L’anno scorso cinquemila ragazze inglesi al di sotto dei 20 anni hanno abortito, e per tutte quante era almeno la seconda volta. Sempre in Gran Bretagna fra le donne di età compresa tra i 20 e i 24 anni le cosiddette “recidive”, come si chiamano in gergo statistico, sono state più di 15 mila. Queste sono alcune delle cifre snocciolate questa settimana dal dipartimento della Sanità in risposta a un’interrogazione parlamentare del ministro ombra della Salute, la conservatrice Anne Milton. La quale, dopo aver letto a novembre che la Gran Bretagna è al primo posto in Europa per aborti, soprattutto fra le più giovani, ha chiesto al governo di entrare nel dettaglio.
Sono più di 62 mila le donne che nel 2008 hanno interrotto una gravidanza almeno per la seconda volta nella loro vita, ben un terzo del numero totale degli aborti. La maggior parte di loro (oltre 46 mila) erano single di tutte le età e altre 9.500 erano sposate, cui si aggiungono le oltre 6.000 di cui non si conosce lo stato civile.
Stando alle statistiche del sistema sanitario nazionale, in 3.800 lo avevano già fatto almeno altre quattro volte. “E’ ampiamente dimostrato che abortire danneggia la salute mentale della donna – ha commentato Milton – Come è possibile che non siamo in grado di ridurre il numero delle ragazze giovani che non soltanto mettono fine a una gravidanza indesiderata, ma che oltretutto tornano e lo fanno di nuovo?”. Nonostante le campagne martellanti sulla contraccezione, le ragazzine inglesi continuano a restare incinte e ad abortire. “Questi numeri dimostrano che i tentativi di dare ai giovani più contraccettivi per cercare di ridurre le gravidanze indesiderate porta soltanto ad avere sempre più aborti – ha detto il direttore del gruppo British Right to Life, Phyllis Bowman – Le ragazzine sono più pronte a far sesso perché sanno che possono sempre abortire”. Oggi in Gran Bretagna finisce così metà delle gravidanze delle teenager.
A giugno il ministero della Sanità ha reso noto che, fra il 2005 e il 2008, hanno abortito 450 bambine con meno di 14 anni e 23 non avevano ancora compiuto dodici anni. Stando ai dati dell’Eurostat, nel 2007 l’Inghilterra non soltanto si è piazzata prima in Europa per numero di aborti e sesta nel mondo (dopo Cina, Russia, Stati Uniti e Giappone), ma ha guadagnato il primato assoluto anche negli aborti fra adolescenti. Non convinto che queste cifre siano già sufficienti a decretare il fallimento di un programma nazionale che puntava a dimezzare le gravidanze fra adolescenti entro l’anno prossimo, costato già più di 300 milioni di sterline, il governo britannico va avanti con il suo piano di battaglia, quella “Teenage Pregnancy Strategy” (che i pro life locali hanno ribattezzato “Teenage Abortion Strategy”). Dopo spot cruenti per scoraggiare le gravidanze al liceo e quintali di pillole e preservativi distribuiti, ha riposto ogni speranza nel programma di indottrinamento sessuale scolastico al quale dal 2011 tutti i bambini dovranno essere sottoposti a partire dai cinque anni.
Il ministro per l’Infanzia, Dawn Primarolo, fino a ieri si è detta convinta che i dati per il 2008, non appena disponibili, dimostreranno che il numero degli aborti fra le adolescenti è in calo. Intanto Londra si è trasformata nella patria dell’aborto seriale: una londinese su 106 è almeno alla sua seconda interruzione di gravidanza, la proporzione più alta di tutto il paese. E a Londra volano ad abortire anche dalla vicina Irlanda, dove c’è una legge che tutela “il diritto alla vita dei non nati”, secondo la quale si può interrompere una gravidanza unicamente per seri pericoli di salute della madre. Proprio sull’Irlanda si pronuncerà questa settimana la Corte europea per i Diritti dell’uomo, la stessa che ha detto la sua sul crocifisso nelle aule italiane. Il Tribunale ieri ha ascoltato le testimonianze di tre donne – che sono già le eroine dei blog pro choice – che nel 2005 avevano denunciato la normativa dell’Irlanda in materia, dichiarando di essere state costrette a prendere un aereo e a spendere molti soldi per andare ad abortire a Londra.
(Fonte: Valentina Fizzotti, Il Foglio 10 dicembre 2009)
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