Si
parla tanto di morte, in questi giorni. Novembre è il mese dei morti, nella
tradizione cristiana, e in questi giorni tanta gente frequenta i cimiteri. Poi
c’è stata la shoccante morte in diretta di un bravo ragazzo, che in più era un
campionissimo del motociclismo, Sic Simoncelli. Infine c’è stata la morte
consumistica, orrida e pagana di Halloween, uno stupido pseudo-rito impostoci
dal mercato mondiale.
Non
parlerò di Halloween. È un’idiozia in sé e per sé, che però diventa veramente
pericolosa quando viene presa sul serio dagli adulti (in primis le mamme e le
maestrine delle scuole d’infanzia e delle elementari). Insomma, il problema non
sono le zucche di Halloween, ma quelle zucche vuote che lo celebrano.Voglio invece concentrarmi sullo striscione che è stato esposto al funerale di Simoncelli e che più o meno diceva: “Va’ e insegna agli angeli a impennare”. La frase è bella, un po’ patetica, e ci stava bene in un funerale di quel genere. C’era del poetico, c’era molto sentimento in quelle parole. La morte del giovane campione ha messo tutti di fronte alla fragilità della vita, della gloria, delle realizzazioni dell’uomo. La morte fa sempre questo brutto effetto: ti spiazza, ti sconvolge, perché in qualche modo senti che non ha senso, ma anche perché si abbatte con troppa violenza a troncare qualcosa che tutti non ci rassegniamo a credere finito.
E lo striscione testimoniava proprio questo: di fronte alla morte di Sic, è bello dirsi che non è finito tutto, che Sic è vivo e gira in moto tra le nuvole, in un’altra dimensione e magari “insegna agli angeli a impennare”. Però... però manca qualcosa. La bella immagine, poetica, piena di sentimento, è fragile, come la vita di un uomo. E’ una bella narrazione, una bella favola, ma rischia di restare tale. E’ solo un’illusione, con cui sopravvivere a quei giorni in cui il dolore per la morte dell’amico, del campione, del punto di riferimento è troppo forte. In fondo l’uomo ha bisogno di consolarsi. Ma sa anche capire, se solo ci pensa, quando la sua è solo una misera consolazione.
Quella frase in quello striscione, esposto durante un funerale cristiano, non è una frase cristiana, questo è il punto. Perché? Perché manca Cristo, l’unico che nella storia del genere umano ha risposto al problema della morte. Non si può parlare di Paradiso, di angeli e di tutto il resto, se si prescinde da Gesù il Risorto. Non si può continuare a giocare con le illusioni. Nessuna illusione: Sic Simoncelli è andato ad incontrare Lui, Gesù, che gli è andato incontro e l’ha abbracciato e l’ha riportato dentro il suo amore. Questo è accaduto davvero, questo è accaduto ai nostri morti, questo accade a tutti coloro che vengono salvati.
Nella morte cristiana c’è questo incontro, questo abbraccio, questo amore, questa pace, questa luce. La morte cristiana è l’incontro con l’Amore che genera l’amore. E’ l’incontro con una Persona, che è il destino di tutti noi. Non è niente meno di questo. Il Paradiso ce lo possiamo immaginare molto umano. E allora Sic Simoncelli potrà continuare a guidare la sua moto. Ma in questo modo stiamo solo facendo ciò che tutti gli uomini hanno sempre fatto, andando appresso alle loro illusioni, al loro bisogno di eternità. Io, cristiano, non credo che Simoncelli sia ancora attaccato alla sua moto. Io credo che stia sperimentando un abbraccio, un amore tanto grande da vivere solo per quello.
Lo striscione del funerale e la quasi contemporanea nottata grottesca di Halloween sono due facce della stessa medaglia, di un uomo contemporaneo che ha perso Cristo. E allora fantastica di angeli o di demoni, a seconda delle situazioni. Fantastica, appunto, senza una precisa direzione, senza credere, in fondo, ad una realtà che lo supera. Senza incontrare nessuno.
Ma questa non è la morte, non quella che Gesù ci ha rivelato. “Oggi stesso sarai con me in Paradiso”, disse morendo sulla croce al ladrone pentito. “Sarai con me”! Abbiamo bisogno di rimetterci davanti a questa parole e di prenderle sul serio. Allora il mistero della morte potremo viverlo con una consapevolezza del tutto diversa.
(Fonte:
Gianluca Zappa, La Cittadella, 1 novembre 2011)
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