Nel solo mese di novembre, l’arcidiocesi di Milano ha organizzato quattro conferenze sull’islam, fra cui una intitolata così: “Apprezzamento di alcuni valori religiosi nell’islam”. A gennaio se ne terrà un’altra: “Attuali fronti del dialogo con l’islam”. Le lezioni sono tenute dall’accademico Paolo Branca e fanno parte del ciclo “Dio ha molti nomi”, promosso dal cardinale Dionigi Tettamanzi. Per capire la logica della diocesi nei rapporti con l’islam è decisiva la figura di Branca, l’islamologo di riferimento di Tettamanzi.
Paolo Branca, intellettuale di establishment, cattedratico all’Università Cattolica di Milano nonché editorialista del Sole 24 Ore. Martiniano con origini nei popolari del Pd, Branca è il teorico della “contaminazione delle culture”, in nome dell’integrazione, e il punto di riferimento sull’islam del cattolicesimo democratico. Branca è fautore del cosiddetto modello “interculturale” che domina a Milano da anni (“lavoriamo perché il nostro mondo diventi un grande laboratorio interculturale”).
L’ibridazione teorizzata da Branca è una delle due inclinazioni della chiesa sull’islam, e contrasta con lo sguardo critico di studiosi come Samir K. Samir. Branca è stato promotore dell’equivoca “Giornata del dialogo CristianoIslamico” assieme a Don Zega e al portavoce dell’Ucoii, Hamza Piccardo. E proprio l’Ucoii, attraverso l’Associazione giovani musulmani d’Italia, fece il nome di Branca, oltre a quello dello sponsor dell’islamista Tariq Ramadan Stefano Allievi, come candidato alla Consulta per l’islam lanciata dall’allora ministro dell’Interno Pisanu.
Dopo gli attentati di Sharm el Sheikh, Paolo Branca disse che “sta a noi prendere l’iniziativa, andare nel Centro islamico più vicino, varcare la soglia delle loro case per esprimere la nostra solidarietà e partecipazione”. Su Repubblica Branca avrebbe poi paragonato il trattamento dei musulmani milanesi a quello degli ebrei sotto le leggi di Norimberga”.
Presenza fissa sul settimanale della diocesi milanese Incrocinews, su Famiglia Cristiana e sulla rivista della cooperazione sociale Vita, Paolo Branca parla di “moschee inquiete” senza aver mai riconosciuto che quelle stesse moschee sono state trasformate in mercati dell’odio da cui partono “martiri” per il medio oriente.
Ma, cosa più rilevante, è stato lo sponsor della celeberrima scuola di via Quaranta a Milano, la pseudomadrassa dove si studiavano arabo e sure coraniche per trasformare gli studenti in pupilli dell’islamismo, e che per quattordici anni ha sottratto all’obbligo scolastico centinaia di bambini egiziani. Branca ne fu il garante davanti alle istituzioni fino allo scoppio del caso. Sempre di Branca è l’anima dell’inserto islamico del settimanale Vita, “Yalla Italia”, che offre un’immagine edulcorata delle comunità musulmane in Italia, senza far parola sul fatto che il nostro paese è stato il terzo nel fornire carne da macello per gli attentati kamikaze in Iraq.
Fallito il modello di via Quaranta, Branca ha lanciato in Cattolica il “Laboratorio interculturale”. Sempre sua l’idea di insegnare l’arabo nelle scuole elementari e medie di Milano e dell’hinterland.
Suo anche il dvd “Conosciamo l’islam”, realizzato per le scuole lombarde dalla Cattolica e dall’Ufficio scolastico della regione. Vi compare anche Sara Orabi, che andò a Porta a Porta a giustificare la lapidazione delle adultere e che su Repubblica ribadì: “Io, studentessa col velo, dico sì alla lapidazione”.
Commentando le invocazioni ad Allah per distruggere Israele fatte dall’imam Moussa nella moschea di Roma, Branca non le condannò in quanto inviti espliciti al terrorismo, ma erano, più semplicemente, “un allarme culturale, più di natura religiosa che politica”.
Branca diverrà protagonista di un celeberrimo appello apparso sulla rivista Reset contro l’allora vicedirettore del Corriere della sera, Magdi Allam. I prodromi del pronunciamento avevano avuto come teatro proprio l’Università Cattolica di Milano. L’attacco ad personam al giornalista egiziano che vive sotto scorta da quando a Repubblica svelò la guerra contro gli “infedeli” promossa nella moschea di Roma, fu molti controfirmato da intellettuali, storici e scrittori.
Si andava da Agostino Giovagnoli, storico alla Cattolica di Milano, ad Alfredo Canavero, collaboratore di Avvenire; da Guido Formigoni, studioso di cattolicesimo italiano, al priore di Bose Enzo Bianchi, fino a intellettuale ebrei come David Bidussa e storici azionisti come Angelo D’Orsi. C’erano anche Massimo Jevolella, autore del libro “Le radici islamiche dell’Europa”; lo studioso del Concilio Alberto Melloni, il medievologo Franco Cardini, la poetessa Patrizia Valduga, il biblista Piero Stefani e il filosofo della Cattolica Franco Riva, che scrive per le edizioni cattoliche Città Aperta.
Alla conferenza “Quale islam in Europa?”, organizzata dalla diocesi di Milano e presieduta proprio da Paolo Branca, tra i relatori c’era il presidente dell’Ucoii, la propaggine italiana dei Fratelli musulmani, quel Mohammed Nour Dachan che ha preso parte alla Consulta per l’islam istituita dall’allora ministro dell’Interno, Giuliano Amato. Dachan è passato alle cronache per aver pubblicato a pagamento su alcuni giornali nazionali una pagina dove si leggeva: “Ieri stragi naziste, oggi stragi israeliane”. E ancora: “Marzabotto uguale Gaza uguale Fosse Ardeatine uguale Libano”.
Nonostante questo manifesto dell’odio, il dottor Dachan è il benvenuto nella curia di Milano. Intanto sul sito della diocesi di Milano campeggia ancora un “ringraziamento particolare” a Sara Orabi, la ragazza che sul primo canale della Rai è andata a dire che “non solo è giusto lapidare le adultere, ma se i cristiani fossero veri credenti le lapiderebbero anche loro”.
Ma forse è una svista.
(Fonte: Giulio Meotti, Il Foglio, 10 dicembre 2009)
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