giovedì 14 maggio 2009

Meno “potere” al prete, più collaborazione dal laico

Annota nel suo “Diario della Visita pastorale” il Beato Andrea Giacinto Longhin, vescovo di Treviso nei primi anni del Novecento, al giorno 21 marzo 1908, mentre è in visita alla parrocchia di Trivignano: “Battocchio Angelo è fabbriciere da appena un mese. Dice che non vi sono debiti, la chiesa non ha bisogni speciali. In cassa-Anime vi sono denari (...). Il parroco fa dottrina: concorreranno una cinquantina di ragazzi, i quali però stanno poco attenti perché il povero parroco essendo vecchio non è capace di tenerli a dovere. Franzoi Giuseppe, fabbriciere da cinque anni, fa giustamente osservare che sarebbe necessario un Cappellano perché il parroco è ormai vecchio...”. I fabbricieri erano una sorta di Consiglio per gli affari economici del tempo, con una notevole capacità decisionale ed autonomia. Il vescovo in Visita pastorale li riceveva a colloquio ad uno ad uno e s'informava da loro, prima che dal parroco, sulla situazione economica e pastorale della parrocchia. Quello dei fabbricieri era un antico organismo istituzionale di partecipazione molto concreta dei laici alla vita della parrocchia. Certo non il solo.
Sbagliano quanti credono che, prima del Concilio Vaticano II, i laici cattolici italiani si trovassero in una condizione di totale subordine rispetto al clero. Al Concilio, ad esempio, giunse un'Azione Cattolica fatta da laici cristiani che si impegnavano attivamente per la vita della comunità: lo facevano in modo responsabile, cioè “da adulti”. Ma possiamo spingerci molto più lontano, al Medioevo e al Rinascimento, per ricordare le Confraternite e le Scuole, forme estremamente interessanti di partecipazione laicale alla vita della Chiesa.
Cosa è cambiato col Vaticano II? E' cambiata la consapevolezza ecclesiale del ruolo del laici, non più soltanto “Chiesa discente”, che ha da imparare, di fronte alla “Chiesa docente” formata dal clero, che ha da insegnare: anch'essi responsabili in prima persona, in forza del battesimo, della edificazione della comunità cristiana. Ma negli anni dopo il Concilio questa presa di coscienza spesso è stata inversamente proporzionale al reale impegno del laico cristiano dentro la Chiesa. Paradossalmente la Chiesa che è uscita dal Vaticano II è una Chiesa di comunione nella consapevolezza, ma ancora molto clericale nelle gestione: addirittura a volte più clericale della Chiesa che giunse al Concilio.
Il prete rischia di essere a tutt'oggi non solo il perno attorno al quale gira la vita comunitaria, ma anche colui dal quale tutto deve dipendere: dall'organizzazione della gita sulla neve alla predicazione, alla direzione dei restauri degli edifici parrocchiali ecc..
(...) Non è questo il luogo di un'analisi approfondita sul perché questo sia potuto accadere. Gli anni che seguirono il Vaticano II furono per l'Italia gli anni del boom economico con la conseguente, progressiva, secolarizzazione.
Credo abbia contato anche una certa divulgazione del Concilio molto intellettualistica (penso alla vastissima letteratura religiosa del periodo post-conciliare) che però non ha saputo sempre incidere sulla vita delle comunità cristiane. Inoltre il Concilio stesso ha in un certo senso bloccato la spinta propositiva che l'aveva generato.
Sta di fatto che oggi si evidenzia sempre di più (anche per la scarsità sempre maggiore di vocazioni al sacerdozio) l'urgenza che i laici cristiani riscoprano pienamente la propria identità e diventino costruttori di Chiesa. Potranno esserlo a condizione che crescano nella comunione, superando umilmente personalismi e tentazioni autocelebrative, magari arrogandosi indebitamente facoltà e iniziative decisamente inconciliabili con il loro stato laicale. E a condizione che i preti sappiano rinunciare a un po' del loro “potere”, accogliendo i laici non solo come collaboratori, ma come protagonisti in forza del sacerdozio battesimale della vita della comunità.

(Fonte: Sandro Vigani, Gente Veneta, n. 16/2009)

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