«La famiglia allargata è una sciocchezza del nostro tempo. Una scusa per giustificare i propri errori e per vivere in pace con se stessi e i parenti. Ma in realtà non esiste». Ci vuole coraggio, oggi che quello della famiglia allargata è uno dei falsi miti cui è indispensabile inchinarsi, a negarne la validità. E non c’è dubbio che oggi, dopo Verdone con “Io, loro e Lara” e Virzì con “La prima cosa bella” , il cinema italiano sembri provare una sorta di nostalgia proprio per quella famiglia che per decenni ha tentato di demolire.
Ora anche Giovanni Veronesi – autore di “Genitori e figli: agitare bene prima dell’uso” in programmazione in 550 cinema – ammette: «Me ne sono accorto troppo tardi, perché sono divorziato anch’io; ma solo a cinquant’anni ho capito che la vera famiglia è quella in cui nasci ed è quella che ti formi dopo. È il rapporto che ti lega per sempre, che tu lo voglia o no, ai tuoi genitori, a tua moglie, ai tuoi figli. E che prima o poi riaffiora sempre. La famiglia “allargata” è un espediente, un alibi per chi non ha potuto o voluto rispettare quei legami». Il che spiega il tono di particolare e autobiografica sincerità con cui Veronesi racconta i suoi “Genitori e figli:” Silvio Orlando e Luciana Littizzetto, due divorziati alla rincorsa di una figlia quattordicenne (la debuttante Chiara Passarelli), che si scontra con la vita, e di una nonna (Piera Degli Esposti) separata da quindici anni di rancori col figlio; quindi i litigiosi Michele Placido e Margherita Buy alle prese con un figlio diciottenne (Andrea Fachinetti, figlio di Ornella Muti), la cui massima ambizione è partecipare al “Grande fratello”, ma è «talmente ignorante – dice Veronesi – da non saper leggere la parola Beatles scritta su un foglio. L’insegnamento degli autori dei reality è stare lì a fare niente. Intorno ai partecipanti c’è il nulla».
Senza suggerire soluzioni e senza completamente liberarsi della confusione che affligge il tema stesso, Veronesi non prende posizioni precise. Però confessa: «Di solito io mi nascondo dietro la pubblicità che circonda i miei protagonisti. Stavolta invece mi sono messo direttamente in campo. I nomi dei personaggi, molti fatti e sentimenti sono quelli vissuti dalla mia stessa famiglia. Questo senso di nostalgia per il “branco”, cioè per quel nucleo solido di quattro o cinque affetti che, volente o nolente, ti porti sempre dietro, è la mia stessa nostalgia». Condivide la visione del regista anche Piera Degli Esposti: «Io non mi sono mai voluta sposare – confessa –. Ma ricordo bene l’affetto che legò per sempre i miei genitori. Non c’è dubbio: la famiglia “allargata” non ha niente a che vedere col valore legato a quelle realtà centrali». Qualche dubbio il film potrebbe sollevarlo sulla moda giovanilistica cui sembra indulgere (le terribili amiche della protagonista sembrano tolte di peso da un film di Moccia), ma il regista ribatte: «Io sono stato uno dei primi a iniziare questo filone. Perché io parto sempre dai giovani, per poi gettare un ponte fra loro e gli adulti».
E ad entrambi Veronesi si è rivolto, per la sceneggiatura di “Genitori e figli”. «Ho consultato i figli attraverso 500 temi svolti da studenti sull’argomento; con i genitori ho dialogato per un anno e mezzo su Radiodue. Ed è stato così che ho compreso i disastri che, sul tema, hanno provocato quelli della mia generazione».
(Fonte: Giacomo Vallati, Letto e Visto, 24 febbraio 2010)
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