mercoledì 5 ottobre 2011

C'è poco da imparare dal "guru" Terzani

Tiziano Terzani, come si sa, è morto, e ai morti si deve sempre un certo rispetto, specie se hanno affrontato, con dignità, come fece lui, una fine brutta e dolorosa (morì di cancro).
Eppure, qualcosa bisognerà pur dirla, visto che i suoi libri continuano a vendere, i suoi articoli vengono periodicamente ripubblicati su grandi giornali e i suoi fans ufficiali, sull’apposito sito, sono oltre 21 mila (molti più di quelli di Manzoni, che erano 25).
Chi fu, allora, Terzani? La foto che campeggia su alcuni suoi libri, lui vestito alla indiana, in atteggiamento di preghiera, è quella forse che lo ha reso più famoso. Sebbene essa basti a rendermelo un poco “antipatico”. Non perché abbia nulla contro gli indiani, ma perché questi europei che si lasciano ammaliare da una fede esotica, dopo aver, in un modo o nell’altro, apostatato dalla loro, mi sembrano soprattutto dei superficiali. Dei vagabondi. Delle persone poco serie. Come quelli che stanno lì su internet a fare i fans, a scambiarsi mail e a chattare su facebook, mentre dovrebbero più coerentemente sedersi come Budda e come il loro eroe negli ultimi tempi, incrociare le braccia e fuggire i desideri. Riguardo a questi induisti o buddisti “all’amatriciana” dubiterei ancora di più se fossi un indù.
Mi chiedo, soprattutto, se sappiano cosa hanno rinnegato e cosa dicono di professare.
Terzani dunque è stato, a mio giudizio, un simpatico fanfarone; una persona poco capace di leggere la realtà, ma non per questo minimamente capace di tenere a freno la penna e le idee, tanto schematiche e banali, quanto poco brillanti. “Lo scappare, scriveva alla fine della sua vita, è stato la mia natura”. Aggiungerei che il vagabondare, non solo per le strade del mondo, ma anche per ideologie e filosofie non comprese, è stata la conseguenza di questa natura.
In cosa si sostanzia il pensiero di Terzani? Egli parte da un dato: il cristianesimo è un insieme di “balle”, di balle assurde, persino violente, pericolose (non è mai spiegato il perché). Per Terzani, che ne ignora completamente l’essenza, cristianesimo eguale Occidente, e poiché quest’ultimo è il male assoluto, inevitabilmente anche il cristianesimo è la religione dei cattivi.
Chi sono gli Occidentali (immensa categoria da cui lui, ovviamente, si esclude)? Sono razzisti, nazisti, fascisti, colonialisti, consumisti…. Per questo Terzani, più o meno esplicitamente, ritenne di buttare a mare anche “la religione dell’Occidente”, il cristianesimo appunto, o meglio, vista la sua italianità, il cattolicesimo. Il problema è che Terzani ignorava, come fanno tuttora molti suoi fans, un fatto storicamente molto chiaro: e cioè che le peggiori aberrazioni dell’Occidente sono nate in opposizione al cattolicesimo, non in ossequio ad esso.

Le crociate, per esempio, come è ben risaputo, non furono affatto un episodio di colonialismo ante litteram, ma una guerra per liberare il Santo Sepolcro, preso con la violenza dagli islamici arabi prima e turchi poi, e per difendere l’ancora libero impero d’Oriente dagli assalti altrui. Fu una guerra contro il colonialismo e l’imperialismo musulmano. Niente a che vedere con il colonialismo europeo successivo, quello vero, soprattutto ottocentesco, ad opera di governi europei non più cattolici, ma nazionalisti, assolutisti, figli della “laicitè” rivoluzionaria ed anticristiana.
Anche il razzismo, prodotto della mentalità atea e positivista, non fu certo un portato del cristianesimo, ma, al contrario, ne fu una evidente negazione. Che poi si sia sviluppato negli Usa, in Germania e in Sudafrica, dimostra anche come esso sia sempre stato estraneo al pensiero cattolico (non però a quello, sempre piuttosto secolarizzato, protestante).
Quanto al capitalismo feroce, l’idoleggiamento del dio denaro, che Terzani ergeva a suo nemico implacabile, non è imputabile, nella sua forma attuale, alla dottrina cattolica. Certamente il cristianesimo ha valorizzato il lavoro e la capacità imprenditoriale dell’uomo, ma a togliere l’anima ad una concezione così umana e benefica sono stati il calvinismo predestinazionista, ed il materialismo, di varia matrice. Anche il consumismo tipicamente occidentale, cui Terzani alludeva molto spesso, contrapponendolo alla povertà ed al distacco induista, sono figli soprattutto del nostro tempo, in cui, negato Dio, denaro, sesso e potere rimangono uniche possibilità per cercare di soddisfare le insaziabili brame umane.
Terzani, dunque, non comprese mai che avrebbe potuto trovare proprio nella sua cultura, nella storia della sua stessa Firenze, ciò che finì per cercare altrove. Eppure non mancano, nei suoi libri, gli elogi, sperticati, alle Misericordie fiorentine, dove ricchi e poveri si mescolavano e si toccavano, dimenticando ogni differenza di classe, come nel medioevo cristiano, in nome dello stesso Cristo e della stessa carità; non mancava di parlare dei missionari gesuiti, come di persone eccezionali, straordinarie (“grandi intellettuali che cercano di capire”), né di dipingere Madre Teresa, da lui personalmente conosciuta, come “un eroe che faceva miracoli”.
Chissà se qualcuno dei suoi fans ha mai voluto andare a fondo di queste suggestioni?
Purtroppo ho paura che i più amino un altro Terzani, cioè il classico intellettuale, il classico giornalista ottuso, degli anni che furono.

Terzani sparlava dei capitalisti, ma lavorò per Olivetti e prese per anni i soldi dal banchiere Raffaele Mattioli: sempre così, i capitalisti, se pagano i “compagni”, diventano “illuminati”. Soprattutto fu disponibile, come tanti suoi coetanei, a farsi missionario intrepido, a lungo senza tentennamenti, senza dubbi, senza patemi, dei più disumani regimi dell’epoca.
Fu, infatti, un convinto comunista, un ammiratore di Mao e, contemporaneamente - si pensi alla confusione mentale dei tempi - di Gandhi.

Durante la guerra in Vietnam, il giornalista fiorentino, che fu uno dei pochi occidentali a viverla da vicino, si schierò con entusiasmo e passione dalla parte dei vietcong. Come raccontava lui stesso, arrivò a piangere di gioia, il giorno della “liberazione” di Saigon, perché credeva davvero di assistere ad una “rivoluzione gentile, comprensiva, compassionevole”, alla nascita di un mondo nuovo, migliore, giusto, fondato sui dogmi di Marx e dei suoi epigoni.
Nei suoi reportage divideva brutalmente buoni, i comunisti, e cattivi, gli altri, senza lasciare alcuna ombra, alcuna zona grigia. La luce contro le tenebre. La “dura, spartana, moralissima rivoluzione”, come scriverà ancora nel 2000, degli “eroi” e degli “idealisti”, contro i parassiti, gli approfittatori, i mostri malvagi. Terzani, mentre scriveva queste analisi puerili, si sentiva orgogliosamente un giornalista libero, contro il potere, dalla parte dei buoni. Contribuì così, la sua parte, al trionfo del comunismo in Vietnam e della cultura comunista in Occidente, dove i suoi libri divennero persino testi scolastici.
In tarda età, Terzani spiegò più volte di aver sbagliato, di aver visto male. Ma spesso la sua ritrattazione era, ancora una volta, oltre che parziale, poco acuta: cercava, anche divenuto filo-induista, di scusare il comunismo come ideologia, pur riconoscendo che dovunque erano andati al potere, dalla Cina, al Vietnam, alla Cambogia, alla Russia, tutte zone da lui girate e conosciute, i rossi avevano generato odio, povertà, morte, persecuzione, ingiustizia.
Non comprese mai, perché rifiutò di fare realmente in conti con la vita e l’esperienza, che il comunismo ateo è una ideologia “intrinsecamente perversa”, chiunque sia chiamato a realizzarla. Che non può essere, mai e poi mai, la ricetta umana per risollevare un paese, per risolvere una situazione, per ingiusta che sia.

Anche una volta riconosciuta, contro voglia, la verità, Terzani rimase, come disse lui stesso, “ambivalente”. Nel suo “La fine è il mio inizio”, per esempio, parlò così dei comunisti cambogiani: “I khmer rossi volevano eliminare tutti quelli che venivano dalle città. Tu hai studiato? Fuori! Hai gli occhiali? Fuori! Mettevano tutti in fila e li facevano arrampicare su una palma di cocco. Se la sapevi scalare voleva dire che eri un contadino; se non la sapevi scalare, voleva dire che eri uno di città… allora ti ammazzavano nel tentativo di eliminare il germe del vecchio. Per la stessa ragione distruggevano le biblioteche buddiste, ammazzavano i bonzi. Per fare l’uomo nuovo bisognava ammazzare gli uomini vecchi”. Detto questo, Terzani aggiungeva: “Un progetto sacrilego, ma affascinante”. Così, parlando del maoismo, affermava: “mi sorprendeva proprio potesse esistere un sistema sotto il quale la gente sta così male, è così annoiata, non ha neanche più voglia di vivere. Un grigiume… polizia dappertutto… Tutto era segreto, tutto era vietato. I nostri compagni cinesi non potevano venire a casa nostra. C’era sempre un senso di paura, di essere ascoltati”.
Detto questo, e siamo nel 2006, Terzani, incapace ancora a quella data di svincolarsi dalle illusioni di un tempo, affermava: “Però, dietro a quella follia maoista c’era una idea che purtroppo si è pervertita”.
Ecco, non sparì mai del tutto dal suo cuore la nostalgia della rivoluzione catartica, distruttrice (di uomini, tradizioni, cose) e, come per magia, ricreatrice. Non capì mai sino in fondo che è la rivoluzione in se stessa ad essere spietata e disumana.
Nella prefazione del 2000 alla riedizione di “Pelle di leopardo”, i suoi scritti dal Vietnam, Terzani fu costretto, per non farci la figura del folle, a premettere che ciò che aveva scritto negli anni Settanta si era rivelato errato. Ma aggiungeva: “ “Allora ti eri sbagliato?”, mi si chiede spesso. Al fondo di questa domanda c’è una provocazione che merita risposta, e la risposta è sostanzialmente: “no””.
Poi la svolta. Il Viaggio in India. Lo stesso percorso di tanti ex comunisti. Lo stesso che sognano, forse, i suoi 21 mila fans. Dal materialismo ad una sorta di spiritualismo gnostico, che rifiuta integralmente la materia. Che condanna la lotta, l’azione, il desiderio, la vita stessa, persino l’amore. Ma nel Terzani degli ultimi anni, convertito alle religioni orientali, che predicava il distacco, che proclamava “Non ho più desideri”- rispondendo alla moglie che rivendicava inutilmente, da parte del marito, il permanere di un amore privilegiato per lei - si può ancora scorgere il permanere della stessa superficialità e scarsa profondità del passato.
Fare il comunistello, a 20 o 30 anni, con i soldi in tasca e la possibilità di vivere come si è scelto, viaggiando per “Der Spiegel”, “Repubblica” e “Corriere”, è piuttosto facile. Lo hanno fatto anche i Lerner e i Santoro, che adesso continuano a sognare la rivoluzione, ma con i miliardi in tasca. Vivere l’ascetismo orientale, così come esso è nella realtà, è però faccenda troppo drammaticamente più seria e difficile, soprattutto per un occidentale.

Pagato mille dollari al mese dal banchiere Mattioli, Terzani giocava a fare il rivoluzionario. Poi, quando le illusioni si sgretolarono, ma mai del tutto, Terzani cambiò pagina, con la stessa leggerezza. Con la stessa superficialità con cui era stato convinto comunista, convinto maoista, convinto vietcong. Con la stessa superficialità con cui, in nome del disprezzo verso il materialismo occidentale, aveva sposato il materialismo marxista.
Ecco, quindi, l’ultimo Terzani: filo-induista, piuttosto propenso alla rivalutazione dell’astrologia, della magia, combattuta ingiustamente, a suo dire, dal cristianesimo, nel sempre disprezzato Occidente.
Cosa fu la conversione alle filosofie orientali di Terzani? Un altro scappare, un altro vagabondare. Un altro innamoramento che sarebbe forse passato presto, se non fosse sopraggiunta la morte. Come si può conciliare, infatti, la soppressione del desiderio, della propria individualità, della propria identità, secondo le filosofie orientali, con la volontà, alla fine dell’esistenza, di raccontare, in un intero libro, al grande pubblico, la sua propria vita, le sue personali avventure, le sue idee? Cosa c’azzecca la noluntas orientale con il suo desiderio di lasciare, per testamento, un intero volume, non di filosofia, ma di vicende private e personali?
Mentre discorreva col figlio, per quello che sarebbe stato il suo ultimo libro (quindi cosciente di essere, almeno in parte, in posa), Terzani si lasciò andare, ancora una volta, a svariati elogi del comunismo, affermando ad esempio: “Ma secondo me, lo vuoi sapere, l’idea del socialismo sopravvivrà a questo periodo egoista e capitalista. Perché come può una società di uomini non aspirare a un sistema di giustizia e di uguaglianza per tutti?”.
Come può, mi chiedo io, un uomo che ha vissuto ciò che ha vissuto Terzani, avere ancora tanta “fede”? Come può un uomo, dopo l’abbaglio orientale, predicare davvero il culto delle antiche tradizioni, l’importanza della magia, la spiritualità, l’assenza di desiderio, la fine delle passioni, e contemporaneamente sognare un nuovo mondo redento dalla religione atea che più di tutte ha voluto uccidere ogni forma di spiritualità e di tradizione, e che è stata la passione più feroce, disumana, crudele, della storia dell’umanità?
Comunista, come tanti, per noia; simil-induista all’amatriciana, come tanti europei, per sazietà, dopo aver fatto impazzire il suo desiderio dietro fantasmi di vario tipo, Terzani non può essere oggi, per nessuno, un maestro. Possono piacere certi suoi entusiasmi, certe sue curiosità, alcune sue descrizioni fresche e genuine, persino certa sua ingenuità, ma tutto il resto non è che vecchiume ideologico, da dimenticare per sempre.
Forse, qualcosa da tenere, si trova in passi come questo: “Il passato ha avuto grandi momenti. Noi oggi lo chiamiamo medioevo, ma era uno dei momenti più interessanti della nostra civiltà. L’uomo aveva un rapporto con il divino molto forte. Poi la scienza ha preso il sopravvento e ha preso il posto della religione. E la scienza è bravissima, la scienza contribuisce enormemente a rendere la nostra vita più comoda. Piove e ci mette un tetto sopra la testa, abbiamo fame e ci dà da mangiare. Ma ci dà altro? Niente. Ci toglie il cielo, perché con la pretesa di essere tutto blocca ogni aspirazione”.
Ecco, se i fans di Terzani guardassero un po’ meglio alle loro radici, al medioevo cristiano, non afferrerebbero il paradiso, che Terzani cercò invano nella Saigon comunista o nella Cina di Mao; neppure troverebbero l’invito orientale alla gnosi, a perdere ogni identità (magari in rete), a divenire nulla e nessuno, per vincere e seppellire lo scoramento.
Scoprirebbero però, come si diceva all’inizio, che la modernità - da lui tanto odiata, con qualche ragione, ma nel contempo anche abbracciata, senza avvedersene, tramite l’infatuazione per l’ideologia socialista - non è la figlia, ma la nemica, della Cristianità; non è all’origine delle aberrazioni dell’Occidente, ma semmai delle sue ancora oggi sopravviventi, benché sempre più pallide, grandezze.

(Fonte: Francesco Agnoli, La bussola quotidiana, 1 ottobre 2011)


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