Tra i commenti che hanno accompagnato l'inizio del quinto anno di pontificato di Benedetto XVI (19 aprile), quello del vaticanista de La Repubblica, Marco Politi, lascia trasparire in modo emblematico la perdurante cattiva comprensione dell'attuale papato da parte di molti ambienti progressisti.
Per Politi esistono, in sostanza, due distinti (e distanti) Joseph Ratzinger: il Papa spirituale e il Papa «regnante», il predicatore e l'uomo di governo della Chiesa, il profeta dell'amore e il duro inquisitore. Il primo Ratzinger è quello che potremmo definire «esoterico», quello - scrive Politi - «segreto, che pochi conoscono».
E' il Ratzinger che, predicando «in una Chiesa parrocchiale o in una casa di accoglienza per malati», magari di fronte a pochi uditori, «rivela, con parole pregnanti e semplici insieme, il suo anelito per un cristianesimo essenziale, puro, non caricato di sovrastrutture». Il secondo Ratzinger - il contrario del primo - è quello che chiameremmo «essoterico», quello pubblico che guida la Chiesa «a confronto con la società odierna, vista in preda a materialismo e nichilismo». E' il Ratzinger «che si espone a polemiche sulla scena internazionale a causa di scelte di governo o giudizi controversi».
Va da sé che, a passare il severo esame condotto dal pulpito de La Repubblica, è soltanto il primo Ratzinger. Politi - bontà sua - scrive che, in fondo, nonostante tutto, «l'animo di Ratzinger è realmente orientato verso una fede intima, che anche quando si esprime nell'impegno sociale rimane ancorata ai due cardini dell'esperienza cristiana: la croce e la risurrezione». Seccamente bocciato, invece, il secondo Ratzinger, quello nel quale il «pessimismo agostiniano tinge le parole del Papa» al punto da determinare le «sue scelte di regnante».
Se per un verso le parole di Politi riguardanti la grandezza spirituale di Benedetto XVI potrebbero essere accolte con un «meglio tardi che mai!», considerato il modo con il quale il giornale fondato da Scalfari ha commentato l'attuale pontificato sin dalle sue prime mosse, per un altro verso non devono trarre in inganno.
Esse, infatti, non fanno che confermare la persistenza dell'alone di scetticismo e di pregiudizio conformista che circonda il papato ratzingeriano.
Ammettere, come fa Politi, che sussiste un carisma spirituale di Benedetto capace di «affascinare tanti cattolici e spesso anche seguaci di altre religioni o agnostici» (capace cioè di toccare i cuori e le menti di coloro che si accostano a lui senza preconcetti di sorta) e poi scrivere, poche righe dopo, che il governo ratzingeriano mira a far apparire la Chiesa, nel confronto col mondo, «sempre in pericolo, assediata dall'odio, attirata verso l'abisso», significa presentare un Papa dottor Jekyll e mister Hyde, medico e carnefice, che cura le ferite interiori degli uomini e che, allo stesso tempo, li mortifica.
E', questa, una visione che punta a riprodurre nella figura del Papa la concezione dualistica di certe correnti spiritualistiche, che scindono cioè l'essenza spirituale del cristianesimo da quella che Politi chiama la «sovrastruttura», la Chiesa, con tutte le sue propaggini istituzionali. Portata alle estreme conseguenze, questa teoria individua in tutto ciò che è spirito il Bene, mentre il Male sta in tutto ciò che è materia. E' chiaro, seguendo la scia di tale ragionare, che Benedetto XVI rappresenterebbe nella sua stessa persona, nel suo stesso pontificato, questa bipartizione, questa scissione tra lo «spirito» e la «sovrastruttura», tra il desiderio di un «cristianesimo essenziale» e il freddo «governo della Chiesa», tra il Bene e il Male - incarnando in questo caso entrambi.
Per uscire da questo modo ambiguo ed equivoco di rappresentare il pontificato di Benedetto basterebbe ammettere che c'è un nesso profondo tra il modo di essere interiore del Papa e il suo modo di governare la Chiesa; che le decisioni che egli assume come «regnante» nascono dalla stessa sorgente da cui sgorgano le sue prediche, il suo parlare spirituale; che le scelte per guidare la barca di Pietro nel concreto della storia hanno la medesima origine dell'impeto profetico e del respiro senza tempo delle omelie: comunicare a tutti la bellezza e la grandezza del cristianesimo, dello straordinario incontro non con un «messaggio spirituale», ma con il «Verbo fatto carne» e presente nel «corpo mistico», la Chiesa.
Insomma, basterebbe prendere in considerazione con semplicità quello che Benedetto XVI da ormai cinque anni dice e fa, senza voler separare artatamente quello che egli stesso tiene unito.
(Fonte: Ragionpolitica, 22 aprile 2009)
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