lunedì 2 maggio 2011

Una nota di colore: Il Beato Giovanni Paolo II demolisce il “Papa” di Nanni Moretti

Pare che l’ultimo film di Nanni Moretti (“Habemus Papam”) stia avendo un gran bel successo ai botteghini e pare che la cosa sia dovuta anche al fatto di averlo fatto uscire a Pasqua. Sarà pure, ma io vedo piuttosto l’infausta combinazione, per il regista, con la beatificazione di Giovanni Paolo II.
Perché? Perché la storia di questo personaggio eccezionale, di questo Papa eccezionale, che abbiamo visto, incontrato, toccato, è lì a dimostrare che la realtà è molto più grande di quella che ha in testa Moretti, e, soprattutto, che c’è davvero lo Spirito all’opera dentro la Chiesa. E così la grande celebrazione di Domenica scorsa, con la possibilità di rivedere un film che non rappresenta una realtà immaginaria, ma una storia verificabile, ha spazzato via tutti i dubbi, i dolori, le fatiche del papa di Moretti, in cura dallo psicanalista, in fuga dal suo ministero.
Un papa in fuga, al quale viene addirittura chiesto se abbia perduto la fede, e lui risponde “no, assolutamente no”. Ci voleva un laico dichiarato come Angiolo Bandinelli oggi sul Foglio, a sottolineare come questa risposta sia “assolutamente fuori luogo”. Può andare bene per l’ideologia di Moretti, non per un figlio vero della Chiesa e addirittura per il successore di Pietro. Di Celestino V ce n’è stato un solo, ma appunto è stato identificato come “colui che per viltà fece il gran rifiuto”, e nel giudizio di Dante si sente lo scandalo suscitato da un Papa che si rifiuta di sostenere il martirio che è connesso con la sua pesantissima carica. Il papa di Moretti, che fugge e difende senza dubbi la sua fuga, non è un vero Papa. Se anche volessimo ricordare la figura dolorosa di Paolo VI (il cui pontificato deve aver segnato la storia di Moretti) o quella altrettanto sofferente di Giovanni Paolo I, dovremmo però riconoscere che loro non sono fuggiti, che hanno portato la croce fino in fondo, fino a dare la vita. Come Pietro, di cui ci è stato tramandato il famoso episodio del “Quo vadis?”.
A rompere le uova nel paniere di Moretti, ecco Giovanni Paolo II, l’energico, il coraggioso, il globe-trotter, l’uomo di fede e autentica e rocciosa che né il Nazismo né il Comunismo sono riusciti ad abbattere. Ci scorrono nella memoria le immagini di gesti epocali: l’attentato in piazza San Pietro e la successiva visita al suo attentatore; la voce energica che grida “convertitevi” ai mafiosi, nella valle dei templi di Agrigento; le sue messe nella Polonia comunista e i “suoi” polacchi in ginocchio con il rosario in mano di fronte alle fabbriche; le sue battaglie per il diritto alla vita; i suoi incontri con i potenti della terra, da uomo libero, da pari a pari; i suoi toccanti incontri con i poveri, i sofferenti, i bambini, le donne...
Quando quella sera in piazza San Pietro giunse la notizia che il Papa era morto, scrosciò un applauso incredibile. La gente era felice. Il popolo cristiano esprimeva così la propria fede: quello è stato davvero un dies natalis, non una morte. Queste sono le immagini, le parole, le verità che Moretti non ci fa vedere, non ci sa dare, perché Moretti è figlio della crisi postconciliare. E attenzione: non è che Giovanni Paolo II non sentisse il peso delle sofferenza, delle contraddizioni, del dolore a volte inspiegabile dell’umanità. Non è che non vedesse tutto il marcio della povera umanità che riempie la Chiesa di Dio. Negli ultimi anni sembrava come fisicamente prostrato da tutto il male del mondo, un alter Christus. Ma quegli occhi, sempre vivi, sempre lucidi, sempre terribili e dolci, erano aperti su un altro mondo, su un’altra realtà più grande. Erano gli occhi di un uomo che viveva le tre virtù somme, inconcepibili per l’uomo, cristiane: la fede, la speranza, la carità.
Insomma, il film di Moretti, cadendo in questi giorni, appare del tutto “fuori luogo”, come scrive Bandinelli. Non è attuale e non è nemmeno vero. Ma c’è un’altra cosa che la storia vera di Giovanni Paolo II spazza via, c’è un’altra “verità” comune e politicamente corretta che travolge senza troppi complimenti. Bandinelli (ritrovandola nel film di Moretti) la esprime così: “dissonanza tra il potere, l’ufficialità, l’esteriorità rituale e l’interiorità: insomma, tra l’istituzione e l’uomo”. E’ quello che l’uomo comune che si dice cristiano ma in sostanza se ne frega di Cristo, riassume nella massima: “Credo in Gesù ma non nella chiesa”.
Ora, è vero che la Chiesa, nei suoi uomini, spesso non è affatto amabile, né addirittura credibile. Ma Giovanni Paolo II, questo santo che abbiamo conosciuto e visto all’opera, è il più grande spot in favore di tutti quegli uomini che invece sono segno della presenza di Cristo qui e ora. Nessuna dissonanza tra il potere, l’ufficialità, l’esteriorità e l’interiorità. Nessuna distanza tra l’istituzione e l’uomo. Giovanni Paolo II ha ridotto le distanze, le ha cancellate, le ha spazzate via. Testimoniando che la Chiesa, nella sua normalità, è qualcosa di molto più bello, grande e gioioso di quello che Moretti e quelli come lui (Bandinelli compreso) hanno in mente. E del resto basterebbe guardare il volto pacifico e profondo di Benedetto XVI per rendersene conto.
Domenica c’è stato il trionfo di Pietro. Il trionfo di un misterioso progetto, di questa grande casa, la Chiesa, che Cristo ha voluto mettere sulle spalle (a volte piccole, a volte grandi, a volte inadeguate, a volte forti) di un gruppetto di uomini semplici.

(Fonte: Gianluca Zappa, La cittadella, 28 aprile 2011)


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