Questo “Non avrete altro Indro” (Ancora editrice, pagg. 135, euro 13) di Giorgio Torelli s’inserisce nel folto scaffale dei saggi su Montanelli. Sono centotrenta paginette in parte già pubblicate in altre sedi, ma assemblate con intelligenza e con affetto. Torelli ha le carte in regola per regalarci un Indro non di maniera, non banale. È stato per lunghi anni una delle firme più note del Giornale, è stato accompagnatore di Montanelli in molte passeggiate a Cortina. Insomma, non uno di quegli usurpatori della memoria montanelliana così bene da lui descritti. «Tu sai - il tu è rivolto a Montanelli - quanti millantino a posteriori un rapporto confidenziale con te e quanti ancora lascino pubblicamente intendere di avere lucrato un rapporto speciale con il Maestro (sei sempre tu) o di aver tessuto con il Principe del giornalismo un sodalizio o una qualche consuetudine». Montanelli e Torelli sono stati davvero vicini. E lontani. Da una parte un anarco-conservatore profondamente laico, dall’altra un cattolico di stretta osservanza e di sincera fede, qualche volta autorizzato perfino a predicare dal pulpito. Con i suoi diari personali e familiari, con la sua scrittura avvolgente e colloquiale, Torelli s’era acquisita una vasta popolarità tra i lettori del Giornale. Molti lo adoravano, ma c’era chi lo aveva in uggia.
Niente vie di mezzo, o piaceva - e piaceva a tantissimi - o infastidiva per un certo profumo d’incenso che usciva dalle sue righe.
A un certo punto ci fu una incomprensione, o per essere più schietti una rottura, tra Montanelli e Torelli. Quest’ultimo offre, al riguardo, una sua spiegazione. Montanelli, considerandolo il suo Papa casereccio, gli aveva affidato il compito di chiosare il Vangelo della Domenica in una pagina tutta sua. «L’impresa del Vangelo commentato da un credente dell’ultimo banco durò incredibilmente due anni. Poi, per scelta di Indro (troppe lettere favorevoli e persino entusiaste rivolte al Torelli domenicale, una distonia), l’avventura si concluse, in bellezza ma con un addio. Indro avrebbe voluto che tornassi a fare l’inviato. E io no».
Questa versione del dissenso è a mio avviso sostanzialmente esatta tranne che per un particolare importante: può dare la sensazione che in Indro vi sia stata dell’invidia o della gelosia nei confronti di Torelli. Il quale in un altro passaggio del volumetto ribadisce: «Ho visto molta gente dissipare la fedeltà degli amici, ma mai con altrettanto scialo e secondo motivazioni arbitrarie... Un esperto di giornali e giornalisti m’ha detto: «Indro è il Re Sole, non tollera ombre di sorta, anche da una fronda».
Dissento da questa diagnosi. Montanelli si rendeva conto di quanto valesse il suo inviato con la croce, anche se personalmente era allergico alla sagrestia. Temette tuttavia - questa almeno è la mia convinzione - che il torellismo diventasse una deriva clericale del Giornale, e reagì alla sua maniera, ridimensionando Torelli. Aveva agito allo stesso modo quando - soprattutto per l’influenza di Enzo Bettiza - era parso che il Giornale abbracciasse il disegno d’un lib-lab italiano, con i socialisti alla ribalta insieme ai liberali. Non volle agganciare il Giornale a quel carro politico, e se pensiamo a quale fu, con Tangentopoli, la sorte successiva del craxismo, dobbiamo riconoscere che ebbe buon intuito.
Mi pare esemplare, nel rapporto tra gentiluomini e galantuomini che caratterizzava il giornalismo d’antan, il biglietto con cui Montanelli rispose a Torelli che gli aveva mandato in visione uno scritto su di lui: «Caro Giorgio, ho visto e letto, e ti ringrazio di cuore. Vedo con sollievo che il distacco non ha minimamente scalfito il rapporto umano che si era stabilito tra noi, e che deve sopravvivere a tutto. Ti rimpiango molto, caro Giorgio. Tuo Indro».
Era inevitabile che il credente Torelli - cui toccò d’essere testimone delle nozze civili di Indro con Colette Rosselli, celebrate a Cortina - s’interrogasse sulla religiosità e irreligiosità di Indro. Interrogandosi, Torelli è approdato alla conclusione che il suo amico miscredente o piuttosto diffidente e deluso anelasse a una religione più alta di quella che vedeva intorno. E gli ha messo in bocca questa riflessione: «Voi cattolici non me la contate: fate la giostra attorno al Firmatario del Cosmo (se ha davvero un indirizzo) e prendete eccessi di confidenza, ci andate a braccetto, fate perfino le giaculatorie pappa e ciccia. No cari cristiani della domenica. Se davvero io dovessi diventare dei vostri - Dio mi scampi - vorrei volgermi verso la più radicale delle testimonianze: prendere i voti perpetui e farmi monaco trappista, claustrale, vegetariano e penitente. Diverrei uomo di preghiera e di digiuni nel succedersi dei giorni e delle notti».
(Fonte: Mario Cervi, il Giornale, 19 novembr2 2009)
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