A più di tre mesi dall’attacco a Dino Boffo e ad “Avvenire”, il direttore del “Giornale” Vittorio Feltri è tornato sulla vicenda per dire – già nel titolo – che per lui “il caso è chiuso”.
Chiuso con l’accertamento della falsità delle accuse portate contro lo sventurato.
Feltri afferma di “aver avuto modo di vedere” gli atti processuali riguardanti l’ex direttore di “Avvenire”. E ha scoperto che “da quelle carte Dino Boffo non risulta implicato in vicende omosessuali”, né si parla di lui come di “omosessuale”.
Di conseguenza, Feltri tributa a Boffo l’onore delle armi, sia come giornalista “prestigioso e apprezzato”, sia per il suo atteggiamento “sobrio e dignitoso”. Egli, conclude, “non può che suscitare ammirazione”.
Ma c’è di più, nella nota del direttore del “Giornale”.
In sostanza, Feltri fa sapere di aver investigato sulla fondatezza o no delle accuse a Boffo non prima della pubblicazione delle stesse, ma solo dopo, molto dopo.
E se così ha fatto – pubblicando e avvalorando a scatola chiusa le carte poi da lui riscontrate come false – è stato solo perché quelle carte gli erano state “consegnate da un informatore attendibile, direi insospettabile”.
Feltri non specifica altro. Ma si sa che le carte a lui passate sono le stesse che prima dell’estate erano state recapitate per posta, anonimamente, a circa duecento vescovi e personalità cattoliche di spicco.
Dal campo cattolico sono venute e in campo cattolico hanno alla fine colpito, grazie alla chiamata in azione di Feltri.
Ma a conti fatti, il mandante “insospettabile” dell’operazione non può certo cantare vittoria.
Ad “Avvenire” come nuovo direttore c’è Marco Tarquinio, cioè quanto di meglio i veri amici di Boffo potevano aspettarsi.
E al “Giornale” c’è sempre Feltri, che però ora ha il dente avvelenato contro chi l’ha tratto in inganno.
(Fonte: Settimo cielo, 4 dicembre 2009)
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