Non siamo bacchettoni, viviamo nel mondo. Non vogliamo imporre censure né strapparci le vesti facendo gli indignati nel nome della morale. Ma ci sembra che in questi giorni si sia davvero toccato il fondo.
I quotidiani più seri sono zeppi di particolari piccanti, di retroscena erotici, di ammiccamenti pornografici. La mattina, mentre sei in macchina e accompagni i figli a scuola, devi tener spenta la radio perché pure i radiogiornali sono tutto un doppio senso, un’indugiare sui dettagli relativi alle prodezze sessuali delle ragazze alla corte del premier.
Non parliamo poi dei programmi d’intrattenimento, che da mane a sera, senza badare a fasce protette, sono infarciti di particolari piccanti. Tutti ora si contendono Ruby, la procace ragazza marocchina alla quale – detto in tutta sincerità – ben pochi avrebbero dato l’età che ha.
Tutti tuonano contro l’esibizione delle parti intime femminili, dello squalificante commercio del corpo delle donne, del sesso ridotto a squallida merce di scambio per fini di carriera. E intanto, proprio quelli che s’indignano, continuano a trasmettere notizie, a mettere in pagina, a imbastire talk show, a proporre approfondimenti che vanno inesorabilmente a finire lì. Continuano, insomma, a fare audience, in nome del diritto di cronaca, proprio con il corpo delle donne.
Intendiamoci: nessuno vuole porre bavagli o mettere in discussione il diritto di cronaca. Ma c’è da chiedersi se in nome di questo diritto sia necessario proprio descrivere ogni particolare. Dove finisce il diritto di cronaca e dove inizia il voyerismo? Per capire ciò che è accaduto, per inquadrarlo, per fornire un’informazione completa, è davvero necessario questo fuoco di fila esibizionista?
Non c’è solo il triste «Bunga bunga» di Arcore. Era già accaduto con il caso Marrazzo: in quelle settimane, non c’era canale tv, non c’era talk show ad ogni ora del giorno e della notte che non avesse come ospite fisso un transessuale. Ma il problema si pone pure per i tragici, recenti casi di cronaca, come quello di Avetrana, come ha ben spiegato nell’intervista a La Bussola il filosofo Silvano Petrosino.
Non è facile immaginare soluzioni. I codici deontologici non bastano, non reggono. È come se, in nome dell’audience, si spingesse sempre più in là il limite. Il dio dell’Auditel è signore incontrastato nello stabilire il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il bello e il brutto. È un gran casino…
(Andrea Tornielli, La Bussola quotidiana, 20 gennaio 2011)
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