venerdì 12 febbraio 2010

L’errore e l’errante, ovvero l’integralismo degli scienziati

C’è qualcosa che, in molti che si professano atei, non convince. Beninteso, non teoricamente (è in qualche modo ovvio, anche se coinvolgersi nel ragionare non fa mai male, e molte domande aiutano ad approfondire e chiarire le proprie posizioni). È dal punto di vista dell’umano che rimangono le perplessità.
Già, da un lato si presenta quasi una ossessione – così sembra – di dovere a forza, a tutti i costi, dimostrare che Dio non esiste (a volte dal loro argomentare sembra che il problema di Dio sia quello per loro più interessante, o almeno coinvolgente). Dall’altro – ed è l’aspetto francamente più triste – ci si trova di fronte a una sgradevole sorta di disprezzo per chi crede. Oh, un disprezzo di natura intellettuale, una riconosciuta incapacità a ragionare imputata all’interlocutore, la ritenuta e conclamata corresponsabilità del credente in tutto il male (vero o presunto) che nella storia le religioni avrebbero commesso. Quando parli con questi atei (che il più delle volte si definiscono tolleranti, razionali, dialoganti…) se ascolti i loro ragionamenti, ti accorgi che non prendono mai in seria considerazione quello che affermi, seguono sempre lo schema che si sono fatti su di te, schema questo che nessuna dimostrazione potrà mai smentire. Che siano proprio loro i veri «dogmatici»?
Mi è accaduto di pensare a queste cose leggendo la relazione di quanto il prof. Veronesi ha detto in una trasmissione televisiva a proposito di chi crede (Sky Tg24 Pomeriggio 4 febbraio 2010): «La religione impedisce di ragionare».
Mi spiace per la sua esperienza, per i suoi rosari recitati fino a 14 anni. Mi spiace tanto più perché anch’io ho avuto una famiglia, un papà in particolare, molto religioso, ma che, proprio per questo, mi ha sempre testimoniato un rispetto direi “esagerato” per la libertà, e una passione sconfinata per la ragione (e la bellezza). È da lui – presidente diocesano dell’Azione Cattolica – che ho ricevuto in dono la prima copia dei Dialoghi sopra i massimi sistemi di Galileo.
Tra uomini è necessario sempre ricominciare ad incontrarsi e dialogare, ed ogni dialogo ha sempre come prima condizione oltre che l’amore per la verità («Amicus Plato, sed magis amica veritas») il rispetto per l’interlocutore, al punto che così Giovanni Paolo II descriveva l’atteggiamento missionario: «L’atteggiamento missionario inizia sempre con un sentimento di profonda stima di fronte a ciò che «c’è in ogni uomo», per ciò che egli stesso, nell’intimo del suo spirito, ha elaborato riguardo ai problemi più profondi e più importanti; si tratta di rispetto per tutto ciò che in lui ha operato lo Spirito, che «soffia dove vuole». La missione non è mai una distruzione, ma è una riassunzione di valori e una nuova costruzione, anche se nella pratica non sempre vi è stata piena corrispondenza a un ideale così elevato».
Caro Professore, lasci allora che un po’ di dubbio la investa nel modo di considerare chi crede. Chissà perché questo suo “ricercare la verità”, aperto al “dubbio” non possa riguardare anche la posizione di chi ha posizioni di fede? Forse il vero “integralista” è proprio lei, davanti al fenomeno religioso, l’unico che non può mai godere del beneficio del dubbio, condannato sempre senza sconti ad essere superato da una scienza che aprirà agli uomini tutti gli spazi della verità.
Caro Professore, un pizzico di umiltà e di sano realismo forse saranno salutari. Quella umiltà e realismo che le sono così necessari nell’esercizio della sua così importante ed imponente professione a difesa della salute dell’uomo.
Quella umiltà e realismo che le faranno vedere che il confine non è tra ragione e fede, scienza e integralismo, ma passa attraverso il cuore degli uomini, per cui ci sono stati tanti credenti realmente scienziati e tanti non credenti realmente integralisti. Non si tratta tanto di alzare steccati, o di lanciare anacronistiche accuse, ma di fare propria la grande lezione di Agostino di Ippona: «Intellectum valde ama» [Ep 120, 3, 13] Ama molto il comprendere!

(Fonte: Don Gabriele Mangiarotti , 6 febbraio 2010)

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