Sembra che una ventata di micidiale ottimismo stia attraversando la “Chiesa critica”, gli oppositori del pontificato, di fronte alla “strenua lotta del papa contro la pedofilia nel clero” (come si esprimono e documentano i blog). Una lotta, quella di papa Ratzinger, non solo pastoralmente ammirevole ma, com’è consueto in lui, di alta razionalità politica; eppure questo “ottimismo” non si allinea al pontefice ma si fonda sulla speranza che la congiuntura della crisi pedofilia, una crisi mondiale, restituisca forza nella Chiesa ai “sempiterni riformatori”.
La crisi offrirebbe la possibilità di colpire il celibato dei preti, di bloccare le linee ratzingeriane di ricostruzione degli episcopati mondiali, di ottenere dal disordine interno e pubblico un precipitato che favorisca l’indizione di un nuovo Concilio. Dal disastro finalmente la “svolta” nella Chiesa, sia pure sotto “la pioggia lurida e gelida che la sta inzuppando”, come immaginifico scrive Alberto Melloni sul “Corriere della Sera” dell’11 marzo. Tanto i “riformatori” hanno sempre buoni ombrelli.
Perché una tale speranza micidiale? Vediamo il quadro. La crisi pedofilia segue ormai regole ferree di internazionalizzazione. Quale che sia la percentuale di denunce, e non si dica di casi rigorosamente accertati, in ogni paese ove la Chiesa cattolica è diramata e forte si può aprire, e già si apre, una vertenza affidata ad attori pubblici, alla stampa, alla cosiddetta democrazia digitale. L’effetto di pressione, diciamo di ritorsione, politica di questa pistola puntata è, nelle relazioni tra Stato e Chiesa, fortissimo. Non va dimenticata la diagnosi, messa a fuoco già nei primi anni Novanta da autori diversissimi, che la Chiesa cattolica “aveva vinto”, sostanzialmente, la battaglia della secolarizzazione, e tornava ad essere (o diveniva) un attore spirituale ed etico-politico preminente nella sfera mondiale.
Una lotta politica internazionalizzata che cammina, peraltro, sulle solerti gambe della società civile, ove si mescolano valide istanze di giustizia e avide ragioni di capitalizzazione dal riconoscimento in sede giudiziaria di torti veri o immaginari. E la società civile è, oggi, un social network capace di azione concertata e globale.
In tale doppio livello, politico (relazioni mondiali tra Stato e Chiesa) e civile, fitto di avversari storici o contingenti della Chiesa cattolica, operano le “opposizioni” cristiane, e propriamente cattoliche, a Roma. Per ragioni ideali, s’intende: influire sui governi, perché siano intransigenti verso le Chiese nazionali sui casi di pedofilia nel clero, è vissuto come disegno di purificazione della Chiesa ad opera del Principe; mobilitare i laicati interni contro i vescovi e contro Roma esalta come lotta per la giustizia contro l’istituzione.
Internazionalizzata, socializzata in rete e radicata in interessi, e dotata quanto basta di copertura teologica, questa pressione contro l’ordine cattolico e la sua riconquistata autorità, è oggettivamente dura e rischiosa. Poiché non mi sento sporcato dai peccati degli altri uomini (solo dai miei), neppure da quelli dei miei preti, tendo ad osservare lo scenario con calma, all’aperto, senza timore di inzupparmi di piogge apocalittiche. Temo di più i tipi di risposta che intravedo nella comunità cattolica, a corredo della rigorosa risposta di Roma.
È da temere, infatti, nelle Chiese la geremiade autocolpevolizzante, e la deprecazione invece della circoscritta indagine e del retto giudizio; nessun complesso di colpa cattolico (tanto più se equivoco nei suoi obiettivi) può indurre tribunali civili ed ecclesiastici ad indebolire le tutele giuridiche degli accusati. È da temere la ridda di risposte illogiche come quelle che, ignorando la complessità dei tipi e delle eziologie di “pedofilia”, investono per curarla i cardini del sacerdozio cattolico. O azzardano terapie di femminilizzazione della Chiesa (in un intervento de “L’Osservatore Romano”, blando, ma inopportuno in quella sede non meno che poco pertinente). O aprono internet alle denunce dei singoli (come sembra intenda fare una diocesi), senza sapere, credo, cosa significhi affidare la civiltà giuridica della Chiesa alla “democrazia dei media”.
Al contrario, il rigore e il giusto risarcimento del danno dovranno essere esercitati con sguardo fermo entro la Chiesa e oltre, nel paesaggio civile e politico mondiale, ove molti attori intendono lucrare, con lucida ipocrisia, oggi come ieri, dai peccati e dai reati di alcuni preti.
(Fonte: Pietro De Marco, Il Tempo, 14 marzo 2010)
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