La Corte Costituzionale ha deciso in merito al Lodo Alfano. Una decisione tecnica ( come hanno sostenuto i fautori dell’annullamento del Lodo) o una decisione politica ( come invece hanno sostenuto i fautori della salvezza del Lodo)? La risposta corretta è: tutte e due le cose insieme.
È ovvio che in uno Stato democratico tutte le decisioni della magistratura ( ivi comprese quelle della Corte) siano tecniche, almeno per il fatto che sono prese ( e non potrebbero non esserlo) esclusivamente da giuristi, legittimati ad assumere la funzione di giudici e vincolati a motivare le loro decisioni con argomentazioni strettamente giuridiche.
Ma è altrettanto ovvio che le decisioni di qualsiasi tribunale ( e in particolare quelle della Corte Costituzionale) siano sempre e inevitabilmente politiche, perché il diritto è intriso di valori e lo è in particolare una Costituzione, come la nostra, esplicitamente liberaldemocratica: di conseguenza è inevitabile, anzi è doveroso, che il giudice, applicando la legge, sia sensibile all’orizzonte valoriale su cui la democrazia si fonda, consentendole, tramite le sue sentenze, di incarnarsi nel mondo della vita. Se si vuole accusare un qualsiasi giudice o la stessa Corte Costituzionale di emanare verdetti politici, non lo si potrà fare accusandoli genericamente di politicizzazione, ma piuttosto accusandoli di preporre indebitamente a quelli palesemente recepiti dalla nostra Costituzione e dall’ordinamento positivo valori ideologici privati, alternativi o comunque irriducibili alla logica della democrazia.
Le accuse di politicizzazione della Corte Costituzionale non sono però recenti. In genere esse non sono mai dipese dal fatto che si sia pensato che i giudici della Corte siano soggettivamente orientati ad abusare ideologicamente del loro ruolo ( la cosa è ovviamente possibile, ma poco probabile). Sono dipese piuttosto ( e temo che continueranno a dipendere) da un altro fattore: dalle norme (purtroppo di rango costituzionale e quindi ben difficili a modificarsi) che regolano la scelta dei giudici per la Consulta.
Come è noto, per un terzo i giudici della Corte sono eletti dal Parlamento: tale elezione è quindi inevitabilmente condizionata da accordi tra i partiti e le accuse di lottizzazione sono ineliminabili. Per un altro terzo essi sono nominati dal capo dello Stato: in questo caso di nomina partitica non si può assolutamente parlare, ma la pur grande autorevolezza del presidente della Repubblica non è mai stata sufficiente a evitare valutazioni critiche di tipo politico, anche perché non sempre i presidenti sono stati saggi, nominando esclusivamente giuristi di fama indiscussa e unanimemente condivisa.
Per un altro terzo, i giudici sono nominati dalla magistratura: la caratterizzazione politica di questi giudici sarebbe evidentemente minima, solo se la magistratura italiana non fosse divisa in correnti e non avesse, a torto o a ragione, consentito all’opinione pubblica di pensare che qualsiasi magistrato sia etichettabile politicamente… Esistono metodi alternativi e più convincenti per individuare i giuristi da inviare alla Consulta, che consentano alla Corte di sfuggire all’odiosa accusa di politicizzazione? Sarebbe un’imperdonabile ingenuità supporlo: ogni criterio ipotizzabile ha le sue controindicazioni, che tutti i costituzionalisti conoscono benissimo. Esistono però alcune ipotesi alle quali in Italia non si è mai dato il credito che meriterebbero. La prima è quella di eleggere i supremi giudici a vita, per fugare ogni pur minimo sospetto che dopo la scadenza del loro mandato essi possano riciclarsi (come purtroppo a volte è avvenuto) come parlamentari o come presidenti di società o di istituzioni di nomina squisitamente politica.
Il fatto che questa possibilità esista attira purtroppo sui giudici un’ombra di sospetto, che solo la nomina a vita potrebbe fugare. Ma potrebbe essere anche molto utile imporre ai potenziali giudici, che si volessero candidare alla Corte, di presentarsi in Parlamento per una pubblica audizione, per rispondere alle domande di deputati e senatori, per far conoscere i loro orientamenti valoriali e le loro valutazioni in merito alle questioni socio- politiche più urgenti e scottanti, per dar prova della loro lucidità argomentativa e della loro competenza costituzionalistica… Non è più sufficiente oggi un curriculum per conoscere la stoffa di cui è fatto un uomo. Consentire ai cittadini interessati di sapere tutto ciò che è legittimo sapere sulla vita, sulle idee, sulle competenze di coloro che potrebbero divenire i custodi della Costituzione può costituire un formidabile passo avanti nel progresso della nostra società civile e politica.
(Fonte: Francesco D'Agostino, Avvenire, 10 ottobre 2009)
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