Alla fine, il muro del silenzio è franato ed è dovuto intervenire addirittura il Papa, con un duro richiamo all’ordine, per cercare di por fine al logoramento dell’immagine della Chiesa a seguito del «caso Boffo».
La tradizionale tattica della prudenza con la quale, per secoli, il Vaticano è riuscito a soffocare, con il manto del silenzio, il fuoco degli scandali tra le sue mura, delle rivelazioni imbarazzanti sulle lotte tra poteri ecclesiastici, ma anche quello degli attacchi esterni contro la sua autorevolezza e credibilità si era ormai rivelata impotente.
Così, la nota della Segreteria di Stato che esplicitamente richiama l’approvazione di Benedetto XVI sul testo, una precisazione che, in tempi normali, sarebbe inutile perché ovvia, ha un duplice obiettivo: uno rivolto al mondo laico, l’altro a quello cattolico.
Al primo si offre la rappresentazione di una Santa Sede unita nel difendere l’onore dei principali collaboratori del Papa, a cominciare dal segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone e dal direttore dell’«Osservatore Romano», Giovanni Maria Vian, accusati di essere rispettivamente ispiratore e mandante della campagna di stampa con cui Feltri ha costretto Boffo alle dimissioni. Una difesa alla quale, poche ore dopo, la presidenza della Conferenza episcopale italiana si associava, avallando quindi la tesi di un perfetto allineamento del cardinal Angelo Bagnasco rispetto alla segreteria di Stato.
All’interno del mondo cattolico, il messaggio vuol essere altrettanto chiaro, ma molto severo. Benedetto XVI ha inteso dare un solenne «alt» alla perdurante lotta, sotterranea ma durissima, tra l’ala vicina all’ex capo dei vescovi italiani, Camillo Ruini e quella che sostiene il segretario di Stato, Tarcisio Bertone.
Uno scontro di potere senza il quale non si potrebbe capire come mai si sia riacceso, dopo mesi di tregua, il caso delle dimissioni di Boffo dall’Avvenire per la campagna di stampa del Giornale nei suoi confronti.
Un avvertimento inequivocabile: nessuna si illuda che i contrasti si possano limitare ad arrecare danni solamente agli avversari della fazione contrapposta, perché colpiscono, invece, l’intera immagine della Chiesa e arrivano fino alla figura del Papa.
L’invito a serrare i ranghi avviene in un momento molto delicato, perché sono imminenti scelte importanti nella struttura della Curia vaticana e dell’episcopato italiano.
Sono in scadenza, tra gli altri, il prefetto dei vescovi, Giovan Battista Re, il presidente del pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, Walter Kasper. Ma anche i capi di due diocesi come quella di Milano e di Torino. Così come si dovrà nominare il presidente della Fondazione Toniolo, l’influente organismo che condiziona anche la scelta di confermare per un altro mandato l’attuale rettore dell’Università cattolica, Lorenzo Ornaghi o di indicarne un altro.
Come è normale in tutte le istituzioni, la decisione per incarichi prestigiosi suscita una fibrillazione di candidature che non agevola la serenità interna, poiché i malumori degli esclusi sono sempre numericamente superiori alla soddisfazione dei prescelti. Ecco perché il protrarsi di una battaglia di logoramento tra gruppi rivali, a suon di ripicche, vendette, maldicenze, potrebbe non esaurirsi nei seguiti del caso Boffo, ma trovare, in un prossimo futuro, ulteriore e ancor più insidioso alimento.
Di qui anche le ripetute, clamorose, pubbliche condanne di Benedetto XVI per il dilagare del vizio di «carrierismo» all’interno del mondo ecclesiastico.
La mossa di far intervenire direttamente il Papa, attraverso la nota «approvata» della segreteria di Stato vaticana, potrebbe riuscire, effettivamente, a interrompere il fiume di indiscrezioni, vere o false che siano, sui retroscena dall’«affaire Feltri-Boffo».
Ma la discesa in campo di Benedetto XVI documenta anche la gravità del rischio di un deterioramento dell’immagine della Chiesa.
L’«esposizione» del Papa sullo scenario mediatico di una vicenda dai contorni sgradevoli e non del tutto chiari indica la necessità di ricorrere alla più alta autorità, in una istanza difensiva ultima e definitiva. Se così non fosse, non ci sarebbe altro riparo.
(Fonte: Luigi La Spina © Copyright La Stampa, 10 febbraio 2010)
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