Il filo rosso nelle prese di posizione del presidente della Cei é l’impegno costante, attento, preciso, a dare voce ad una Chiesa “del sì”. Ha ribadito questa linea anche in un’ampia intervista del 18 ottobre al “Corriere della Sera”. Sì alla coesione sociale, istituzionale, morale del Paese, sì alla testimonianza franca dei cattolici, sì all’equilibrio di fronte ai grandi temi, vecchi e nuovi, nell’agenda del dibattito pubblico, dal fine-vita all’immigrazione, sì al magistero del Papa e all’impegno di evangelizzazione, perché la Chiesa “è inviata ad annunciare a tutti la grande speranza che è il Signore Gesù”.
In questo senso il presidente della Cei ha sottolineato il rapporto strettissimo della Chiesa in Italia con il Papa, per cui la Cei, tanto nell’”era” Ruini che in quella del suo successore non ha una linea propria, quanto sviluppa, interpreta, attua, le indicazioni del Papa, cui l’Italia e gli italiani vogliono bene. Questo legame speciale è una grande risorsa. Si chiarisce molto bene in questo senso anche il rapporto tra Cei e Curia romana, operando questa con un respiro più internazionale, sul registro dei rapporti diplomatici con i singoli Stati. Molto calzante a questo proposito, così da informare correttamente non pochi “retroscenisti”, la citazione della lettera apostolica “Apostolos suos”, sulle competenze delle Conferenze episcopali. Ma basta proprio il dato essenziale del rapporto diretto e privilegiato del Papa, primate e vescovo di Roma, con Roma stessa e con tutta l’Italia: una realtà sotto gli occhi di tutti.
Ne viene di qui una sorta di vocazione speciale dell’Italia stessa, che i Papi non hanno mancato di sottolineare. Ne viene anche quell’appello accorato non tanto e banalmente al “disarmo” tra le parti politiche, quanto, più in profondità, a “superare la nostra atavica tendenza a dividerci piuttosto che ad affrontare le questioni nodali del Paese”. A chi giova lo scontro sistematico su tutto, alimentato ad arte, cercato come fine a se stesso? Non giova a nessuno, perché è espressione del nulla. Secondo il cardinale Bagnasco ha delle radici morali, nel “virus individualista” che spinge ad una sorta di lotta di tutti contro tutti.
Ecco, allora, la bussola dell’impegno, della testimonianza, ecco il richiamo morale e non moralistico al bene comune, ecco l’attenzione del pastore alle concrete esigenze del popolo. La Chiesa in Italia è una Chiesa di popolo proprio perché conosce la vita concreta delle persone. Proclama i principi e sa applicarli nella vita reale, è vaccinata contro l’astrattismo. Per questo il presidente della Cei rifiuta gli schemi di un certo modo di fare comunicazione, che pretendono di far recitare sempre ai cattolici un copione già scritto, luoghi comuni e interpretazioni “superate dalla storia”. Bisogna invece saper guardare avanti, e farlo in modo aperto, incerto, libero e condiviso. Una storia accelerata non fa sconti a nessuno.
(Fonte: Francesco Bonini, Sir, 21 ottobre 2009)
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