«È impossibile ritenersi cattolici se in un modo o nell’altro si riconosce il diritto al matrimonio fra persone dello stesso sesso». È chiarissimo il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, in una nota dottrinale dal titolo “Matrimonio e unioni omosessuali” che intende illuminare «quei credenti cattolici che hanno responsabilità pubbliche di ogni genere, perché non compiano scelte che pubblicamente smentirebbero la loro appartenenza alla Chiesa».
Il segno di una crescente «disistima intellettuale» nei confronti del matrimonio, afferma Caffarra «è il fatto che in alcuni Stati è concesso, o si intende concedere, riconoscimento legale alle unioni omosessuali equiparandole all’unione legittima fra uomo e donna, includendo anche l’abilitazione all’adozione dei figli». A prescindere dal numero di coppie che volessero usufruire di questo riconoscimento - fosse anche una sola! - una tale equiparazione, osserva il cardinale «costituirebbe una grave ferita al bene comune».
Essa, continua Caffarra «avrebbe il significato di dichiarare la neutralità dello Stato di fronte a due modi di vivere la sessualità, che non sono in realtà ugualmente rilevanti per il bene comune. Mentre l’unione legittima fra un uomo e una donna assicura il bene - non solo biologico! - della procreazione e della sopravvivenza della specie umana, l’unione omosessuale è privata in se stessa della capacità di generare nuove vite» .
E neppure le possibilità delle nuove tecniche artificiali di riproduzione «mutano sostanzialmente l’inadeguatezza della coppia omosessuale in ordine alla vita». Per non parlare dei figli: «L’assenza della bipolarità sessuale può creare seri ostacoli allo sviluppo del bambino eventualmente adottato». L’equiparazione, insiste il cardinale avrebbe «una conseguenza che non esito definire devastante. Significherebbe che il legame della sessualità al compito procreativo ed educativo, è un fatto che non interessa lo Stato, poiché esso non ha rilevanza per il bene comune».
E con ciò, commenta Caffarra «crollerebbe uno dei pilastri dei nostri ordinamenti giuridici: il matrimonio come bene pubblico. Un pilastro già riconosciuto non solo dalla nostra Costituzione, ma anche dagli ordinamenti giuridici precedenti».
L’arcivescovo smentisce anche che così facendo ci si troverebbe di fronte a una discriminazione. «Non attribuire lo statuto giuridico di matrimonio a forme di vita che non sono né possono essere matrimoniali, non è discriminazione ma semplicemente riconoscere le cose come stanno». L’obbligo dello Stato di non equiparare nasce dalla considerazione, ricorda il cardinale «che in ordine al bene comune il matrimonio ha una rilevanza diversa dall’unione omosessuale. Le coppie matrimoniali svolgono il ruolo di garantire l’ordine delle generazioni e sono quindi di eminente interesse pubblico. Non svolgendo un tale ruolo le coppie omosessuali non esigono un uguale riconoscimento».
Il cardinale si rivolge inoltre ai credenti che hanno responsabilità pubbliche. «È impossibile fare coabitare nella propria coscienza e la fede cattolica e il sostegno alla equiparazione fra unioni omosessuali e matrimonio: i due si contraddicono» E se «la responsabilità più grave è di chi propone l’introduzione» di questa equiparazione, «o vota a favore in Parlamento di una tale legge», esiste anche la responsabilità «di chi dà attuazione ad una tale legge. Se ci fosse bisogno, quod Deus avertat, al momento opportuno daremo le indicazioni necessarie».
(Fonte: Stefano Andrini, Avvenire, 14 febbraio 2010)
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