venerdì 12 febbraio 2010

Un battito di ciglia nella ridda delle iene

«Se vuoi morire spalanca gli occhi... Ecco, li ha spalancati, vuole andare in Belgio, ha deciso di morire, si parte». Salvatore Crisafulli, disteso nel letto in cui giace immobile da sette anni nella sua casa di Catania, in realtà non spalanca nulla, non più di prima, solamente guarda atterrito il mostro nero della telecamera che lo fissa dal suo grande occhio di vetro. La iena che di nome fa Giulio Golia, inviato da Italia 1, gli piazza il microfono davanti alla bocca aperta in una smorfia da antica maschera tragica per non perdere un solo gemito, poi dice eccitato: «Ecco ecco, sbarra gli occhi, ha scelto, va a morire in Belgio».
Il fratello di Salvatore, Pietro, segue le riprese, collabora, dà una mano, e ogni tanto ricorda ai telespettatori: «È la sua volontà, l’ha deciso lui, ci ha chiesto lui di portarlo a morire». Intanto lui, la vittima da immolare allo show, attore suo malgrado di un film dell’orrido, alza la voce come può, emette barriti da animale braccato, si fa paonazzo, cerca di dire qualcosa ma non riesce. Allora sì sbarra gli occhi, infine, impotente e disperato, scoppia in un evidente pianto senza lacrime, ma è chiuso ("locked-in" in termini medici) in quel corpo e non può esprimersi. La iena sorride imperterrita, ammiccando nella telecamera a noi spettatori impietriti, che vorremmo bucare il video in senso contrario, passare dalle nostre cucine (era ora di cena, l’altra sera, mentre "Le Iene Show" andava in onda) a quel letto e correre ad abbracciare quell’uomo atterrito, dirgli che no, che è tutto uno scherzo, che nessuno lo ucciderà. Ma lo show must go on, sempre, anche quello delle iene che pasteggiano attorno a un uomo stremato, così dopo un po’ arriva il momento giusto per la svolta.
Per essere certo di aver capito bene la "volontà" del povero Salvatore (il camper è pronto a partire e suo fratello Pietro a mettersi al volante, con arrivo in Belgio proprio il 9 febbraio, giorno della morte di Eluana), la iena Golia cambia tattica: «Facciamo il contrario, se vuoi vivere chiudi gli occhi». Salvatore, il "locked-in", non si confonde e subito stringe le palpebre forte forte. La iena sì che si confonde e ripete l’esperimento, ricevendo sempre la stessa risposta: Salvatore vuole inequivocabilmente vivere, anche in quello stato "pietoso", anche la sua vita così "indegna". Finalmente lo hanno capito e la sua bocca smette di urlare, restando aperta in quel viso stremato.
La iena grida al miracolo, il fratello Pietro ribadisce di nuovo che tutto questo «è la volontà di Salvatore, prima voleva l’eutanasia, ora non vuole più, dobbiamo rispettarlo». Rispettarlo... Quell’abbraccio che tutti noi, il cuore a pezzi, avremmo voluto dargli, alla fine glielo dà sua mamma, che esce dallo show e se lo stringe al petto: «Tranquillo, amore mio, nessuno ti porterà via dalla tua casa, non ti preoccupare, resterai per sempre con noi». Quell’omone tornato bambino lei stessa lo ha messo al mondo, e già lo aveva nutrito e protetto in un tempo lontano, quando era indifeso.
Missione compiuta, le iene spengono i riflettori e rinfoderano le telecamere, poi annunciano tramite agenzia il miracolo avvenuto: "Grazie alle Iene Crisafulli cambia idea, ha deciso di vivere...". Una stretta di mano a Pietro che sorride («adesso voglio vedere se i politici non ci danno quello che abbiamo chiesto»), poi via a misurare l’audience. Ormai lo sappiamo, la "volontà" dei disabili, specie quelli che non si possono esprimere, è creta malleabile nelle mani dei sani, ma l’utilizzo mediatico di Salvatore Crisafulli è quanto di più crudele si potesse concepire.
In tanto chiasso osceno, una sola voce si alza chiara e limpida, rasserenante e umanissima, quella del muto Salvatore, il "locked-in", l’uomo che non si confonde e che ci insegna almeno due cose: anche nelle sue condizioni si può amare la vita. E la volontà, anche quella delle "vite minori", non è mai scontata: se Salvatore non avesse potuto muovere le palpebre, unico suo modo per comunicare, non avrebbe mai potuto dirci «io voglio vivere, lasciatemi così, che fastidio do?». Nel nome della pietas, avremmo scelto per lui.

(Fonte: Lucia Bellaspiga, Avvenire, 5 febbraio 2010)

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