giovedì 4 febbraio 2010

Il significato della candidatura di Emma Bonino

Nella politica, come nella storia, vi sono uomini e donne che riassumono nelle loro persone una concezione della vita e del mondo. Il nome di Emma Bonino è, in Italia, il simbolo del laicismo integrale, come in Spagna lo è divenuto quello di José Luis Zapatero.
Occorre fare un passo indietro, risalire agli anni Settanta, quando la marcia di conquista del PCI si svolgeva attraverso due linee direttrici: un fronte politico, rappresentato dallo stesso partito di Berlinguer, che tendeva la mano ai cattolici, in nome di un compromesso “a-ideologico” e un fronte “sociale”, incarnato dal Partito radicale di Marco Pannella, che aggrediva ideologicamente, per estirparle, le radici della morale naturale e cristiana. Il Muro di Berlino è caduto, il PCI si è dissolto, ma il processo di disgregazione morale della società italiana è continuato in maniera implacabile. Nessun leader della sinistra rivendica ufficialmente l’eredità di Gramsci e di Berlinguer, ma Marco Pannella ed Emma Bonino, i due protagonisti storici di tutte le battaglie, proclamano con orgoglio la loro identità radicale. C’è insomma un postcomunismo, ma non c’è un “post- radicalismo”: c’è il laicismo puro e duro di chi avanza verso orizzonti trasgressivi sempre più avanzati.
Anche quando ha svolto il ruolo di Commissario europeo, Emma Bonino non ha mai dimenticato la sua identità e certamente così sarà, se mai dovesse guidare la Regione Lazio. Al settimanale “Panorama” del 5 novembre 1998, che Le obiettava: «Lei oggi in Europa è importante. Ma Pannella c’è sempre…», la Bonino rispondeva categorica: «Io sono un gruppo, una storia, la sua». La storia di Marco Pannella e del Partito radicale: la storia della “modernizzazione” del nostro Paese attraverso fasi successive e concatenate: divorzio, aborto, eutanasia, educazione sessuale obbligatoria, liberalizzazione della droga, matrimonio omosessuale, provetta selvaggia: non c’è tappa del processo di secolarizzazione degli ultimi quarant’anni che non sia stata fatta propria da Emma Bonino, nessuna trasgressione che non sia stata rivendicata come “conquista civile”.
Giuliano Ferrara ha dunque ragione di scrivere: «Quella candidatura è un modello ideologico, un programma di rilancio della peggiore ipoteca laicista a Roma, un tentativo di rivincita sulla chiesa contestata ma non irrilevante del referendum sulla fecondazione assistita, uno schiaffo ai vescovi e ai laici del dies familiae; è anche la definitiva certificazione, se non combattuta, della marginalizzazione della Chiesa dei movimenti, delle battaglie culturali all’insegna della difesa della fede, alleata della ragione, nello spirito pubblico occidentale» (“Il Foglio”, 23 gennaio 2010).
È difficile immaginare un personaggio politico che incarni meglio della Bonino la negazione dei “valori non negoziabili” richiamati da Benedetto XVI. Con la Bonino cade ogni possibilità di compromesso e di mediazione. Se c’è un nemico è lì. Ma la Chiesa ha nemici? Questo è il punctum dolens della situazione, emerso dall’inchiesta de “Il Foglio” tra i cattolici di base.
Il ritornello è sempre lo stesso: non ci si deve dividere sui problemi etici, né fare la guerra sulle questioni di principi, perché chi evoca l’esistenza di uno scontro lo alimenta. Non importa che la guerra ideologica sia in corso, sotto i nostri occhi; della guerra non bisogna parlare, perché ammetterne l’esistenza significa doversi schierare ed essere costretti a combattere. Ma ciò che caratterizza l’odierna mentalità ecclesiale è proprio il rifiuto della lotta, l’odio per lo scontro morale e per la polemica ideologica e dottrinale.
Nelle polemiche, come in ogni guerra, anche solo verbale, si alzano i toni, si infliggono e si subiscono ferite talvolta difficili a rimarginare, si creano inimicizie spesso profonde, in una parola si soffre. Il cattolico di oggi, qualunque posto occupi nella Chiesa, prova istintiva repulsione verso la sofferenza. La sua filosofia di vita è il relativismo, che giustifica ogni forma di edonismo e teorizza il culto dell’io e dell’appagamento dei propri bisogni, all’interno di un ordine delle cose secolare o “mondano” che ha espulso ogni traccia di sacrificio.
Il sacrificio implica l’idea di verità e di bene ed è incompatibile con il relativismo religioso e culturale contemporaneo. Esso presuppone una mortificazione dell’intelligenza, che si pieghi alla verità, su una linea esattamente contraria a quella della autoglorificazione del pensiero umano che caratterizza il pensiero moderno e post-moderno.
Le radici di questa malattia spirituale affondano, come osserva Francesco Agnoli, nello spirito irenistico e relativistico, penetrato nella Chiesa conciliare, dimenticando che talora è necessario opporsi al mondo, seguendo la via della croce. Il Cristianesimo non concepisce la vita come una festa, ma come lotta e come sacrificio. Una delle ragioni della sconfitta dei cattolici nel secondo Novecento è stata la perdita di questa visione militante cristiana, incentrata sullo scontro tra le “due città” agostiniane.
A partire dagli anni Sessanta si è ritenuto che la causa dell’anticlericalismo e del laicismo dell’Ottocento e del Novecento fosse stata l’intransigenza della Chiesa che, condannando il mondo moderno, ne aveva prodotto la reazione. I cattolici hanno mutato il loro atteggiamento verso il mondo moderno, praticando un falso dialogo, ma il processo di scristianizzazione non si è arrestato. L’anticristianesimo è cresciuto al punto che oggi ci troviamo di fronte a una “cristofobia” europeista e a una “teofobia” evoluzionista senza precedenti nella storia. Come stupirsi se le giovani generazioni ritengano che la fede sia una questione puramente personale e che non bisogna dividersi sui problemi etici, respingendo ogni tentazione di “fondamentalismo”?
La filosofia soggiacente è quella immanentistica, che postula l’espulsione del sacro da tutti gli aspetti della vita sociale e l’immersione del Cristianesimo nel mondo, con il conseguente assorbimento di tutto ciò che il mondo esprime. Questa filosofia della storia si fonda sul mito, proprio dell’Illuminismo, del mondo diventato “adulto” che deve liberarsi dei valori del passato, appartenenti all’infanzia dell’umanità per accedere ad un livello di vita pienamente razionale. È la cosiddetta “maturità del mondo” di cui parlano Bonhoeffer e Rahner. La liturgia, per il principio lex credendi, lex orandi, dovrebbe esprimere questo processo di irreversibile “mondanizzazione” della realtà e farsi essa stessa, come scrive Rahner, «liturgia del mondo».
I cattolici irenisti, che votano la Bonino, sono gli stessi che rifiutano la rinascita liturgica avviata dal Motu proprio “Summorum pontificum” di Benedetto XVI. Nella Messa tradizionale essi intravedono l’antitesi del secolarismo, il richiamo a una concezione trascendente della vita in cui i fedeli di Cristo si propongono di “cristianizzare” il mondo e non di lasciarsi “mondanizzare” da esso. La Messa, il cuore della vita cristiana, non è una gioiosa assemblea, ma il rinnovamento incruento del Sacrificio per eccellenza, quello di Gesù Cristo sul Calvario. E c’è ancora chi crede che solo in quella Croce possa essere la speranza di salvezza del mondo.

(Fonte: R. d. M., Corrispondenza Romana, n.1127 del 30 gennaio 2010)

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