mercoledì 30 novembre 2011

Lucio Magri, Angelo Stazzi e la “buona morte”

Quando si dice nascere sfigati. Angelo Stazzi, l’infermiere che faceva fuori i vecchietti per sfogare le proprie pulsioni omicide, avrebbe potuto fare la stessa cosa in modo molto più pulito e rispettabile, se solo fosse vissuto in Svizzera, in quella clinica dove si pratica il suicidio assistito e dove è andato recentemente a morire l’ex direttore del Manifesto Lucio Magri (foto).
Pensateci: invece di quella brutta foto segnaletica (dove figura con la barba incolta, la faccia da mascalzone, da criminale, la posa da psicolabile), lo Stazzi avrebbe potuto avere una bella foto in un depliant, con una posa molto più professionale, con un bel sorriso stampigliato in faccia, rassicurante e finanche fraterno. Avrebbe fatto i soldi continuando a fare il carnefice di vecchietti, col vantaggio di non essere considerato un carnefice, un boia, ma un asettico operatore sanitario o addirittura un benefattore.
Sono le contraddizioni della cultura della morte, di una società impregnata di quella cultura, che nemmeno riflette più sulla gravità dei propri usi e costumi. Mi colpiva stasera, seguendo il TG, che la prima pagina fosse dedicata al ricordo grato e un po’ commosso di Lucio Magri, andato a fare “l’ultimo viaggio” in quella clinica svizzera, dove si può fare quello che nell’Italia ancora bigotta e cattolica non è consentito. E poi, più avanti, nella pagina di cronaca, arrivava la notizia dello Stazzi, definito “l’angelo della morte”, con il giusto marchio d’infamia che si riserva agli assassini.
Si dirà: ma che c’entra? Quelli che in Svizzera hanno “aiutato a morire” Lucio Magri lo hanno fatto su precisa richiesta dell’aspirante suicida. Rispondo che, richiesto o meno, non c’è differenza alcuna tra il lavoro sporco degli svizzeri e quello dello Stazzi. Il mestiere di boia è sempre lo stesso. Magari lo Stazzi ha interpretato a modo suo la volontà dei suoi pazienti; magari avrà carpito qualche loro lamento, qualche frase di quelle che si ripetono quando si è stanchi della vita, e l’ha presa sul serio.
Quello che è certo è che lo Stazzi sarebbe stato un ottimo operatore nella clinica svizzera. Serio, professionale, metodico, preciso. Proprio quello che ci vuole in strutture di quel genere.
E veniamo a Lucio Magri. Si è voluto suicidare. Che qualcuno prenda questa orribile decisione non è una cosa nuova. La novità è che da qualche tempo lo si può fare in modo soft, pulito, asettico, addirittura, in qualche modo, sereno. Niente più pistole che fanno saltare le cervella: niente più gas di scarico dell’automobile nel garage ermeticamente chiuso; niente più cappio al collo in qualche cesso; niente più voli dal quinto piano con conseguente spiaccicamento a terra; niente più avvelenamenti da barbiturici presi in dosi massicce. Tutta roba vecchia, sporca. Adesso c’è la clinica, c’è lo sguardo rassicurante delle infermiere, i vasi di fiori nella camera pulita, la musica che ti accompagna...
L’uomo si gioca così il suo “potere di morire”, trasformandolo in un”diritto di morire”, come bene commentava questa sera l’inossidabile Giulianone Ferrara. E se la morte diventa un “diritto” (per la prima volta nella storia dell’umanità!), che perda anche tutto il suo aspetto tragico e si trasformi in qualcosa di dolce! “Eutanasia”, appunto. In questo modo, ha detto ancora Ferrara, Cristo viene spazzato via dalla faccia della terra. Ma con Cristo scompare anche l’uomo.
La vicenda di Magri insegna una cosa facile facile e per questo va tenuta a mente. Non si è andato ad uccidere un uomo che era segnato da qualche terribile malattia, un malato terminale ridotto allo stadio vegetale, un essere umano ridotto in carrozzella e impedito in tutti i movimenti o in qualche altra funzione. E’ andato a suicidarsi un uomo che semplicemente non voleva più vivere. E’ una cosa diversa. E’ un’immagine molto diversa da quelle terroristiche che ci sono state presentate con i casi di Welby o di Eluana. E questa immagine svela l’ipocrisia di molte campagne per il “diritto di morire”. Non ci facciamo fregare: una volta concesso questo “diritto”, i primi ad usufruirne non saranno gli handicappati né i malati terminali, né i malati di cancro. Ma quelli che, semplicemente, non vorranno più vivere, per un motivo qualsiasi. E non necessariamente a settant’anni. La crisi potrà arrivare molto prima: a sessanta, cinquanta, quaranta, perfino trenta e giù giù fino ai diciotto.
E questi poveracci, invece di incontrare qualcuno che li aiuti a ritrovare se stessi, la speranza, il senso della vita, Cristo, cadranno nelle mani di carnefici alla Stazzi, ma in veste di angeli della “buona morte”. Sorridenti, fraterni, professionali, puliti. Pronti, loro, a riscuotere una parcella per lo stesso mestiere per il quale, altri, vanno in galera.

(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 29 novembre 2011)


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