giovedì 12 novembre 2009

Il crollo del muro e la profezia di Leone XIII

Siamo in prossimità di uno dei grandi anniversari della storia: 20 anni fa cadeva il muro di Berlino. La storia ha sempre bisogno di date simboliche, e questa data segna ormai il crollo del comunismo sovietico. Spiegarlo non è affatto facile, perché, come tutti gli eventi storici, anche quel crollo è figlio di molteplici cause. Ma è certo che la sensazione che si ebbe allora e che si ha anche oggi è che, per dirla con il grande François Furet, “nato da una rivoluzione, il comunismo scompare in un’involuzione”.
Si era ormai di fronte ad un regime esausto, con un partito corrotto, dominato da ubriachezza, cinismo e pigrizia. Il comunismo sovietico era autoimploso, i suoi sudditi non ne potevano proprio più. L’abbattimento vigoroso, fulmineo, gioioso di quel muro della vergogna, ci diede la sensazione di un rito liberatorio. C’era un’umanità schiava e afflitta che finalmente usciva dalla prigione.
Il comunismo veniva condannato dal solo tribunale che aveva sempre ritenuto legittimo: quello della storia. Fu un fallimento epocale, che creò non pochi problemi agli irriducibili ed entusiasti sostenitori occidentali. In pochi mesi, spiega Furet nelle ultime pagine del suo fondamentale “Il passato di un’illusione”, “i regimi comunisti hanno dovuto lasciar spazio alle idee che la Rivoluzione d’Ottobre aveva creduto di distruggere e di sostituire: la proprietà privata, il mercato, i diritti dell’uomo, il costituzionalismo... l’intero arsenale della democrazia liberale”.
Cosa cercavano i sudditi di quel regime? La libertà, innanzitutto, ma anche il soddisfacimento di bisogni più elementari: come ad esempio quello di avere una casa propria, magari pagandola a rate con sacrificio. Avevano disimparato a creare, ad entusiasmarsi del loro lavoro, perché avevano perso ogni obiettivo personale. All’inizio il regime sovietico aveva fatto leva sull’orgoglio nazionale, sull’essere parte dell’unico luogo sulla terra dove il socialismo era stato realizzato. Aveva chiesto ai propri sudditi di collaborare, di lavorare con entusiasmo per un futuro radioso. Ma era durato poco. Presto si era dovuti passare a ben altre strategie: lo stakanovismo (per il quale i lavoratori tornavano a non essere più tutti uguali) e addirittura la violenza, la coercizione (sotto Stalin, com’è noto, bastava arrivare in ritardo una volta sul lavoro per essere dichiarato nemico dello Stato e quindi scomparire come individuo).
La gente chiedeva libertà d’iniziativa, libertà di possedere qualcosa, libertà di rischiare il proprio destino. Capitalismo e democrazia. L’idea comunista aveva cercato con tutti i mezzi di separare la libertà e il mercato. Alla fine del XX secolo questi due elementi tornavano ad essere inseparabili: non esiste libertà senza il mercato. Il comunismo sovietico, che aveva cercato di sfuggire a questa dura legge, era andato incontro alla catastrofe politica ed economica.
Eppure c’era chi, con lucida ed incredibile lungimiranza, aveva previsto tutto, un secolo prima. In quel mirabile documento che è l’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, datata 1891, ci sono dei passaggi che stupiscono per la carica profetica. In particolare quelli che condannano il socialismo come una dottrina che propone delle soluzioni nocive alla stessa società.
A parte la ferma condanna dell’odio di classe, ci sono in quel testo delle considerazioni che effettivamente aiutano ad interpretare alcuni dei motivi che hanno fatto crollare il comunismo. Come quelle che riguardano la proprietà privata, definita come un diritto naturale dell’uomo, per cui disumana è quella dottrina che la nega: “non è difficile capire che lo scopo del lavoro, il fine prossimo che si propone l'artigiano, è la proprietà privata. Poiché se egli impiega le sue forze e la sua industria a vantaggio altrui, lo fa per procurarsi il necessario alla vita: e però con il suo lavoro acquista un vero e perfetto diritto, non solo di esigere, ma d'investire come vuole, la dovuta mercede. Se dunque con le sue economie è riuscito a far dei risparmi e, per meglio assicurarli, li ha investiti in un terreno, questo terreno non è infine altra cosa che la mercede medesima travestita di forma, e conseguente proprietà sua, né più né meno che la stessa mercede”. Un passaggio che oggi nessuno metterebbe in dubbio, ma che in un certo periodo della storia del mondo venivano bollate come conservatrici e reazionarie, non in linea col progresso dell'umanità. Ma c’è un passaggio ancor più profetico, un vero e proprio ritratto di quello che poi effettivamente si è verificato, laddove Leone XIII afferma che con la società socialista “le fonti stesse della ricchezza, inaridirebbero, tolto ogni stimolo all'ingegno e all'industria individuale: e la sognata uguaglianza non sarebbe di fatto che una condizione universale di abiezione e di miseria”. Proprio da questa condizione di abiezione e miseria la gente voleva fuggire, vent'anni fa, abbattendo quel muro.
Noi sappiamo che molti popoli usciti dall’oppressione di quel sistema inumano, oggi con gran fatica hanno dovuto riappropriarsi del proprio destino, ritrovare quello “stimolo all’ingegno e all’industria individuale” di cui il regime li aveva privati. Era stato tutto, incredibilmente, già scritto. E un altro grande Papa, che sulla Rerum Novarum si era formato e aveva studiato, un Papa venuto proprio da quel mondo comunista, contribuiva col suo carisma ad abbattere quel muro. Ancora una volta la Chiesa aveva avuto ragione.

(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 7 novembre 2009)

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