1) DUE PAPI, DUE UNIVERSITA', DUE CLIMI DIVERSI. Con una sensazione
La
visita di papa Francesco all’Università Roma Tre, in un clima di festa e di
grande affetto verso il pontefice, mi ha fatto tornare alla memoria un episodio
ben diverso.
Come
qualcuno ricorderà, nel gennaio 2008 papa Benedetto XVI venne invitato a tenere
un discorso all’Università La Sapienza di Roma. La visita, prevista per il
giorno 17, fu però annullata due giorni prima. Era stato il rettore di allora,
Renato Guarini, a invitare il papa per l’inaugurazione dell’anno accademico,
naturalmente dopo aver interpellato il senato accademico, che si disse felice
di ricevere il vescovo di Roma, come era già successo con Paolo VI nel 1964 e
con Giovanni Paolo II a Roma Tre nel 2002.
Alcuni
docenti però manifestarono la loro opposizione, prima con un intervento, pubblicato
dal «Manifesto», del professor Marcello Cini, poi con una lettera firmata da
una settantina di professori della facoltà di Fisica (per la precisione,
sessantasette docenti, su un totale di 4500) e sottoscritta in seguito da altri
settecento docenti italiani e stranieri di vari atenei.
Il
caso deflagrò quando, il 10 gennaio, la lettera fu rilanciata dal quotidiano
«La Repubblica». Fu così che, in un clima di polemiche, Benedetto XVI comunicò
a malincuore la sua decisione di rinunciare alla visita, per non alimentare un
fuoco che minacciava di avere serie conseguenze. Alla vigilia dell’evento
ci furono infatti manifestazioni studentesche contrarie all’invito, culminate
con l’occupazione della sede del senato accademico e del rettorato.
Chi
scrive visse quei giorni da cronista, intervistando i giovani e i professori
contrari all’arrivo del papa, a incominciare da Cini (poi scomparso nel 2012 a
ottantanove anni), che andai a trovare nella sua casa. Mi fu così possibile
toccare con mano la miscela di pregiudizio, furore ideologico e, spiace dirlo,
ignoranza che portò alla contestazione e all’annullamento della visita.
Per
sbarrare l’ingresso a Ratzinger venne fatta, fra l’altro, una lettura distorta
della lectio tenuta da Benedetto XVI nel 2006 all’Università
di Ratisbona su «Fede, ragione e università» (il famoso discorso nel
quale il papa affrontò anche il problema del rapporto della religione islamica
con la violenza) e si manipolò un discorso tenuto alla Sapienza dal cardinale
Ratzinger nel 1990.
La vicenda,
rievocata ora in un libro («Sapienza e libertà. Come e perché papa
Ratzinger non parlò all’Università di Roma», scritto dal giornalista Pier Luigi
De Lauro ed edito da Donzelli), fu molto triste da ogni punto di vista. Di
fatto al vescovo di Roma fu impedito di parlare nell’università più grande e
più importante della sua diocesi, un ateneo fondato, fra l’altro, proprio da un
pontefice: Bonifacio VIII. Anche se il rettore, e gliene va dato atto, volle
poi che il discorso del papa fosse letto nel corso della cerimonia, si trattò
di un’occasione persa, una sconfitta per tutti.
In
quella brutta storia ebbero un ruolo decisivo i mass media. Furono loro in gran
parte a fomentare gli studenti e amplificare il caso. Il primo ad ammetterlo è
Gianluca Senatore, allora rappresentante degli studenti. La chiusura di Cini e
degli altri suoi colleghi, spiega oggi Senatore, non nacque in realtà dalla
preoccupazione di difendere la laicità dell’istituzione universitaria, ma dalla
paura di fare i conti con un papa teologo che metteva seriamente in crisi la
pretesa di dominio delle scienze naturali ed empiriche sulla conoscenza.
Lo
stesso Senatore rivela che all’epoca non aveva letto nulla di Ratzinger, ma in
seguito cercò di approfondirne la conoscenza, scoprendo insospettabili punti di
contatto tra le preoccupazioni del papa e quelle dello stesso professor Cini,
per esempio a proposito delle terribili derive assunte dalla scienza e della
tecnica nel corso dell’ultimo mezzo secolo.
Purtroppo,
dice Senatore, vinse l’intolleranza, ma quella storia almeno un effetto
positivo lo ebbe: lo studente di allora, incominciando a leggere Ratzinger,
arrivò alla conclusione, confermata oggi, che il papa tedesco ha rappresentato
uno dei momenti più alti della tradizione culturale della Chiesa cattolica.
Ma che
cosa avrebbe detto Ratzinger se avesse avuto la possibilità di parlare?
Raramente si ricorda che il papa aveva preparato un testo tanto umile nella
forma quanto di alto livello nei contenuti, un contributo che almeno per sommi
capi merita di essere ricordato, sia per dimostrare quanto fossero infondati i
timori dei contestatori sia per ricordare la finezza di quel pontefice.
Il
discorso si apriva così: «È per me motivo di profonda gioia incontrare la
comunità della Sapienza – Università di Roma in occasione della inaugurazione
dell’anno accademico. Da secoli ormai questa Università segna il cammino e la
vita della città di Roma, facendo fruttare le migliori energie intellettuali in
ogni campo del sapere».
La
Chiesa, sottolineava il papa, ha sempre guardato «con simpatia e ammirazione a
questo centro universitario, riconoscendone l’impegno, talvolta arduo e
faticoso, della ricerca e della formazione delle nuove generazioni».
Poi
Ratzinger, riaffermando l’assoluta autonomia dell’università e chiedendosi che
cosa possa dire un papa rivolgendosi a un ateneo statale che opera nella sua
diocesi, allargava il discorso ponendosi due questioni di fondo: «Qual è la
natura e la missione del Papato? E ancora: qual è la natura e la missione dell’università?».
Alla
prima domanda Benedetto XVI rispondeva che certamente il papa «non deve cercare
di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in
libertà». Al di là del suo ministero pastorale, è comunque suo compito, precisava,
«mantenere desta la sensibilità per la verità» e «invitare sempre di
nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio». E qui
Benedetto XVI non temeva di rivendicare il «patrimonio di sapienza» di cui la
comunità dei credenti è depositaria in quanto custode di «un tesoro
di conoscenza e di esperienza etiche che risulta importante per l’intera
umanità».
Insomma,
spiegava Benedetto XVI concedendosi una punta di provocazione, «la sapienza
delle grandi tradizioni religiose è da valorizzare come realtà che non si può
impunemente gettare nel cestino della storia delle idee».
Quanto
alla seconda domanda, la risposta preparata dal papa suonava così: «Penso si
possa dire che la vera, intima origine dell’università stia nella brama di
conoscenza che è propria dell’uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che
lo circonda. Vuole verità. […]. L’uomo vuole conoscere, vuole verità. […] Ma
verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la
conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell’interrogarsi socratico: qual
è quel bene che ci rende veri?».
Come
si può ben vedere, da parte di Benedetto XVI nessuna invasione di campo,
nessuna supponenza. Al contrario, il contributo profondo di un uomo, un
docente, un teologo, sincero nel proporre il proprio punto di vista (con la
questione della verità in primo piano), schietto nel chiedere di meditare sul
fatto che verità significa di più che sapere e trasparente nell’interrogarsi su
alcune grandi questioni che, dopo tutto, riguardano tutti, credenti e non
credenti, e toccano da vicino soprattutto chi opera in un santuario del sapere
quale è un’università.
Ma a
quell’uomo, a quel docente, a quel teologo, a quel papa, con un atto di
inaudita prevaricazione giacobina, fu sbarrata la strada.
Ora,
il fatto che un altro papa, Francesco, sia stato invitato da un altro ateneo
romano, l’Università Roma Tre, e non solo abbia potuto intervenire ma sia stato
accolto con grande simpatia ed entusiasmo, non può che far piacere a
tutte le persone che amano il confronto libero delle idee.
Resta
però un certo retrogusto amaro se si pensa che Francesco, rispondendo alle
domande di alcuni studenti, non ha toccato nemmeno uno dei grandi temi
riguardanti la verità e il rapporto tra ragione e fede. Francesco in effetti,
più che da papa, più che da vescovo, più che da religioso, ha scelto di parlare
da sociologo e da economista. Ha affrontato le questioni legate alla
disoccupazione giovanile, alle migrazioni, alla globalizzazione. Ha chiesto,
anche con accenti accorati, di cercare l’unità salvaguardando le differenze e
non l’uniformità. Questioni importanti, sia chiaro. Ma colpisce il fatto che
mai una volta ha nominato Dio o la fede.
È pur
vero che nel testo scritto e poi non letto, perché il papa ha preferito
rispondere ai giovani improvvisando, c’è un passaggio molto bello, nel quale
Bergoglio con umiltà ma anche con efficacia dice così: «Mi professo cristiano e
la trascendenza alla quale mi apro e guardo ha un nome: Gesù. Sono convinto che
il suo Vangelo è una forza di vero rinnovamento personale e sociale. Parlando
così non vi propongo illusioni o teorie filosofiche o ideologiche, neppure
voglio fare proselitismo. Vi parlo di una Persona che mi è venuta incontro,
quando avevo più o meno la vostra età, mi ha aperto orizzonti e mi ha cambiato
la vita». Altrettanto vero è che il discorso scritto, sebbene non pronunciato,
resta agli atti. Tuttavia, nel confronto diretto con gli studenti, e di
conseguenza in tutte le cronache della giornata, i riferimenti alla
trascendenza e alla fede in Gesù sono spariti.
Sarebbe
folle pensare che il papa si sia autocensurato. Sicuramente, scegliendo di
mettere da parte il discorso preparato a tavolino, ha semplicemente voluto
farsi più vicino ai giovani e dimostrare meglio, con maggiore intensità
emotiva, la sua partecipazione ai loro problemi, alle loro preoccupazioni.
D’altra parte sono convinto che docenti e studenti di Roma Tre lo avrebbero
applaudito anche nel caso in cui Francesco avesse fatto riferimento
all’esperienza religiosa.
Tuttavia,
osservando gli elogi e la simpatia riservati a Francesco e ripensando al
divieto posto a Benedetto XVI nel 2008, è difficile sottrarsi all’impressione
che l’uomo di fede, perfino quando è il papa in persona, sia oggi più
apprezzato nel dibattito pubblico quando non affronta la questione di Dio e
della verità. Quando, cioè, non è troppo papa e non troppo cattolico.
(Fonte:
Aldo Maria Valli, Blog, 17 febbraio 2017)
Resta un certo retrogusto amaro
se si pensa che Francesco, rispondendo alle domande di alcuni studenti, non ha
toccato nemmeno uno dei grandi temi riguardanti la verità e il rapporto tra
ragione e fede. Francesco in effetti, più che da papa, più che da vescovo, più
che da religioso, ha scelto di parlare da sociologo e da economista. Ha
affrontato le questioni legate alla disoccupazione giovanile, alle migrazioni,
alla globalizzazione. Ha chiesto, anche con accenti accorati, di cercare
l’unità salvaguardando le differenze e non l’uniformità. Questioni importanti,
sia chiaro. Ma colpisce il fatto che mai una volta ha nominato Dio o la fede.
Qui
Valli offre una “generosa” spiegazione sul perché Bergoglio abbia lasciato da
parte il discorso scritto, nel quale erano almeno accennati i temi di Cristo,
trascendenza e fede.
2) DISCORSO LAICO: disoccupazione, “linguaggio violento” della politica, migrazioni...
Poi
vogliono farci credere che non sia cambiato niente!
Ci
sarà un motivo nell'abissale differenza e contrasto tra un rifiuto aspro e
inappellabile opposto a Benedetto XVI ad un'accoglienza calorosa, tra cori e
applausi. Scrive la nostra Luisa.
Tante
cose sono cambiate, è cambiato il papa. Vi ricordate quando Benedetto XVI
dovette rinunciare a parlare alla Sapienza? C'è da ricordare anche il perché:
il rifiuto vergognoso della sua lectio
magistralis di Ratisbona!!!
Ebbene
il suo successore è accolto con entusiasmo nella stessa università romana, un
papa che non parla da papa ma come un uomo politico, un leader politico per di
più perfettamente in linea con l`ideologia suicidaria del multiculturalismo,
del rispetto delle differenze per non discriminare le minoranze, i migranti
ecc., il suo abituale e molto costruito "linguaggio semplice che parla al
cuore", i soliti facili psicologismi da manuale, tante generalizzazioni e
banalità sul dialogo ecc., il rifiuto di dire che se, come dice, siamo in
guerra, chi ci sta facendo al guerra vuole imporre la sharia e
non certo dialogare, e mi sia permesso di dire tanta ignoranza o ideologia
sulla storia dell`Europa, sulla situazione della Svezia che non è affatto
quella rosea da lui descritta, Svezia che conosce una crisi molto grave legata
all`immigrazione di massa, oltre che alla secolarizzazione. [vedi].
(Fonte:
Chiesa e Postconcilio, 17 febbraio 2017)
“Mentre i socialisti in Francia
mettono fuorilegge i Siti Pro Life e il Parlamento Europeo approva un
Provvedimento (sempre della Sinistra) con cui ci chiede di finanziare le fabbriche
di aborti a cui Trump ha tolto i finanziamenti, Bergoglio oggi è' andato all'università
senza sfiorare nemmeno lontanamente questi avvenimenti, senza parlare mai di
Gesù Cristo e di Dio, ma facendo un comizio politico di Sinistra (peraltro
molto banale e da bar)” (Antonio Socci).