Sanremo specchio del Paese. Se è così, il nostro Paese è davvero triste. Io mi concentrerò su due momenti del Festival: la gag di Bonolis e Laurenti e la canzone di Povia su Eluana.
Partiamo dai due grandi gigioni, ai quali è stato assegnato il compito di dare il la a tutta la manifestazione. Laurenti si è scatenato in una cover americana, e uno si chiede: ma non c’era niente di meglio da scegliere nel glorioso patrimonio della nostra canzone italiana? Non è un quesito che denota provincialismo. Semmai è provinciale, culturalmente sottomesso e subalterno, chi non crede alla dignità della propria musica (quella che, fino a prova contraria, Sanremo dovrebbe farci ascoltare) e saccheggia repertori stranieri. Questo non vuol dire che il Festival non debba ospitare i grande talenti internazionali, ci mancherebbe. Ma la sigla è un’altra cosa, è il biglietto da visita.
Poi Bonolis. Spero davvero che non sia lo specchio del Paese, con quelle battute da basso cabaret, da villaggio vacanze, direi, con quei bambini nudi o al cesso, con la monta dei canguri. Bonolis è quello che è, un vanesio che passerebbe sopra anche a sua madre pur di strappare una risata. E non si preoccupa se quello che dice e fa è triste, squallido, vergognoso. Ci sono anche i bambini a guardare Sanremo. E’ giusto che Mamma Rai ci propini tale squallore?
E infine Povia. Qui va ricordato qualcosa. L’anno scorso si presentò con la canzone “Luca era gay” e lo difendemmo contro l’intolleranza della lobby gay. E Bonolis, sempre lui, il bravo presentatore, lo boicottò, prese le distanze, fece intervenire Benigni che ci ammannì la tirata su Oscar Wilde. Povia combattè la sua battaglia contro il politicamente corretto, contro la dittatura culturale che regna in Italia e nel mondo intero, e per questo ci sembrò simpatico, e lo difendemmo.
Quest’anno Povia è rientrato nei ranghi. E non c’è nessuno a Sanremo a fargli da contraltare. E’ la dittatura del pensiero unico. A parte qualche cardinale che ha messo in guardia quelli che sanno pensare, nessuna voce si è levata sul palco dell’Ariston, in diretta nazionale, contro il suo inno all’eutanasia. Stavolta non c’è stato un Benigni a dirci qualcosa di opposto o anche solo di diverso. Mettetela come vi pare, ma le cose sono andate proprio così.
E a questo punto vale la pena entrare nel merito della sua canzone e lo faccio avendo anch’io scritto di getto, molto prima di lui, una canzone dedicata ad Eluana. Io ero stato molto più umile di Povia: avevo fatto parlare Dio. Potrebbe sembrare il contrario, ma non lo è. Mi sono limitato ad ispirarmi a quello che Gesù ha detto e ha fatto così come lo si legge nel Vangelo. In qualche modo, mi sono messo in disparte. Ed ho immaginato che Dio stesso dicesse alla povera Eluana (abbandonata alla morte nella funesta clinica di Udine) che le stava vicino e le stringeva la mano.
Povia no. Povia ha avuto la pretesa di far parlare Eluana. E’ lei che chiede a suo padre di tenerle la mano. Ci vuole del coraggio a scrivere e a cantare questa roba, perché ancora nessuno sa che cosa abbia provato quella donna quando ha capito che intorno a lei si stava armeggiando per la sua morte. Avrà davvero pensato “chiedo solamente di volare / volare sopra le parole, sopra tutte le persone / sopra quella convinzione di avere la verità”? Pensa questo un condannato a morte? Siccome è quanto meno lecito dubitarne, risulta evidente la pretesa di Povia.
Ma bisogna aggiungere ancora una cosa a proposito della “convinzione di avere la verità”. Se Povia giudica chi ha questa convinzione, due sono le possibilità: o lui conosce una verità diversa, che è quella che canta, e allora anche lui è convinto di avere la verità; oppure si sta pronunciando per un completo agnosticismo, ma allora non dovrebbe nemmeno permettersi di scrivere e cantare alcunché, perché quello che canta non è agnostico, ma una sua interpretazione della coscienza di Eluana. Cito Chesterton: “Il giovane scettico dice: io ho un diritto: quello di pensare con la mia testa. Ma il vecchio scettico, lo scettico completo dice: io non ho nessun diritto di pensare con la mia testa. Io non ho affatto il diritto di pensare”.
Voglio dire che non si può affermare una verità (ora Eluana vola, è libera, ama e bla bla bla...) e poi prendersela con coloro che sono convinti di avere la verità. Non è corretto. E’ sleale. Che Povia affermi la propria verità. Ne ha il diritto. Che provi a confutare le verità altrui, se ci riesce. Va bene. Quello che non è ammissibile è giocare sporco e fare il furbo.
Ecco, forse Sanremo più che lo specchio del Paese è lo specchio dei furbi, dei Bonolis e dei Povia, e del pensiero unico che ci vogliono imporre. Voglio sperare che il Paese abbia ancora una sufficiente dignità ed intelligenza per saper giudicare.
(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 17 febbraio 2010)
1 commento:
Ben detto! Finalmente un pensiero sereno e obiettivo che è come una boccata d'aria fresca nel miasma che ci sta crescendo intorno. Mi complimento anche per la sua forza di stomaco nel riuscire a seguire un tale spettacolo.
Antoine Brest
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