Chi l'avrebbe mai detto che la monumentale opera di Karl Rahner potesse essere seriamente criticata? Eppure è arrivato il tempo. Si è alzato un venticello allegro che quantomeno solleva il problema, chissà se si trasformerà in uragano?
Il Rahner è un mostro sacro della teologia “moderna” (un vero e proprio “grafomane” considerando i quintali di libri che ha scritto), citatissimo anche in ambito pastorale dove è stato proposto a semplici fedeli che di trascendentali si intendono il giusto o niente.
In generale l'opera di alcuni teologi, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, è venuta spesso a costituire un magistero parallelo a cui bravi sacerdoti hanno attinto a piene mani per stare “al passo con i tempi”. Peccato che i fedeli non siano teologi e normalmente non hanno strumenti per districarsi in questioni complesse, tantomeno quando si è preventivamente e chirurgicamente demolito il principio di autorità del Magistero del Papa.
Se è possibile parlare di una critica a Rahner nessuno si offenderà se tento una valutazione del pensiero espresso da Rosaria (detta Rosy) Bindi in “Quel che è di Cesare”, intervista concessa a Giovanna Casadio e pubblicata da Laterza; vorrei poi azzardare l'individuazione di un fil rouge tra i due.
Iniziamo dalla Bindi. Qui non si vuole giudicare nessuno dal punto di vista personale, cercherò, invece, di individuare il principio di fondo che guida il suo ragionamento e che in radice nasce da una teologia che però forse non è “nova teologia”, ma come diceva il Card. Siri in un famoso decalogo del progressismo cattolico, “anatematizzata teologia”.
Questo principio di fondo si può riconoscere velatamente celato nella frasetta “stare al passo con i tempi” che in altri termini rappresenta il modo in cui si realizza la “mediazione tra fede e storia”.
A proposito di questa mediazione la Bindi dice che “per noi (cattolici democratici N.d.A.) la forza della fede si manifesta non nella contrapposizione, ma nell'incontro con il mondo” (pag. 14). Dal punto di vista del politico in questione questo “incontro” dovrebbe realizzarsi nel “meticciato tra le culture politiche riformiste” dove “i cattolici democratici devono accettare la contaminazione per essere il fermento di una nuova politica e dare nuove risposte alle nuove sfide”.
Per cercare di passare dalle parole ai fatti vediamo quali sono queste nuove risposte illustrate nel libro-intervista, lo facciamo però da cattolici che valutano un politico cattolico, quindi alla luce del Magistero.
Nel 2002 la Congregazione per la Dottrina della Fede emetteva una Nota circa l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica da cui emerge che la politica non è separabile dalla morale. Vi è un “diritto-dovere dei cittadini cattolici, come di tutti gli altri cittadini, di cercare sinceramente la verità e di promuovere e difendere con mezzi leciti le verità morali riguardanti la vita sociale, la giustizia, la libertà, il rispetto della vita e degli altri diritti della persona.”
Rispetto a ciò la “ricerca onesta e paziente di soluzioni condivise” (pag. 36) fino a che punto può prescindere dalla Verità? E' possibile perseguire il bene comune abdicando alla Verità che la retta ragione permette di raggiungere? Cosa rappresenta la Verità? Provo a misurare alcune “nuove risposte” ad alcune “nuove sfde” prospettate nel libro, per riprendere poi tali quesiti che penso siano cruciali.
I “Dico”: pag. 44 – “Cercavamo di riscattare dalla clandestinità giuridica tante realtà di fatto”... “Sono convinta che la disponibilità verso un'umanità in trasformazione e alla ricerca di risposte sia la cifra della misericordia. (...) La Chiesa è maestra perché prima di tutto è madre, comprensiva e accogliente.” Peccato che non vi sia nessun riferimento alle motivazioni, più volte espresse dal Magistero (ad es. Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II), sul significato del matrimonio e del matrimonio cattolico come bene in sé. Dalle parole della Bindi pare che della “realtà di fatto” si debba semplicemente prendere atto, ratificarla. Come se dire “no” fosse soltanto oscurantismo e non anche una “cifra della misericordia”. (Cfr. Opere di misericordia spirituale)
“Omosessualità”: pag. 48 – Alla domanda: come può un credente accettare questa discriminazione [da parte della Chiesa]?”, la Bindi risponde in sostanza che “C'è una Chiesa di tutti i giorni che nella sua pastorale accoglie e non discrimina. ... Ma riconosco un certo ritardo, il peso di un antico tabù, la difficoltà a condividere il cammino di tante esperienze locali”... Quindi deduco che non si accetta la posizione della Chiesa, ma non si fa nessun riferimento ai perché. Di più, si contrappone una Chiesa “di tutti i giorni” ad una presunta Chiesa ufficiale, omettendo che la Chiesa non è un fenomeno associazionistico. Ancora una volta la ricerca paziente e onesta di soluzioni condivise coniuga la laicità del cattolico come un derogare a motivazioni di tipo morale, relegandole solo all'ambito privato. A supporto si cita una presunta “Chiesa di tutti i giorni” che nella pratica pastorale parrebbe avvallare presumo perdonando, ma questo non è in discussione.
“Eluana e altre storie”: pag. 55 “Non ho certezze sulla storia di Eluana, ma penso che mi sarei comportata in modo diverso dalla sua famiglia. Però non mi sento di giudicare il padre”. Ok, quindi? “Leopoldo Elia parlava a questo riguardo di “leggi facoltizzanti” che non impongono comportamenti, ma consentono di fare scelte secondo la coscienza di ciascuno. Anche queste vanno contro la legge di Dio? ... laicità e democrazia sono valori anche per la Chiesa, e mi dispiace quando la Chiesa lo dimentica.” (Ma la democrazia e la laicità su quali valori si fondano? Solo sulla conta dei voti?)
pag. 61 – “L'embrione è quindi intoccabile? Lascio alla scienza le risposte su quando cominci la vita, che però è senza soluzione di continuità. Non ci sono dubbi che l'embrione sia principio di vita, di certo non è una persona.” (Istruzione della Congregazione della Dottrina della Fede Dignitatis personae n°4: L'essere umano va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento.)
pag. 66 – “il suo giudizio oggi (sulla L.194)? Una legge che attende di essere pienamente attuata...”. (No comment)
pag. 68 – incalzata sul tema contraccezione si arriva infine all'Humanae Vitae con ovvia citazione del Card. Martini e la sua proverbiale apertura sul tema. La Bindi risponde “Stiamo parlando di quarant'anni fa, l'atteggiamento pastorale educativo può cambiare e cambia, lentamente, ma cambia.” (Se cambia l'atteggiamento pastorale-educativo, cambia anche la norma morale della Dottrina Cattolica? Se sì perché? Non sa stare al passo con i tempi?)
A pag. 69 arriviamo finalmente ad un passaggio chiave dove si dice che la “fede è un salto”. Deve intendersi nel buio? oppure c'è una ragionevolezza della fede che è raggiungibile da tutti? Più avanti a pag. 71 si dice che “la Chiesa ha diritto di parola in ogni ambito della vita collettiva. Ma oggi non si limita ad annunciare il Vangelo, propone anche un progetto culturale e offre una nuova (!!??) antropologia. E qui siamo sul filo e corriamo il rischio di ridurre la novità e il salto della fede a un insieme di regole morali e precetti da imporre.”
Eccoci al cuore del problema perché il moralismo non piace a nessuno. Il dramma è tutto qui. La fede è si un salto, ma tutt'altro che nel buio, qui di fatto si rischia di cadere in quella deriva fideistica di stampo relativista che riduce la fede ad una questione privata, qui si innesta tutta quella teologia post-conciliare che volente o nolente strizza l'occhio al protestantesimo estromettendo la possibilità di una ragionevolezza della fede. Questa ragionevolezza, valida per tutti coloro che si lasciano interrogare con umiltà e riconoscono almeno la loro creaturalità, porta a riconoscere la Verità della legge morale. Di cui non ci si deve vergognare, né vi si può abdicare per “contaminarsi” con il fine politico di “trovare soluzioni valide per tutti”.
Ora proviamo a spiegare e azzardiamo quel fil rouge tra Rahner e la Bindi introducendo il lavoro di critica a Rahner svolto da P. Cavalcoli e recentemente pubblicato da Fede&Cultura. Il teologo domenicano dice che Rahner è “il grande architetto della teologia del XX secolo” il quale non si è accontentato di proporre una visione alternativa al magistero della Chiesa, ma si è fatto, alla maniera protestante, «maestro e correttore di presunti errori», imponendosi anche all'interno della gerarchia stessa come teologo di riferimento di una presunta ortodossia.
Citando lo stesso Rahner arriviamo a dare un fondamento teologico anche alle “nuove soluzioni” prospettate dalla Bindi: «Sempre e dappertutto l'uomo, nelle decisioni assolute e irrivedibili della sua vita, si basa su realtà storiche sulla cui esistenza e natura egli non possiede teoreticamente alcuna assoluta sicurezza». Se il percorso della conoscenza è immerso nella nebbia dei condizionamenti storici, P. Cavalcoli sottolinea come a maggior ragione Rahner non possa ammettere concetti dogmatici che non siano macchiati dalla relatività. In questo lavoro del teologo domenicano viene messa in discussione radicalmente una certa interpretazione del Concilio, quel consesso di cui Rahner era perito e da cui successivamente ha tratto interpretazioni di alcuni insegnamenti della Chiesa che Cavalcoli non teme di giudicare «eretici».
«Occorre correggere gli errori di Rahner alla luce della dottrina della Chiesa e della sana filosofia», uno sforzo che implica «un intervento prudente, mirato, sistematico e organizzato dell'episcopato sotto la guida della Santa Sede».
Per tentare di dirla in parole povere il fil rouge sta nel modo in cui “stare al passo con i tempi”, “la mediazione tra fede e storia” che la Bindi vuole applicare nelle sue scelte politiche, questo può essere a sua volta un dogma che finisce per cancellare qualsiasi altro riferimento; anzi dimostra di fondarsi su di un probabilissimo errore teologico quando appunto il processo di conoscenza della verità viene subordinato a condizionamenti contingenti, perdendo così il suo carattere di riferimento assoluto.
Inoltre su questo si innesta anche il lavoro svolto nel post-concilio dalla cosiddetta Scuola di Bologna che, sulle ali del dossettismo politico, procedeva teologicamente nel rifiuto dell'opposizione della Chiesa Cattolica alla modernità.
Questa “sfiducia nella verità” (Cfr. Lett. Enc. Fides et Ratio Giovanni Paolo II) che nasce dalla riduzione della ragione a ragione strumentale è alla base del fraintendimento della laicità che a nostro parere emerge dall'intervista della Bindi. Se non c'è una verità, o meglio se non c'è una verità che è anche il bene dell'uomo, ogni norma morale è ovvio che divenga relativa e sia vissuta solo come un'ingerenza. L'affermazione dell'esistenza della verità non è assolutamente in contrasto con la misericordia, anzi ne è il fondamento. (Cfr. Lett. Enc. Caritas in Veritate di Benedetto XVI)
Chiudo citando Romano Amerio che nel famoso e riscoperto Iota Unum al n. 4 diceva: “comune è la sentenza secondo la quale la crisi della Chiesa è crisi di inadattamento alla civiltà moderna e il superamento della crisi è da ricercare in una apertura. (...) Però l'accomodazione che è essenziale alla Chiesa non consiste nel conformarsi al mondo, ma nel confermare la propria contrarietà al mondo secondo le varie attinenze storiche, e nel variare, non nel deporre, quell'essenziale contrarietà.”
PS: I recenti appelli del Santo Padre circa la necessità di una “nuova generazione di politici cattolici” (Cfr. Viaggio Apostolico a Cagliari) speriamo possano essere ascoltati in tutto il panorama politico italiano ed europeo. Preghiamo anche per questo.
(Fonte: Lorenzo Bertocchi, Parati semper blog, novembre 2009)
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