Il tempismo con cui Roma ha voluto rendere omaggio al neo beato Giovanni Paolo II posando una statua in suo onore e ricordo in una aiuola davanti all’ingresso principale della stazione ferroviaria di Termini, è indubbiamente encomiabile: non altrettanto il manufatto che lo dovrebbe testimoniare.
Sono stato sempre un benpensante. Ero convinto che certe cose non potessero mai succedere, soprattutto in ambienti religiosi, dove l’arte e l’amore del bello, dovrebbero essere a casa loro, come è sempre successo nei secoli passati.
E invece, ahimè, tutto viene travolto, tutto viene fagocitato da quell’orda di artisti intellettualoidi, le opere dei quali per essere capite dal pubblico necessitano di un manuale di istruzioni. L’arte è immediatezza, è colpo d’occhio, è armonia che esplode nell’anima e nel cervello di chi guarda, è amore a prima vista, è il classico colpo di fulmine.
Alludevo prima agli ambienti religiosi. Si, perché sono convinto che le parole del sindaco Alemanno ─ secondo cui il bozzetto sarebbe stato approvato dalla competente commissione ecclesiastica ─ corrispondano a verità. E costituirebbe un deplorevole “dejà vu”. Ho infatti già avuto modo in passato di esprimermi negativamente sulle illustrazioni inserite nell’ultima edizione del Lezionario Cei. “Capolavori dell’arte pittorica contemporanea” hanno strombazzato i responsabili, per dare man forte al battage pubblicitario sostenuto dalla suddetta commissione; “incomprensibili scarabocchi, di pessimo gusto, inconciliabili con la sacralità del loro contesto”, dico io. E non solo io, ma un numero plebiscitario di utenti, che preferiscono comunque mantenere l’anonimato.
Ma torniamo alla nostra “cosa”: un ammasso di bronzo inguardabile; un misto tra una garitta militare, più idonea per un posto di blocco, un “vespasiano” (mi si perdoni l’accostamento) e un grosso covone di paglia conico, dal quale il contadino ha già asportato parte del materiale con precisi tagli di falce (sul tipo del kebab esposto nelle vetrine delle rosticcerie, tanto per capirci). Infine, sulla sommità, una palla rotonda, tipo grossa anguria, con vaghi richiami ad una imprecisata fisionomia umana, fa da ciliegina sulla torta.
Certo l’intenzione dei promotori dell’opera, come ho detto, è quanto mai lodevole: avere un bel monumento, una statua riconoscibile del Beato Giovanni Paolo II proprio di fronte all’ingresso principale della stazione, che in qualche modo accogliesse i viaggiatori per dare loro il suo benvenuto e la sua benedizione, era e rimane, un progetto formidabile.
Ma è lo sgorbio ─ l’autore non me ne voglia ─ messo in opera, è l’attuazione di questo progetto che non solo non rende giustizia alla ieratica e prorompente figura di Woityla, ma costituisce un insulto ─ involontario per carità ─ sia al Beato Papa che alla sensibilità estetica dei romani e dei visitatori. La colpa di ciò, a mio modesto parere, non è tanto ascrivibile all’artista che ha realizzato la scultura ─ anche se evidentemente si è lasciato fuorviare da quell’assurdo principio, oggi diventato canone artistico, secondo cui un’opera è tanto più pregevole quanto più è incomprensibile ─ quanto dei componenti di quella certa commissione di esperti che vigila sui progetti e che dovrebbe costituire una garanzia per il decoro e la bellezza del sacro, e che invece non si fa scrupolo di avallare entusiasticamente opere pittoriche, scultoree e architettoniche (vedi alcune recenti Chiese semplicemente orripilanti) che nulla hanno a che spartire con arte sacra, devozione, culto, pietà popolare.
Speriamo che quanto prima le autorità competenti provvedano a rendere giustizia e autentico onore al nostro beato Giovanni Paolo II.
(Mario, 25 maggio 2011)
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