È facile unirsi al coro dei denigratori della chiesa, l’armamentario è già pronto, dai tempi gloriosi dell’Illuminismo le accuse si ripetono con tenacia e puntualità “certosina”. Galileo, le crociate, l’Inquisizione. Poi si aggiunge, per i più colti, il falso della Donazione di Costantino. Ora si sta preparando la storia di Ipazia, affinché diventi luogo comune nell’immaginario collettivo (e così la scienza e le donne sono sistemate!).
È certo facile unirsi al coro, e soprattutto è “indolore”, anzi, genera e raccoglie applausi e consensi.
Così anche il teologo che, per farsi conoscere e accreditarsi presso il grande pubblico, ha avuto bisogno della prefazione del Card. Martini per un libro che, altrimenti, sarebbe rimasto impolverato negli scaffali delle librerie, si è sbizzarrito nel solito ritornello: «Cristo sì, Chiesa no». Applicandolo nello specifico alle vicende del caso Boffo, Bertone, Bagnasco.
E purtroppo gli argomenti sembrano costruiti e posti per una tesi già precostituita e indiscutibile, più che per un aiuto a rendere ragione della fede e della chiesa.
L’esempio più evidente sta nella citazione di un pensiero di s. Ignazio di Loyola, secondo cui «per essere certi in tutto dobbiamo sempre tenere questo criterio: quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la chiesa gerarchica». Ecco dimostrato, secondo il sedicente teologo cattolico, che il credente che vuole essere appunto cattolico deve rinunciare alla libertà di pensiero, alla ragione critica… diventando così strumento di ogni più bieco progetto clericale, che si tratti di accendere il rogo all’eretico o di passare a chi di dovere carte false.
È pur vero che viene anche presentato il pensiero di Benedetto XVI a proposito della sporcizia nella Chiesa, e del carrierismo degli ecclesiastici, queste affermazioni vengono proposte solamente come pie intenzioni e desideri di un Papa che non può mutare la realtà dei fatti, e quindi costituire un autentico progetto di chiesa, che resta per il nostro teologo quella «Ecclesia ab Abel», la comunità dei giusti, dove conta la purezza del cuore, e «non serve a nulla portare sulla testa curiosi copricapo tondeggianti, viola, rossi o bianchi che siano».
Sulla citazione di s. Ignazio, poi, ricordo di avere appreso che un documento va sempre letto nel suo contesto storico e secondo quello che si chiama “genere letterario”. Ora credo che questo sia il significato proprio dell’affermazione: la chiesa non è il luogo dell’opinione o del parere, ma della verità, che il Magistero vuole servire e garantire (forse nel linguaggio di oggi si condannerebbe il cosiddetto “relativismo”). E se nel linguaggio si usa l’iperbole, questa vuole essere un rafforzativo del significato, non l’invito a rinunciare a ragione, libertà e verità, per diventare servi della menzogna (altri avrebbe detto “strumenti ciechi di occhiuta rapina”).
Per quanto poi riguarda l’intera vicenda (quindi il caso Boffo, Bertone, Bagnasco…) penso proprio che qui si tratti del caso deplorato dal Papa nel Messaggio del 2008 sui mezzi di comunicazione sociale: «Oggi, in modo sempre più marcato, la comunicazione sembra avere talora la pretesa non solo di rappresentare la realtà, ma di determinarla grazie al potere e alla forza di suggestione che possiede. Si costata, ad esempio, che su talune vicende i media non sono utilizzati per un corretto ruolo di informazione, ma per “creare” gli eventi stessi.» E creare gli eventi significa anche porsi al servizio di quel progetto che intende ridurre la Chiesa ad una presenza insignificante, se non cancellarla.
A questo, ogni credente vuole rispondere con la testimonianza, come ha ricordato il Papa a Verona, di una fede amica dell’intelligenza e di una carità che abbracci ogni uomo.
Questa è la Chiesa, e questa Chiesa vogliamo servire. E testimoniare.
E ci addolora pensare che uomini di chiesa possano avere usato la stampa e i mezzi della comunicazione sociale secondo finalità e con scopi che esulano dal metodo che il Signore ci ha sempre insegnato (laddove Gesù diceva: «Sia... il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno»).
(Fonte: Don Gabriele Mangiarotti , 5 febbraio 2010)
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