Una celebrazione "simbolica", un "matrimonio" fra due donne omosessuali. Si è svolta sabato scorso a Torino con un ospite importante: il sindaco Sergio Chiamparino (nella foto), deciso a "portare in Parlamento" il tema dei matrimoni omosessuali (confondendo il matrimonio con le unioni civili e i diritti individuali). E ieri è arrivato, dall’ufficio Famiglia della diocesi di Torino, un comunicato che puntualizza le posizioni della Chiesa torinese, già espresse in più occasioni dal cardinale Poletto.
Il "matrimonio" omosessuale, infatti, era stato annunciato da tempo, a novembre 2009; e fin da allora Chiamparino aveva fatto sapere che avrebbe partecipato. Poi è stata fissata la data, e l’annuncio ha dato l’occasione per tornare sul tema. Sabato scorso c’è stata la cerimonia, dopo aver conquistato il massimo di visibilità disponibile. In questa vicenda si direbbe che la visibilità è "tutto", visto che l’unione "matrimoniale" in quanto tale non ha nessun significato giuridico.
Il comunicato dell’Ufficio diocesano famiglia ricorda prima di tutto che «non sono in discussione né il valore della famiglia tradizionale e nemmeno l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma il modo di far coesistere questi valori. Nel ribadire che la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna è realtà naturale a fondamento della società e del futuro stesso dell’umanità, la Chiesa non ignora che oggi si assiste ad un fenomeno di pluralizzazione dei significati di famiglia, né ignora la realtà delle persone omosessuali. Tuttavia essa riconosce che la famiglia tradizionale fondata sul matrimonio, pur in questi tempi di epocali cambiamenti, costituisce il nesso fondamentale tra individuo umano e società e ricorda che anche la Costituzione italiana (art. 29) lo ribadisce. Si tratta di un bene fondato su un dato anzitutto antropologico».
I «diritti individuali» e l’«uguaglianza» riempiono facilmente la bocca, soprattutto quando si avvicinano i temi in maniera superficiale. Così forse, pur di passare per «progressisti non bigotti», ci si sente obbligati a dire sì a qualunque scelta. Ma la realtà non è questa. «Alla Chiesa sta anche a cuore il valore dell’uguaglianza dei cittadini, sancito dalla Costituzione italiana. Ma nello stesso tempo la «Chiesa non può accettare l’equiparazione della famiglia tradizionale fondata sull’amore fedele tra un uomo e una donna e aperto al bene della società alla relazione d’amore tra due persone dello stesso sesso e questo non per un fatto primariamente morale o peggio discriminatorio, ma anzitutto perché si tratta di realtà umane connotate da differenze di finalità e di realizzazione».
«Riteniamo, dunque, sia scorretto pensare l’amore omosessuale in perfetta analogia con l’amore eterosessuale: conosciamo quest’ultimo, – continua il comunicato – dobbiamo trovare forse delle categorie adeguate e rispettose della dignità umana per il primo, ma avendo l’onestà di fare le debite distinzioni. Distinguere e differenziare è il presupposto della costruzione di una civiltà che sia degna di questo nome e non necessariamente sinonimo di ingiusta discriminazione». «Così alla Chiesa – conclude la nota dell’Ufficio famiglia diocesano – appare semplicistico e fuorviante parlare di nozze o matrimonio omosessuali senza per questo voler avallare alcuna tesi apertamente o velatamente discriminatoria».
Così salta fuori un ulteriore aspetto di questa problematica, che "ribalta" la propaganda libertaria: la presenza di un’autorità civile a cerimonie di questo genere, si chiede l’Ufficio diocesano per la famiglia, non rischia forse di ribadire la "discriminazione", proprio perché, al di là della facile visibilità, non è in grado di dare alcun serio contenuto politico al proprio discorso?
(Fonte: Marco Bonatti, Avvenire, 2 marzo 2010)
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