Con questo titolo, Francesco Ognibene sull’Avvenire lamenta la totale carenza di educazione, di buon gusto, di pulizia mentale, con cui vengono affrontate tavole rotonde, programmi di informazione e di intrattenimento. Nella satira poi, oltre ai personaggi politici, non manca occasione che anche il papa e la religione cattolica siano oggetto di scherno, con battute che rivelano una microcefalia allarmante. E questo soprattutto nelle trasmissioni della Tv di Stato. È veramente triste constatare come tale modus operandi rientri ormai nella normalità e sia riservato indistintamente a quanti non siano allineati con una ben determinata linea di pensiero laica, imposta dalla sinistra e dai media al suo servizio: recentemente, nel caso della bocciatura della Legge sull'omofobia, è toccato alla Binetti, e condividiamo il contenuto di sacrosanto sdegno dell’articolista:
«Ormai ci stanno abituando a tutto: polemiche violente, scambi di contumelie, colpi sotto la cintura, tanto che si fatica a ricordare un clima politico e culturale così avvelenato. E tuttavia, sebbene il tono del discorso pubblico abbia sfondato da tempo il livello di decibel tollerabili, dentro di noi esiste e resiste una soglia oltre la quale scatta più forte la reazione: è quando percepiamo violata un’area che, invece, vorremmo esente dai furiosi schizzi di fango che vanno così di moda.
Perché le idee possono diventare oggetto di confronti anche accesi, ma mai potremo restare indifferenti al cospetto dello scempio svagato della religione e davanti alla sua maligna denigrazione consumata con irridente indolenza da sussiegoso avanspettacolo. Se, poi, questo accade sulla tivù di Stato, all’indignazione si mescola lo sgomento per l’irresponsabile deriva di un «servizio pubblico» del quale ci ostiniamo ad avere un altro e alto concetto.
Abbiamo chiuso gli occhi, spento la tv e buttato il telecomando qualche sera fa quando a "Parla con me", su Rai3, Avvenire è stato fatto entrare, in modo tanto stolido quando diffamatorio, in un’aspra parodia delle obiezioni all’idea di introdurre un’aggravante penale specifica anti-omofobica. Ma quel che l’altra notte è andato in onda sullo stesso tema e dal medesimo telesalotto dello humour intellettuale progressista – che passa da Saramago a Vergassola, con l’ilare e pochissimo serena Serena Dandini a condurre – è il segno desolante e volgare di una certa Italia dove si profana tutto con l’aria di chi dice una cosa raffinatamente umoristica. Dentro un confessionale, una finta Paola Binetti nelle vesti del confessore maltratta un penitente mettendolo in guardia da orrendi peccati politici. Per espiare la grandinata di mancanze, snocciolate col tono di un Torquemada d’avanspettacolo, gli assegna infine un Padre Nostro straziato e deforme che passa a recitare tra lazzi e sghignazzi con Dandini capoclaque.
La grevità della scenetta è deprimente. Siamo alla messa alla gogna di un personaggio pubblico per la sua fede cristiana e all’offesa del sentimento religioso di decine e decine di milioni di italiani: fatto odioso solo a nominarlo e scelta "artistica" miserabile. La satira giunge al limite della bestemmia e, da arma contro i potenti, si fa attacco maramaldo a una donna e parlamentare coerente con la propria coscienza e perciò minacciata di espulsione dal suo partito, il Pd.
È questo il concetto di libertà coltivato sul divano rosso della signora Dandini, tra un sentenziare pensoso e risatelle garrule e, manco a dirlo, colte? E cosa c’è di più meschino del ridurre a grottesca messinscena i simboli religiosi – la Confessione, il Padre Nostro – per ribadire il proprio sovrano disprezzo verso le fedeltà e i sentimenti più antichi e profondi degli italiani? È così: sulla tivù di tutti, fa scandalo e merita irridente punizione il dirsi pubblicamente cattolici, e trarne le dovute conseguenze con scelte che suonano come uno schiaffo al torpido opportunismo del politicamente corretto.
No, non ci fa ridere la insulsa sceneggiatura di un sacramento. Non ci fa ridere, e non ci consente di limitarci a spegnere la televisione e a buttare il telecomando, lo scempio della preghiera più cara al cuore cristiano: l’invocazione che ci ha dettato Gesù stesso, dandoci il senso profondo della paternità di Dio e mettendo nella nostra storia d’uomini l’idea della fraternità e della libertà; l’inno cantato da generazioni di credenti e capace di affiorare, nelle ore buie della vita, anche sulle labbra di chi non ha fede.
Questi sono giorni in cui si parla spesso, a torto o a ragione, di vilipendio. Sulla Rai, servizio pubblico televisivo, è stato dimostrato a tutti di che cosa si tratta. Si è giochicchiato ignominiosamente con l’indisponibile patrimonio comune del nostro popolo. Persino prima che della religione, un tragico vilipendio dell’intelligenza».
(Fonte: Francesco Ognibene, Avvenire, 17 ottobre 2009)
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