«Io songu nu verme de la terra...», io sono un verme della terra. Questo era solita dire come prima cosa a chi la incontrava, Natuzza Evolo, la mistica di Paravati, madre di famiglia senza istruzione, che viveva quotidianamente immersa nel soprannaturale. C’è, in queste parole, tutta l’umiltà di Natuzza, ma anche il segreto della differenza tra il suo caso e quello di altri mistici o sedicenti tali. Natuzza Evolo, pur avendo le stimmate, pur leggendo nell’anima delle persone che incontrava, pur avendo continue visioni, fenomeni di bilocazione etc. non si è mai voluta mettere in mostra e soprattutto, durante tutta la sua vita, ha sempre obbedito ai suoi vescovi.Non è facile il compito della Chiesa di fronte all’insorgere di questi fenomeni. Non è sempre immediato distinguere quelli autentici da quelli che non lo sono. L’obbedienza all’autorità ecclesiastica, anche quando il mistico o il carismatico non ne comprende o condivide le indicazioni e in qualche caso le restrizioni, è uno dei criteri considerati fondamentali. Scriveva nel suo libro Illustrissimi l’indimenticabile Albino Luciani, poi Papa Giovanni Paolo I, in una lettera immaginaria a Teresa d’Avila: «Cara Santa Teresa, se veniste oggi! Il nome «carisma» si spreca; si distribuiscono patenti di «profeta» a tutto spiano... Si pretende di opporre i carismatici ai pastori. Che ne direste voi, che obbedivate ai confessori anche quando i loro consigli risultavano opposti a quelli dativi da Dio nell’orazione».Padre Pio, il santo di Pietrelcina, oggetto di esami, indagini, restrizioni che talvolta apparivano davvero persecutorie da parte dell’autorità ecclesiastica, ha sempre obbedito, sapendo di essere un mistero a se stesso e non volendo mai mettersi contro i suoi superiori.In questi tempi di secolarizzazione e di scristianizzazione a vincere spesso non è la razionalità, ma la creduloneria. Trionfa la religiosità fai-da-te e l’attrazione esercitata da certi fenomeni è in crescita. Lo è, va riconosciuto, anche perché una certa intellighenzia teologica nei decenni del postconcilio ha guardato con sospetto la pietà popolare e il popolo dei fedeli che magari diserta le parrocchie ma riempie i santuari. Una pietà che va purificata, non certo ostacolata o peggio soppressa.Certo, troppo spesso molte persone, in assoluta buona fede, danno credito ai fenomeni più strani. Troppe sono le statue e i quadri lacrimanti, i veggenti che affermano di parlare con la Madonna o con Gesù, i messaggi apocalittici che s’intersecano tra loro e vengono propagandati come fossero Vangelo... «In questo campo più che mai la pazienza è un elemento fondamentale della nostra Congregazione. Nessuna apparizione è indispensabile alla fede, la Rivelazione è terminata con Gesù Cristo», affermava nel libro intervista con Vittorio Messori, Rapporto sulla fede, l’allora cardinale Joseph Ratzinger. «Ma non possiamo certo impedire a Dio – continuava – di parlare a questo nostro tempo, attraverso persone semplici e anche per mezzo di segni straordinari che denuncino l’insufficienza delle culture che ci dominano, marchiate di razionalismo e di positivismo». Ecco, nelle parole dell’attuale Pontefice c’è la giusta chiave di lettura per comprendere l’atteggiamento della Chiesa. Si ha l’impressione che di fronte all’insorgere di questi fenomeni la sacrosanta cautela dei vescovi si trasformi talvolta in preventiva incredulità, quasi che il soprannaturale non potesse irrompere, imprevisto, in modo clamoroso nella vita di qualche «persona semplice».
Il problema di fronte alle folle di pellegrini attratti dai santuari delle apparizioni, affermava ancora nella storica intervista il cardinale Ratzinger, «non è tanto quello della ipercritica moderna (che finisce poi, tra l’altro, in una forma nuova di credulità) ma è quello della valutazione della vitalità e dell’ortodossia della vita religiosa che si sviluppa attorno a questi luoghi». Un giudizio che si può parzialmente estendere anche alle persone carismatiche e non soltanto ai luoghi e ai santuari. Il vero mistico vive assorbito nel trascendente ed è solitamente desideroso di nascondere i suoi doni che rappresentano spesso l’altra faccia di una vita difficile e dolorosa. Sa che questi doni devono essere usati per il bene del prossimo e non certo per protagonismo o, peggio, per fini di lucro.
(Andrea Tornielli. Il Giornale, 2 novembre 2009)
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