofilia dilaga, questa campagna mirata, questa indignazione morale a senso unico ha altri obiettivi, magari far pagare il conto del discorso di Ratisbona.
In questo contesto certe contrapposizioni manifestano una cecità sconcertante. Tanto per esser chiari, non ho capito perché riaprire la polemica sulla preghiera del Venerdì santo per la salvezza degli ebrei. Trovo altresì sconcertante il silenzio di fronte ai proclami provenienti dal mondo islamico secondo cui l’ebraismo non ha legami storici e religiosi con Gerusalemme. Persino il premier turco ha proclamato che gli ebrei non hanno diritti su Gerusalemme, “pupilla dell’occhio dell’islam”. È un autentico scandalo. Quest’anno la Pasqua ebraica – in cui da duemila anni si recita la formula “L’anno prossimo a Gerusalemme” – è stata contrassegnata da una delegittimazione morale di Israele senza precedenti. Si parla di Stato razzista e si stabilisce un assurdo paragone con il Sudafrica dell’apartheid. A Israele non viene neppure riconosciuto il merito di aver garantito una libertà di accesso ai luoghi santi sconosciuta dalla morte di Gesù. Su questo scandalo non si sono udite parole di condanna da parte della Chiesa e del mondo cattolico.
Il confronto tra l’attuale situazione della Chiesa e l’antisemitismo era stato formulato in modo infelice, ma, come ha osservato Vittorio Dan Segre non era senza fondamento. Come «la Chiesa non è un’istituzione di vizio mascherato da falsa umiltà e carità» così «l’ebraismo non è un gruppo di potere economico, razzista, mascherato da falso vittimismo». E sia la Chiesa che Israele «sono testimoni del fatto che esistono verità morali nella società e nella politica». Ma che senso ha aver cura soltanto della propria delegittimazione, ignorando quella dell’altro o addirittura avallandola?

(Fonte: Giorgio Israel, Tempi, 13 aprile 2010)

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