Dunque i veleni non ci sono. E ora finalmente neanche i misteri. Almeno in fondo al mare di Cetraro. Le tanto sbandierate nuove rivelazioni dell’ex collaboratore di giustizia Francesco Fonti sono risultate false. Niente Cunsky, ma una vecchissima nave passeggeri, affondata dai tedeschi durante la prima guerra mondiale. Niente rifiuti radioattivi. Niente residui tossici. Solo un antico relitto. Forse anche utile come rifugio per i pesci. Gli stessi pesci "made in Calabria" che in questi mesi nessuno ha più voluto comprare. Dannosissimo effetto annuncio. Per tanti politici, per tanti giornali, per tanti ambientalisti, e anche, purtroppo, per alcuni magistrati, la verità era già stata raggiunta. Lì sotto c’era una delle navi dei veleni. Avvenire, fin dai primi giorni, ha scelto la strada della responsabile prudenza. Parlando piuttosto di "navi dei misteri". E chiedendo che rapidamente si accertassero i fatti. Per evitare danni alla salute e all’ambiente, se ci fossero stati davvero i rifiuti tossici. Per evitare danni all’economia calabrese, se tutto fosse risultato falso. Che tante navi siano state affondate truffaldinamente per incassare l’assicurazione è processualmente accertato. Che alcune contenessero rifiuti da smaltire illegalmente è un’ipotesi su cui hanno indagato varie procure, senza giungere a certezze. Pochi indizi, tanti dubbi, troppi "inquinatori" di professione.Poi, improvvisamente, si è dato credito alle "rivelazioni" dell’ex boss. Pagine e pagine sui giornali, interrogazioni parlamentari di tutti i partiti. Piene di vecchie storie. Un minestrone, questo sì avvelenato. Roba già letta negli anni scorsi e considerata altamente dubbia da molti seri magistrati. Ma questa volta c’era l’ingrediente-Cunsky e, dunque, automaticamente un sapor di verità. Senza verifica delle fonti, la base del buon giornalismo. La libertà di informazione non può essere disgiunta dalla responsabilità, su qeuste colonne continuiamo a ripeterlo. Invece qui era tutto vero prima di essere verificato. «Irresponsabile giornalismo», lo ha definito il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso.E ora chi pagherà? Chi pagherà i pescatori che hanno invano scaricato nei porti dell’ottimo, e pulitissimo, pesce? Chi pagherà gli operatori del turismo? E chi ripagherà questa Calabria già così martoriata da mali concretissimi che si chiamano ’ndrangheta, cattiva amministrazione e malapolitica? C’è ben altro da scrivere, e da denunciare, in questa terra splendida e tragica. La vera faccia sporca e avvelenata. Quella dei rifiuti tossici, certissimamente interrati a Crotone sotto piazze, scuole e commissariati. Quella dei depuratori perennemente mal funzionanti (questo sì che fa male al mare...). Quella dei bidoni che a ogni alluvione (che in Calabria abbondano, e questa è un’altra storia...) emergono dalle fiumare. Se ora ci si dimenticasse di tutto questo, saremmo alla beffa dopo il danno. Per mesi si è gridato"al lupo al lupo". Oggi sappiamo che quello di mare almeno a Cetraro proprio non c’è. Ma altri "lupi", reali e pericolosi, ci sono. E le cosche grazie a loro hanno fatto e fanno lucrosi affari.I calabresi puliti, dopo aver pagato una pessima informazione, non meritano un colpevole oblio. Si vada, dunque, fino in fondo. Ripulendo Crotone e le altre aree realmente inquinate. Facendo pagare i responsabili. Scavando nelle cave e nelle fiumare del Cosentino per accertare se davvero, come hanno riscontrato le prime analisi, lì ci sono rifiuti tossici e radioattivi. E lo si faccia in fretta. Senza rinunciare a cercare le altre "navi dei misteri". Ma con efficienza, trasparenza e senza clamori propagandistici. Dando risposte certe a un popolo che ha bisogno di pulizia. E di verità.
(Fonte: Antonio Maria Mira, Avvenire, 30 Ottobre 2009)
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