Se c’è una questione chiara, definitivamente risolta, questa è l’esclusione delle donne dal sacramento dell’Ordine. Tutti gli elementi per risolverla erano già contenuti nella dichiarazione della Sacra Congregazione per la dottrina della fede Inter insigniores del 15 ottobre 1976. L’unico limite di quella dichiarazione era la sua “nota dottrinale”: essa veniva presentata come un documento “disciplinare, autorevole e ufficiale”, ma non “infallibile né irreformabile” (cfr. Enchiridion Vaticanum, vol. 5, pp. 1392-3, in nota). Forse proprio per tale motivo quella dichiarazione non pose fine alle discussioni in materia. Fu così che Giovanni Paolo II si sentì costretto a intervenire di nuovo, in maniera più autorevole, con la lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis del 22 maggio 1994. Non venivano portate nuove motivazioni a sostegno della non-ammissione delle donne al sacerdozio. Si trattava semplicemente di porre fine alle interminabili discussioni in materia:
«Benché la dottrina circa l’ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini sia conservata dalla costante e universale Tradizione della Chiesa e sia insegnata con fermezza dal Magistero nei documenti più recenti, tuttavia nel nostro tempo in diversi luoghi la si ritiene discutibile, o anche si attribuisce alla decisione della Chiesa di non ammettere le donne a tale ordinazione un valore meramente disciplinare.«Pertanto, al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa» (n. 4).
Le espressioni usate mi sembra che non lascino dubbi. Eppure anche in questo caso ci fu bisogno di un ulteriore intervento della Santa Sede per precisare il valore del pronunciamento pontificio. Ciò avvenne con la risposta a un dubbio da parte della Congregazione per la dottrina della fede in data 28 ottobre 1995:
«Dubbio: Se la dottrina, secondo la quale la Chiesa non ha la facoltà di conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne, proposta nella Lettera Apostolica Ordinatio Sacerdotalis, come da tenersi in modo definitivo, sia da considerarsi appartenente al deposito della fede. Risposta: Affermativa.
«Questa dottrina esige un assenso definitivo poiché, fondata nella Parola di Dio scritta e costantemente conservata e applicata nella Tradizione della Chiesa fin dall’inizio, è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale (cfr. Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, 25, 2). Pertanto, nelle presenti circostanze, il Sommo Pontefice, nell’esercizio del suo proprio ministero di confermare i fratelli (cfr. Lc 22:32) ha proposto la medesima dottrina con una dichiarazione formale, affermando esplicitamente ciò che si deve tenere sempre, ovunque e da tutti i fedeli, in quanto appartenente al deposito della fede».
Tale intervento della CDF precisa che la dottrina contenuta nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis è definitiva e infallibile (praticamente si tratta del secondo caso in cui è stata esercitata l’infallibilità pontificia dopo la sua definizione nel Concilio Vaticano I; la prima volta era stata con il dogma dell’Assunzione). A questi interventi specifici vanno aggiunti il can. 1024 («Riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso maschile») e, se questo non dovesse apparire sufficiente per il suo carattere giuridico, il n. 1577 del Catechismo della Chiesa cattolica:
«Riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso maschile [“vir”]”. Il Signore Gesù ha scelto uomini [“viri”] per formare il collegio dei dodici Apostoli, e gli Apostoli hanno fatto lo stesso quando hanno scelto i collaboratori che sarebbero loro succeduti nel ministero. Il collegio dei Vescovi, con i quali i presbiteri sono uniti nel sacerdozio, rende presente e attualizza fino al ritorno di Cristo il collegio dei Dodici. La Chiesa si riconosce vincolata da questa scelta fatta dal Signore stesso. Per questo motivo l’ordinazione delle donne non è possibile».
Che altro ci si dovrebbe aspettare dalla suprema autorità della Chiesa per porre fine alle discussioni su una determinata questione?
Eppure recentemente il Patriarca di Lisbona, il Card. José da Cruz Policarpo (quindi non Hans Küng o un qualsiasi altro teologo progressista), in una intervista ha avuto la dabbenaggine di affermare che non esiste nessun ostacolo fondamentale dal punto di vista teologico all’ordinazione delle donne; si tratterebbe solo di una tradizione risalente ai tempi di Gesù. «Giovanni Paolo II in un certo momento è sembrato dirimere la questione. Penso che la questione non si possa risolvere così. Teologicamente non c’è alcun ostacolo fondamentale; c’è questa tradizione, diciamo così: non si è mai fatto in altro modo». Mi piacerebbe capire quale nozione abbia il Card. Policarpo di “teologia” e di “tradizione”. Ma, a parte questo, ciò che lascia più allibiti è che un Vescovo-Patriarca-Cardinale non riesca a cogliere il valore degli interventi pontifici: un Papa dirime in maniera definitiva e infallibile una questione, e il Vescovo-Patriarca-Cardinale che fa? Si sente in diritto di affermare: «Penso che la questione non si possa risolvere così». Di grazia, ci dica Sua Eminenza: come si dovrebbe risolvere?
Accortosi della gaffe, il Card. Policarpo ha cercato di correre ai ripari. Lo ha fatto scrivendo una lettera, nella quale riconosce di non aver mai trattato sistematicamente la questione (ma allora, perché ne ha parlato?). «Le reazioni a questa intervista mi hanno costretto a considerare il tema con più attenzione, e ho verificato che, soprattutto per non aver tenuto in debito conto le ultime dichiarazioni del Magistero sul tema, ho dato luogo a queste reazioni» (c’era bisogno che qualcuno si indignasse per accorgersi di non “aver tenuto in debito conto le ultime dichiarazioni del Magistero sul tema”?). Passa quindi a riaffermare la sua assoluta comunione col Santo Padre (se è comunione l’ignorare o il prendere sottogamba il suo magistero infallibile…) e la dignità della donna nella Chiesa (che nessuno si era mai sognato di mettere in discussione). Termina ribadendo che solo inizialmente poteva sembrare che si trattasse di una questione aperta; gli interventi più recenti del Magistero interpretano la tradizione di ordinare esclusivamente uomini «non solo come un modo pratico di procedere, che può cambiare al ritmo dell’azione dello Spirito Santo, ma come espressione del mistero stesso della Chiesa, che dobbiamo accogliere nella fede». Mi chiedo: queste cose perché non le ha dette nell’intervista? Doveva aspettare le polemiche, per approfondire la questione e giungere a tali conclusioni? In poche parole, una toppa peggiore dello strappo.
Ma, a quanto pare, non si finisce mai di stupirsi. Sono di questi giorni le dichiarazioni di solidarietà dei Vescovi portoghesi col Card. Policarpo. Essi trovano “esagerate” le pressioni che hanno costretto il Patriarca a pubblicare la precisazione. Sembra che anche i confratelli del Patriarca non si rendano ben conto delle loro affermazioni. Essi infatti sostengono che le dichiarazioni di Dom Policarpo sono di indole teologica e non intendono in alcun modo mettere in causa le regole della Chiesa (e ci risiamo: continuano a considerare la questione come puramente disciplinare, mentre essa è stata risolta, in maniera definitiva, proprio sul piano dottrinale!): «Non si tratta di una questione dogmatica e, come tale, può essere discussa»; «La questione deve essere dibattuta e studiata dai teologi»; «Questo richiederà un dibattito molto lungo e allargato e la convocazione di un sinodo o anche di un concilio». E questi sarebbero i Vescovi portoghesi? Due sono le cose: o sono eretici, o sono ignoranti. Non volendo mettere in dubbio la loro buona fede, sono costretto a concludere che sono semplicemente ignoranti, che cioè non hanno mai letto né il Codice di diritto canonico né il Catechismo della Chiesa cattolica né, tanto meno, la dichiarazione Inter insigniores o la lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis. E, oltre a ciò, non sanno come funziona la Chiesa. Ma è proprio questo che lascia di stucco: come fanno certe persone a diventare Vescovi?
Per fortuna non tutti i Vescovi sono così, quando si esprimono sulla disciplina dei sacramenti. Ho letto con grande piacere la notizia che il Vescovo di Fargo, in North Dakota, Samuel J. Aquila, ha sostenuto di recente, in una conferenza, la necessità di amministrare il sacramento della Confermazione prima della prima Comunione. Oggi è diventato pressoché un dogma affermare che la Cresima è il “sacramento della maturità cristiana”, e si fa discendere da tale affermazione, affrettata e superficiale, la prassi pastorale di conferire tale sacramento durante l’adolescenza (il compianto Padre Nocent sosteneva che si era fatto della Cresima il “sacramento degli sbarbatelli”). Mettere la Confermazione dopo la prima Comunione non fa che oscurare il primato dell’Eucaristia come completamento dell’iniziazione cristiana. Secondo il vescovo Aquila i bambini dovrebbero ricevere la Confermazione e la prima Comunione durante la stessa Messa (come avveniva una volta anche da noi). La lunghezza della preparazione alla Cresima potrebbe dare l’impressione che essa sia più importante del Battesimo e dell’Eucaristia. La convinzione che la Confermazione sia per un giovane il modo per prendere un impegno personale nella vita cristiana distorce il sacramento: «La Confermazione non è caratterizzata dalla scelta di credere o non credere nella fede cattolica. Piuttosto, come discepoli, noi siamo scelti da Dio per ricevere la pienezza dello Spirito Santo, per essere segnati con il dono dello Spirito Santo generosamente accordato da Dio, e noi siamo chiamati a cooperare con questa grazia». La Cresima è ordinata all’Eucaristia: appare strano far partecipare uno alla vita eucaristica della Chiesa quando non ha ancora ricevuto «il sigillo dello Spirito Santo, che perfeziona il vincolo personale con la comunità». Alcuni dicono che è necessario essere maturi per ricevere il sacramento; il vescovo Aquila sostiene che anche i bambini possono essere maturi spiritualmente: «Se sono abbastanza maturi per ricevere l’Eucaristia, che è il culmine dei sacramenti, non sono forse abbastanza maturi per ricevere il sacramento ad essa ordinato?».
Questi si che sono Vescovi! E, oltre a essere Vescovi, sono anche teologi, che non perdono tempo a discutere questioni su cui non c’è niente da discutere, ma che ragionano con grande libertà su questioni di vitale importanza per la vita della Chiesa. Che il Signore ci doni tanti di questi Vescovi!
(Fonte: Padre Giovanni Scalese, Senza peli sulla lingua, 10 luglio 2011)