giovedì 28 dicembre 2023

Seewald: Francesco ha voluto cancellare l’eredità di Benedetto XVI


Coppie gay, Messa in latino, lotta agli abusi sessuali, epurazione degli uomini più legati a Benedetto, nomina di Fernández: papa Francesco ha fatto di tutto per distruggere quanto costruito dal suo predecessore. A un anno dalla morte di Benedetto XVI parla il suo biografo e amico Peter Seewald.

Quella di Joseph Aloisius Ratzinger sarebbe stata una figura da ricordare nella storia della Chiesa anche se non fosse stato eletto al soglio pontificio. Nel 2005, però, la chiamata del Signore grazie alla quale uno dei più grandi teologi viventi, l'uomo a cui san Giovanni Paolo II affidò la custodia dell'ortodossia cattolica per 23 anni, è divenuto Papa. Il pontificato di Benedetto XVI è terminato, traumaticamente, più di un decennio fa mentre la sua vita terrena si è conclusa un anno fa, privando il recinto di san Pietro di quel «servizio della preghiera» promesso nell'ultima udienza generale del 27 febbraio 2013. Anche alla luce della nuova stagione all'insegna di una rivendicata discontinuità al dicastero per la dottrina della fede, che fine ha fatto l'eredità di Ratzinger nell'attuale pontificato? La Nuova Bussola Quotidiana lo ha chiesto in quest'intervista a Peter Seewald, giornalista tedesco, amico e biografo di Benedetto XVI con il quale ha scritto quattro libri-intervista.

È giusto dire che il rapporto tra Benedetto XVI e Francesco era «molto stretto», come Francesco ha recentemente dichiarato?
Bella domanda. Tutti ricordiamo le calde parole che il cardinale Ratzinger pronunciò al requiem per Giovanni Paolo II. Parole che toccavano il cuore, che parlavano di amore cristiano, di rispetto. Ma nessuno ricorda le parole di Bergoglio al requiem per Benedetto XVI. Erano fredde come tutta la cerimonia, che non poteva che essere piuttosto breve per non rendere troppo onore al suo predecessore. Almeno questa è stata la mia impressione.

Un giudizio duro, il suo..
Insomma, come si manifesta l'amicizia? Con una mera dichiarazione a parole o vivendola? Le differenze tra Benedetto XVI e il suo successore sono state grandi fin dall'inizio. Nel temperamento, nella cultura, nell'intelletto e soprattutto nella direzione dei pontificati. All'inizio Benedetto non sapeva molto di Bergoglio, se non che da vescovo in Argentina era noto per la sua leadership autoritaria. Ha promesso al suo successore obbedienza. Francesco l'ha ovviamente considerata una sorta di assegno in bianco. Anche il suo predecessore è rimasto in silenzio per non dare la minima impressione di voler interferire nel governo del suo successore. Benedetto si fidava di Francesco. Ma è rimasto amaramente deluso più volte.

Che cosa intende dire?
Bergoglio ha continuato a scrivere belle lettere al Papa emerito dopo la sua elezione. Sapeva di non poter reggere il confronto con questo grande e nobile spirito. Ha anche parlato ripetutamente delle doti del suo predecessore, definendolo un "grande Papa" la cui eredità diventerà più evidente di generazione in generazione. Ma se si parla davvero di un "grande Papa" per convinzione, non si dovrebbe fare tutto il possibile per coltivare la sua eredità? Proprio come ha fatto Benedetto XVI nei confronti di Giovanni Paolo II? Come possiamo vedere oggi, Papa Francesco ha fatto ben poco per rimanere in continuità con i suoi predecessori, anzi.

Che cosa significa in termini concreti?
Bergoglio non è un europeo. Ha una scarsa conoscenza della cultura del nostro continente. Soprattutto, sembra avere un'avversione per le tradizioni occidentalizzate della Chiesa cattolica. In quanto sudamericano e gesuita, ha cancellato molto di ciò che era prezioso e caro a Ratzinger. Le decisioni sono state prese per lo più in modo autocratico da una ristretta cerchia di seguaci. Basti ricordare il divieto della Messa tridentina. Benedetto aveva costruito un piccolo ponte verso un'isola del tesoro in gran parte dimenticata, che fino ad allora era stata accessibile solo attraverso un terreno difficile. Era una questione che stava a cuore al Papa tedesco e non c'era in realtà alcun motivo per abbattere di nuovo questo ponte. Era ovviamente una dimostrazione del nuovo potere. La successiva epurazione del personale completa il quadro. Molte persone che sostenevano il corso di Ratzinger e la dottrina cattolica sono state "ghigliottinate".

Sta parlando dell'ex prefetto della congregazione per la dottrina fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller e del caso di monsignor Georg Gänswein?
È stato un evento senza precedenti nella storia della Chiesa che l'arcivescovo Gänswein, il più stretto collaboratore di un Papa altamente meritevole, il più grande teologo mai seduto sulla Sede di Pietro, sia stato cacciato dal Vaticano in disgrazia. Non gli è stata data nemmeno una parola di ringraziamento pro forma per il suo lavoro. Naturalmente, l'epurazione ha riguardato in primo luogo l'uomo di cui Gänswein rappresenta il lignaggio, Benedetto XVI. Più di recente, è stato il vescovo statunitense Strickland, amico di Benedetto e critico nei confronti di Bergoglio, a essere rimosso dall'incarico con il pretesto di una cattiva condotta finanziaria; una ragione ovviamente inverosimile. E quando un sostenitore di Ratzinger come il 75enne cardinale Burke viene privato da un giorno all'altro della sua casa e del suo stipendio senza alcuna spiegazione, è difficile riconoscere la fraternità cristiana in tutto questo.

Accennava alla mancanza di continuità: pensa che un documento come Fiducia supplicans sarebbe stato pubblicato se Benedetto XVI fosse stato ancora vivo?
Nel suo piccolo monastero al centro del Vaticano, l'anziano Papa emerito si comportava come la luce sulla montagna. Anche il filosofo italiano Giorgio Agamben lo vede come un katechon, un trattenimento, basandosi sulla seconda lettera dell'apostolo Paolo ai Tessalonicesi. Il termine katechon è interpretato anche come "ostacolo". Per qualcosa o qualcuno che ostacola la fine dei tempi. Secondo Agamben, Ratzinger, da giovane teologo, in un'interpretazione di sant'Agostino distingueva una Chiesa dei malvagi e una Chiesa dei giusti. Fin dall'inizio, la Chiesa era inestricabilmente mista. È allo stesso tempo la Chiesa di Cristo e la Chiesa dell'Anticristo. Da questo punto di vista, le dimissioni di Benedetto hanno portato inevitabilmente alla separazione della Chiesa "bella" da quella "nera", alla separazione del grano dalla pula.
Tuttavia, il cardinale Joseph Zen di Hong Kong ha recentemente sottolineato che lo stesso Benedetto aveva ripetutamente avvertito del «pericolo di uno smottamento della dottrina». Quando ho chiesto a Papa Benedetto perché non poteva morire, mi ha risposto che doveva rimanere. Come una sorta di memoriale dell'autentico messaggio di Cristo.
Quali sono gli aspetti più critici di Fiducia supplicans?
Nei suoi discorsi, Papa Francesco dice molte cose giuste. Ma un pastore, come ha recentemente chiarito il Patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa (presumibilmente un candidato genuino per il prossimo conclave), dovrebbe da un lato «ascoltare il gregge», ma dall'altro «anche guidare, offrire una guida e dire dove devono andare». Pizzaballa ha detto: «Non bisogna rendersi dipendenti dalle aspettative degli altri». Il problema di Francesco in passato è stato che non ha mantenuto molte delle sue promesse, dicendo a volte "bianco" e a volte "nero", facendo dichiarazioni ambigue, contraddicendosi ripetutamente e causando così una notevole confusione. Nel caso di un documento come Fiducia supplicans, che può essere interpretato in tanti modi diversi, c'è anche il fatto che ciò che è stato appena considerato corretto viene improvvisamente dichiarato sbagliato senza un grande processo di maturazione della decisione. Per non parlare dell'effetto divisivo che questo ha sulla Chiesa e del tempismo assolutamente disastroso della sua pubblicazione. Il grande tema prima di Natale non era la commemorazione della nascita di Cristo, ma la benedizione, apparentemente molto più importante, delle coppie omosessuali da parte della Chiesa. I media lontani dalla Chiesa ne sono stati entusiasti e nessuno ha pensato al fatto che un documento così importante non sia stato – come era consuetudine sotto Benedetto XVI – discusso e approvato dall' Assemblea Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, ma sia stato semplicemente decretato in modo autocratico.

Secondo Lei il cardinale Víctor Manuel Fernández, autore della Dichiarazione, sarebbe stato nominato a capo del Dicastero per la Dottrina della Fede anche se Benedetto XVI fosse rimasto in vita?Difficile. Francesco e la sua cerchia potevano presumere che, sebbene l'Emerito fosse fedele alla sua promessa di obbedienza, non sarebbe più rimasto in silenzio se il livello di distruzione della Chiesa, che Dio apparentemente permetteva, fosse diventato insopportabile. Subito dopo la sua morte, le considerazioni che erano ancora valide durante la sua vita sono state abbandonate. È diventato giusto che un uomo come Víctor Manuel Fernández, a cui è stato dato rapidamente un cappello cardinalizio, venisse nominato alla carica di prefetto per la dottrina della fede. L'argentino non ha le qualifiche per questo importante compito, tranne che per una cosa: è il pupillo di un Papa argentino. Finora l'attitudine era il criterio principale per queste nomine, ma sotto Bergoglio sembra che conti la fedeltà alla linea. Già prima di entrare in carica, Fernández aveva annunciato una sorta di autodemonizzazione della Chiesa cattolica. Voleva cambiare il catechismo, relativizzare le affermazioni della Bibbia e mettere in discussione il celibato. Sapeva che non gli sarebbe rimasto molto tempo. Si rendeva conto che non sarebbe stato in grado di rimanere con nessun altro papa successivo. Aveva fretta. Così ha sollevato immediatamente l'atteggiamento del suo capo nei confronti della nuova dottrina. Si parla allora di una comprensione ampliata delle cose. Questa è la porta per poter legittimare interpretazioni della fede cattolica prima sconosciute.
In futuro, il Dicastero per la Dottrina della Fede non sarà più necessario come ufficio di vigilanza sulla vera fede cattolica, ha spiegato Francesco, ma come promotore del carisma dei teologi. Nessuno sa cosa significhi in realtà. La realtà è sempre più importante dell'idea, ha aggiunto. In parole povere: ciò che è importante non è ciò che il Concilio, ad esempio, ha affermato sulla fede, ma ciò che viene chiesto. Allo stesso tempo, Francesco ha ammorbidito l'articolo di Giovanni Paolo II sull'organizzazione del dicastero, che riguardava la tutela della «verità della fede e dell'integrità dei costumi».
Soprattutto, Fernández dovrebbe «tenere conto del magistero più recente» nelle sue interpretazioni, cioè quello del suo mentore argentino. È sembrato una sorta di contropartita il fatto che il Papa abbia esentato il nuovo prefetto per la dottrina della fede dal doversi occupare degli abusi sessuali nella Chiesa. Ratzinger, il suo predecessore nella carica, aveva comunque portato questo settore sotto la sua autorità perché vedeva che altrove i reati venivano nascosti sotto il tappeto e le vittime lasciate sole. Tuttavia, Fernández non è nuovo a questo argomento. Il quotidiano argentino La Izquierda Diario ha riportato che, come arcivescovo di La Plata, avrebbe coperto almeno undici casi di abusi sessuali da parte di sacerdoti «in varie forme».

Un altra prova di discontinuità è stata l'abrogazione della liberalizzazione sulle celebrazioni in forma straordinaria del rito romano. Nella lettera ai vescovi che accompagna la pubblicazione di Traditionis Custodes, Francesco ha detto che l'intenzione di Summorum Pontificum è stata «spesso gravemente disattesa». Benedetto XVI ha davvero fallito così tanto con la cosiddetta Messa in latino?
Al contrario. Ratzinger voleva pacificare la Chiesa senza mettere in discussione la validità della Messa secondo il Messale Romano del 1969. «Il modo in cui trattiamo la liturgia», ha spiegato, «determina il destino della fede e della Chiesa». Francesco, invece, ha descritto le forme tradizionali come una «malattia nostalgica». Se l'intenzione fosse stata davvero «gravemente disattesa», sarebbe stato opportuno in primo luogo ottenere un parere da parte di Benedetto XVI e in secondo luogo motivare questa accusa. Ma non c'è alcuna indagine in merito, né tantomeno una documentazione dei presunti casi. E l'affermazione che la maggioranza dei vescovi ha votato a favore dell'abrogazione del Summorum Pontificum di Benedetto in un sondaggio mondiale non è vera, secondo le mie informazioni. Ciò che trovo particolarmente vergognoso è che il Papa emerito non sia stato nemmeno informato di questo atto, ma abbia dovuto apprenderlo dalla stampa. Gli è stata inferta una pugnalata al cuore.

Prima ha parlato di abusi. Lei, che ha ricostruito i fatti sul caso di padre Peter H. nella biografia Benedetto XVI - Una vita, può spiegare perché mons. Bätzing ha sbagliato quando ha chiesto a Ratzinger di scusarsi per la sua gestione degli abusi come arcivescovo di Monaco?
Il presidente della Conferenza episcopale tedesca sa che nessun altro nella Chiesa cattolica ha compiuto passi così decisivi nella lotta contro gli abusi sessuali come l'ex prefetto della fede e papa. Il giornalista italiano Gianluigi Nuzzi ha dichiarato che Benedetto ha «tolto la cappa di silenzio e ha costretto la sua Chiesa a concentrarsi sulle vittime». Ha fatto molto di più di Papa Francesco contro questo male scandaloso.
L'affermazione del vescovo Bätzing secondo cui il Papa emerito non si sarebbe scusato per «ciò che è stato fatto alle vittime con il trasferimento di un abusatore» è pura disinformazione. Una cosa è certa: nella sua dichiarazione del 6 febbraio 2022, a seguito della discussione sul tanto discusso rapporto di Monaco, il Papa emerito ha chiarito che poteva «solo esprimere ancora una volta la mia profonda vergogna, il mio grande dolore e la mia sincera richiesta di scuse a tutte le vittime di abusi sessuali». Egli si è «assunto una grande responsabilità nella Chiesa cattolica. Il mio dolore è ancora più grande per i reati e gli errori che sono accaduti durante il mio mandato e nei luoghi interessati [...] Le vittime di abusi sessuali hanno la mia più profonda solidarietà e mi rammarico per ogni singolo caso».
Per quanto riguarda il caso del sacerdote Peter H. di Essen, risalente al periodo in cui Ratzinger era vescovo di Monaco, il team di consulenti legali del Papa emerito è giunto alla conclusione che l'ex vescovo di Monaco, come lui stesso ha dichiarato, non era a conoscenza né del fatto che il sacerdote «fosse un autore di abusi né che fosse utilizzato nella cura pastorale». Gli avvocati hanno riassunto che la perizia «non contiene alcuna prova di un'accusa di cattiva condotta o di assistenza in un insabbiamento». I documenti sostengono senza riserve le dichiarazioni di Benedetto XVI.

Lei lo ha incontrato spesso anche dopo la rinuncia: è vero che Benedetto XVI si è molto preoccupato negli ultimi anni della situazione della Chiesa tedesca e in particolare delle conseguenze del cosiddetto cammino sinodale?
Ratzinger ha ripetutamente espresso questa preoccupazione anche come prefetto per la dottrina della fede. In realtà, si era già sentito offeso dopo il Concilio Vaticano II, quando ne aveva criticato l'annacquamento e la reinterpretazione. Egli ha accusato l'establishment cattolico del suo Paese di mostrare soprattutto indaffaramento, autopromozione e noiosi dibattiti su questioni strutturali «che mancano completamente la missione della Chiesa cattolica» invece di una «dinamica della fede». Ha detto che è un errore enorme pensare che basti indossare un mantello diverso per essere di nuovo amati e riconosciuti dagli altri. Il cristianesimo può essere un vero partner nelle difficili questioni della civiltà moderna solo attraverso la sua etica risolutamente presentata.
Per Ratzinger, il rinnovamento consiste nel riscoprire le competenze fondamentali della Chiesa. Riforma, sottolineava, significa conservare nel rinnovamento, rinnovare nella conservazione, per portare la testimonianza della fede con nuova chiarezza nell'oscurità del mondo. La ricerca di ciò che è contemporaneo non deve mai portare all'abbandono di ciò che è vero e valido e all'adattamento a ciò che è attuale. A questo proposito, era scettico nei confronti del "cammino sinodale" elitario, i cui operatori non sono affatto legittimati dal popolo della Chiesa. Inoltre, con l'avanzare dell'età, questo sviluppo lo ha molto rattristato. Durante uno dei nostri incontri, ha dovuto chiedersi quante diocesi del suo Paese potessero ancora essere definite cattoliche in termini di leadership.
Non si è rassegnato a questo. Vedeva anche le molte iniziative di giovani che stanno riscoprendo il cattolicesimo e quindi attraggono sempre più persone, mentre al contrario quelle che si dichiarano particolarmente contemporanee non solo vivono una crescente aridità spirituale, ma anche un impoverimento del personale, per non parlare della perdita di membri. Ma anche se la situazione attuale della Chiesa e del mondo non dava motivo di rallegrarsi, il Papa emerito aggiungeva sempre nelle nostre conversazioni ciò di cui era profondamente convinto: «Alla fine, Cristo prevarrà!».

(Fonte: Nico Spuntoni, LNBQ, 27 dicembre 2023) 
https://lanuovabq.it/it/seewald-francesco-ha-voluto-cancellare-leredita-di-benedetto-xvi

  

Dietro “Fiducia supplicans” c'è il nuovo paradigma di Francesco


La "guerra civile" provocata dalla dichiarazione sulle benedizioni alle coppie irregolari e omosessuali è frutto di un decennio segnato da due visioni della fede irriducibili tra loro (e irriducibili alla sola "gestione Fernández").

La “guerra civile ecclesiale” provocata dalla dichiarazione Fiducia supplicans può essere compresa nelle sue dinamiche interne tornando al concetto di “nuovo paradigma” applicato al pontificato di Francesco. Non si contano gli articoli e i libri che adoperano l’espressione. Che si trattasse di un nuovo paradigma era evidente sin dai primi passi del pontificato. Già nelle aggiunte al testo incompiuto della Lumen Fidei o nell’intervista a La Civiltà Cattolica tutti avevamo notato un nuovo paradigma in embrione, che si è poi ampiamente dispiegato in questo decennio e ora, con la Fiducia supplicans, ha definitivamente mostrato il suo volto rivoluzionario, dividendo la Chiesa. Bisogna evitare di attribuire il disastroso effetto alla sola ultima dichiarazione del cardinale Fernández. Essa è stata preparata lungo tutto un decennio ed è da collegarsi direttamente con il capitolo 8 di Amoris laetitia, ma non solo. Ecco perché conviene riprendere in esame la nozione di “nuovo paradigma”.

Questa espressione proviene dalla filosofia della scienza e in particolare dalla scuola popperiana. Thomas Kuhn interpretava lo sviluppo della scienza come un susseguirsi di rivoluzioni sulla base di nuovi paradigmi da intendersi come programmi di ricerca. Il nuovo paradigma doveva essere in grado di spiegare sia quanto spiegato dal precedente sia quanto questo non riusciva a spiegare. La questione ebbe una evoluzione interessante quando Imre Lakatos sostenne che un nuovo paradigma non nasce dopo che si è scoperto un fatto anomalo che falsifica il precedente, ma prima si elabora il nuovo paradigma e poi si possono vedere e spiegare i fatti anomali rispetto al precedente, che altrimenti rimarrebbero al buio o verrebbero adattati a forza dentro il vecchio schema. Il fatto nuovo può essere quindi visto come nuovo solo se prima è già nato il nuovo modo di vedere le cose, e non dopo. Prima si passa ai nuovi criteri e solo poi si affrontano i fatti nuovi, resi ora visibili dalla luce del nuovo paradigma. Un fatto non è nuovo in quanto nuovo, ma perché nuovo è il modo di vederlo.

Questo spunto può aiutarci a capire la nuova situazione nel campo della teologia e della pastorale, per non rimanere intrappolati in questa logica. Secondo la dottrina della successione dei paradigmi, la benedizione delle coppie di fatto eterosessuali e omosessuali è un fatto nuovo che gli “indietristi” non riescono a capire perché sono rimasti dentro il precedente paradigma, ma risulta pienamente chiaro e condivisibile da chi ha acquisito il nuovo. La novità non sta nelle coppie omosessuali, ma nell’inedito colpo d’occhio che ora il nuovo paradigma getta su di esse. La benedizione di queste ultime è una creazione del nuovo paradigma, il quale ha posto la nuova questione dopo aver creato il nuovo modo di affrontarla. Si pone il problema perché si ha già in mente il modo di risolverlo.

Questo spiega due altri aspetti della nuova situazione ecclesiale che stiamo vivendo. Il nuovo paradigma spiega cose nuove, ma anche intende confermare le spiegazioni fornite dal precedente paradigma, altrimenti non c’è nessun passo in avanti. Infatti, Fernández dice che la precedente dottrina esposta da ultimo nel Responsum del 2021 non viene negata ma ampliata da un nuovo paradigma. Le nuove affermazioni risultano così incontestabili: non possono essere criticate alla luce del nuovo paradigma, perché proprio esso le ha prodotte, e non possono nemmeno esserlo alla luce del vecchio, perché era inadeguato e infatti è stato sostituito dal nuovo, il quale, però, non cessa di spiegare quanto spiegava il vecchio. In questo modo il modello del nuovo paradigma pretende di garantire la continuità della tradizione.

Questa visione è debitrice dell’impostazione non realistica ma idealistica del pensiero moderno, che parte dal soggetto e non dall’oggetto. Così tutta la nostra visione del mondo è un “grande paradigma”, a partire dal quale costruiamo la realtà.
Questa appena esposta è l’invenzione, la realtà è diversa. Lo schema ora visto ha un primo enorme difetto: intende la tradizione solo come un “precedente paradigma”, a cui fa riferimento Francesco quando parla di “ripetizione di schemi che generano immobilità”, o come una successione di paradigmi. La tradizione viene così chiamata “viva”, ma in realtà è morta perché un paradigma non è conoscenza del reale, dato che egli stesso lo pone. Al massimo è interpretativo, il che è troppo poco e deforma la definizione di tradizione della Chiesa. Inoltre, non è vero che il nuovo paradigma permetta di spiegare, alla propria luce, quanto spiegava il precedente. Questo perché il porre nuove realtà dopo aver inventato un nuovo paradigma getta a ritroso una luce diversa anche sulle verità precedenti, legate ad una interpretazione ormai superata. Questo è il punto delicato in cui vengono inseriti stratagemmi ingannevoli: in realtà Fiducia supplicans abolisce il Responsum perché i nuovi supposti motivi pastorali non sono solo pastorali ma pienamente teologici. Infatti, appartiene al nuovo paradigma sostenere che la pastorale non è applicativa ma creativa di dottrina.

Nella Chiesa di oggi ci sono due visioni della fede e due codici di pensiero irriducibili tra loro. Il Dicastero per la Dottrina della Fede porta avanti la visione della successione dei paradigmi, mentre i cardinali, i vescovi e i laici che vi si oppongono si attengono alla tradizione, che non è un paradigma destinato ad essere superato da un altro.

Fonte: Stefano Fontana, LNBQ, 28 dicembre 2023 
https://lanuovabq.it/it/dietro-fiducia-supplicans-ce-il-nuovo-paradigma-di-francesco

  

“Fiducia supplicans” e il prossimo Conclave


La promulgazione della Dichiarazione della Dottrina per la Fede Fiducia supplicans, del 18 dicembre 2023 () e le reazioni che ad essa sono seguite ci offrono una possibile chiave di lettura del prossimo conclave.

L’autore della Dichiarazione è lo stretto collaboratore e ghost writer di papa Francesco, Victor Manuel Fernández, nominato il 1° luglio 2023 prefetto del nuovo Dicastero per la Dottrina della Fede e creato cardinale il successivo 30 settembre. Il documento è sottoscritto ex audientia da papa Francesco, in maniera da renderlo inappellabile. Normalmente il documento dovrebbe essere espressione del Magistero ordinario della Chiesa, ma non lo è, proprio perché, allontanandosi dall’insegnamento della Chiesa, perde ogni carattere di “magisterialità”.

Fiducia supplicans costituisce però un vero e proprio “manifesto bergogliano”, per una specifica caratteristica, che già fu del modernismo: afferma la fedeltà al Magistero della Chiesa, mentre con una spregiudicata acrobazia intellettuale lo capovolge. In particolare, Fiducia supplicans nega che una relazione omosessuale possa essere mai equiparata al matrimonio, ma autorizzando la possibilità di benedire quella relazione, la approva, contraddicendo su questo punto il Magistero, che ha sempre condannato il peccato contro natura. Afferma, con tono rassicurante, che la benedizione è extra-liturgica, ma poiché si può benedire (bene dicere) solo ciò che è in sé buono, ammette con ciò l’intrinseca bontà della relazione omosessuale. Nega di benedire la relazione omosessuale in quanto tale, ma dal momento che ciò che viene benedetto non è una singola persona, ma la pretesa “coppia”, alla quale non viene chiesto di porre fine alla relazione illecita, benedice il legame che unisce in maniera peccaminosa i due “partner”.

Come meravigliarsi se il cardinale Gerhard L. Müller, prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha definito questa benedizione un atto sacrilego e blasfemo (qui)?

Il pronunciamento del cardinale Müller è stato forte e articolato, ma non è l’unico apparso nelle scorse settimane. Il fatto nuovo, che ci offre una chiave di lettura del prossimo Conclave, è la discesa in campo di vescovi e cardinali che mai avevano espresso pubblicamente perplessità o critiche verso papa Francesco. Fino ad oggi infatti le reazioni più  significative alla deriva del pontificato bergogliano erano state la Supplica filiale, sottoscritta nel 2015 da centinaia di migliaia di  firmatari in tutto il mondo, la  Correctio filialis, presentata nel 2017 da un gruppo di teologi e intellettuali cattolici e i Dubia presentati da alcuni eminenti porporati, tra i quali i cardinali Raymond Leo Burke e Walter Brandmüller nel 2016 (qui) e nel 2023 (qui). 

Questa volta è diverso. Una dopo l’altra si sono succedute, con tonalità diverse, le voci dissonanti dei vescovi del Ghana, dello Zambia, del Malawi, del Togo, del Benin, del Camerun, del Kenya, della Nigeria, del Congo, del Ruanda, di Angola e São Tomé (cfr. https://caminante-wanderer.blogspot.com/2023/12/las-reacciones-fiducia-supplicans.html), praticamente tutti i vescovi africani, mentre la conferenza episcopale panafricana ha lanciato un appello per un’azione concertata, firmato dal cardinale Fridolin Ambongo, arcivescovo metropolita di Kinshasa, che ha ricevuto la porpora il 5 ottobre 2019 da papa Francesco.

A queste voci critiche si sono aggiunte quelle dei vescovi polacchi, dei vescovi dei due riti, latino e greco-cattolico, dell’Ucraina, dell’arcidiocesi di Astana in Kazakistan e di molte altre singole diocesi sparse nel mondo, come quella di Montevideo. Il cardinale Daniel Fernando Sturla, arcivescovo di Montevideo, è stato anch’egli creato cardinale da papa Francesco il 14 febbraio 2015 e, come il cardinale Ambongo, è uno degli elettori del prossimo Conclave.

Si potrà dire che si tratta di una minoranza, e infatti lo è. D’altra parte sono una minoranza ancora più ristretta i vescovi che hanno esplicitamente aderito alla Dichiarazione del Dicastero della Dottrina della Fede. Ma è interessante notare che la critica più forte di Fiducia supplicans è stata espressa proprio da quelle “periferie” che tanto spesso papa Francesco ha invocato come portatrici di autentici valori religiosi ed umani, mentre la filosofia del documento è stata fatta propria da alcune conferenze episcopali, come quelle del Belgio, della Germania e della Svizzera, che rappresentano gli episcopati più mondanizzati e lontani dai problemi esistenziali delle “periferie”.La larga maggioranza dei vescovi e dei cardinali o non si è manifestata o, quando l’ha fatto, ha suggerito di interpretare Fiducia supplicans su una linea di coerenza, e non di discontinuità, con il Catechismo della Chiesa cattolicae con il precedente Responsum del 15 marzo 2021 della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla possibilità di benedire le unioni di persone dello stesso sesso. Posizione impervia, quella di questi cardinali e vescovi, sia sul piano dottrinale che su quello pastorale. Le ragioni dell’ambiguità vanno probabilmente ricercate nel timore di non entrare in aperto conflitto con papa Francesco e con i poteri mediatici che lo sostengono. Questo centro magmatico e confuso non è tuttavia “bergogliano” e, nella sua espressione cardinalizia, costituisce l’oscillante “Terzo Partito” tra le due minoranze che si affronteranno nel prossimo conclave: da una parte il polo fedele all’insegnamento della Chiesa, dall’altra il polo fedele al “nuovo paradigma”.  Lo scontro si svolgerà in una situazione di “sede vacante”, quando papa Francesco sarà già uscito di scena, i media taceranno ed ogni elettore si troverà solo di fronte a Dio e alla propria coscienza. Quanto basta per far pensare che il prossimo conclave sarà contrastato, non breve e forse non privo di colpi di scena.

Fonte: Roberto de Mattei, Corrispondenza Romana, 27 Dicembre 2023 
https://www.corrispondenzaromana.it/fiducia-supplicans-e-il-prossimo-conclave/

 

Quousque tandem? Il dicastero per la Dottrina della Fede “benedice” il peccato contro natura


La Dichiarazione Fiducia supplicans sul senso pastorale delle benedizioni emanata il 18 dicembre 2023 dal Dicastero per la Dottrina della Fede, segna uno dei punti più bassi del pontificato di papa Francesco. Questo documento, infatti, contraddicendo la dottrina della Chiesa, approva e di fatto promuove la “benedizione” di “coppie” che vivono in una situazione intrinsecamente immorale, con una particolare attenzione a quelle omosessuali.

Per comprendere le origini di quanto è accaduto bisogna risalire ai primi anni Settanta del Novecento, quando, sull’onda della Rivoluzione del Sessantotto, ma anche della “nuova morale” postconciliare, iniziarono a diffondersi nella Chiesa forme di “apertura” alle relazioni omosessuali. Secondo la dottrina tradizionale, l’atto sessuale è in sé stesso, per sua natura, ordinato alla procreazione ed è buono solo se avviene all’interno del matrimonio, senza essere distolto dal suo fine. Invece, per i nuovi teologi, l’atto sessuale è sempre buono, perché costituisce il momento più intimo ed intenso dell’amore umano, indipendentemente dal fatto che sia ordinato o no alla procreazione, che si svolga o no all’interno del matrimonio e che coinvolga uomini e donne di differente o dello stesso sesso.

Contro questi errori la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicò il 29 dicembre 1975 la dichiarazione Persona humanafirmata dal Prefetto, cardinale Seper, che affermava, tra l’altro: «Secondo l’ordine morale oggettivo, le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile. Esse sono condannate nella sacra Scrittura come gravi depravazioni e presentate, anzi, come la funesta conseguenza di un rifiuto di Dio. Questo giudizio della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati e che, in nessun caso, possono ricevere una qualche approvazione».

Il Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato nel 1992, affermava a sua volta, al n. 2357: «Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati”. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati».

Dello pseudo “matrimonio omosessuale”, si cominciò a parlare solo a partire dagli anni Novanta del Novecento, soprattutto dopo che il Parlamento europeo, con una sua risoluzione dell’8 febbraio 1994, invitò gli Stati membri dell’Unione «ad aprire alle coppie omosessuali tutti gli istituti giuridici a disposizione di quelli eterosessuali». Nell’Angelus del 20 febbraio 1994, Giovanni Paolo II condannò esplicitamente la risoluzione europea, affermando che «non è moralmente ammissibile l’approvazione giuridica della pratica omosessuale. Essere comprensivi verso chi pecca, verso chi non è in grado di liberarsi da questa tendenza, non equivale, infatti, a sminuire le esigenze della norma morale (cfr. Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, 95)» (Angelus del 20 febbraio 1994).

Questa posizione è rimasta sostanzialmente immutata ma, soprattutto a partire dal Sinodo dei vescovi tedeschi apertosi nel 2020, sono cominciate a diffondersi le richieste di “benedizione” di “coppie” omosessuali. Il 15 marzo 2021, l’allora Congregazione (oggi Dicastero) per la Dottrina della Fede, presieduta dal cardinale Luis F. Ladaria ha pubblicato un Responsum nel quale rispondeva al dubbio se la Chiesa disponesse del potere di impartire la benedizione alle unioni di persone dello stesso sesso. Il Dicastero vaticano rispondeva negativamente, spiegando che, essendo le benedizioni dei sacramentali, esse richiedono che «ciò che viene benedetto sia oggettivamente e positivamente ordinato a ricevere e ad esprimere la grazia, in funzione dei disegni di Dio iscritti nella Creazione e pienamente rivelati da Cristo Signore. Sono quindi compatibili con l’essenza della benedizione impartita dalla Chiesa solo quelle realtà che sono di per sé ordinate a servire quei disegni».

Fin dalle origini la Chiesa, facendo eco alla maledizione delle Sacre Scritture (Gen. 18, 20; 19, 12-13, 24-28; Lev. 12, 22 e 29; Is. 3, 9; 1 Tim. 1, 9-10; 1 Cor. 6, 9-10) ha condannato il peccato contro natura per bocca dei Padri e Dottori della Chiesa, dei santi, dei Papi, dei Concili e del Diritto canonico. La dichiarazione Fiducia supplicans del Dicastero della Dottrina della Fede,stravolge questo Magistero.Il documento si apre con una presentazione del Prefetto Fernandez, il quale spiega che la dichiarazione intende «offrire un contributo specifico e innovativo al significato pastorale delle benedizioni» permettendo «di ampliarne e arricchirne la comprensione classica»attraverso una riflessione teologica«basata sulla visione pastorale di Papa Francesco». I riferimenti del testo che segue sono sempre e solo all’insegnamento di papa Francesco, ignorando tutti precedenti pronunciamenti della Santa Sede, come se l’insegnamento della Chiesa cominciasse ex novo con lui.

Dopo i primi paragrafi (1-3), la dichiarazione dichiara «inammissibili riti e preghiere che possano creare confusione tra ciò che è costitutivo del matrimonio» e «ciò che lo contraddice», per evitare di riconoscere in qualunque modo «come matrimonio qualcosa che non lo è. La dottrina della Chiesa su questo punto resta ferma» (nn. 4-6).  Ma è proprio in questa precisazione che sta l’inganno e l’ipocrisiadel documento, firmato dal cardinale Victor Manuel Fernández, e controfirmato ex audientia, da papa Francesco.

Il primo punto fuorviante è quello di affermare che le relazioni omosessuali non sono equiparate al matrimonio cristiano, evitando però di definirle atti intrinsecamente disordinati; il secondo punto è l’insistenza sulla distinzione tra benedizioni liturgiche ed extra-liturgiche, come se una benedizione extra-liturgica, fatta da un sacerdote, potesse rendere lecito ciò che è illecito benedire. Nel secondo capitolo del documento (nn. 7-30) si afferma che quando con un apposito rito liturgico «si invoca una benedizione su alcune relazioni umane», occorre che «ciò che viene benedetto sia in grado di corrispondere ai disegni di Dio iscritti nella Creazione» (11), ma se ci si muove «al di fuori di un quadro liturgico», la richiesta di benedizione va accolta e valorizzata, perché ci si trova «in un ambito di maggiore spontaneità e libertà» (n. 23). Ancora una volta si dà ad intendere che queste “relazioni umane” non siano in contraddizione con la legge naturale e divina. 

Il terzo capitolo della dichiarazione (nn. 31-41) ammette dunque la «possibilità di benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso»(n. 31).Le rassicurazioni, puramente retoriche, secondo cui «non si devené promuovere né prevedere un rituale per le benedizioni di coppie in una situazione irregolare» (n.38) e che «questa benedizione mai verrà svolta contestualmente ai riti civili di unione e nemmeno in relazione a essi» (n. 39), continuano ad aggirare con deliberata ambiguità il punto di fondo dell’intrinseca immoralità delle relazioni omosessuali. Va sottolineato che il documento autorizza la benedizione non di un singolo fedele, che voglia liberarsi da una situazione irregolare, ma quella di una “coppia”, che nella condizione di peccato vive stabilmente, senza alcuna intenzione di liberarsene. Coppia, oltretutto, che tale non può essere definita, non trattandosi dell’unione naturale di un uomo e di una donna. Questa relazione peccaminosa viene oggettivamente benedetta.

Molto scandalo suscitò la frase di papa Francesco «Chi sono io per giudicare un gay?», pronunciata il 29 luglio 2013, sul volo di ritorno a Roma da Rio de Janeiro. Quella frase, pur rappresentando un chiaro messaggio mediatico, poteva essere minimizzata come una infelice boutade estemporanea. La Dichiarazione Fiducia supplicans è enormemente più grave, perché è una “dichiarazione” ufficiale, di cui il portale dell’informazione della Santa Sede Vatican News sottolinea la rilevanza, scrivendo che «era dall’agosto di 23 anni fa che l’ex Sant’Uffizio non pubblicava una dichiarazione (l’ultima fu nel 2000 Dominus Jesus), documento dall’alto valore dottrinale». Spetterà ai teologi e ai canonisti offrire una accurata valutazione di questo atto del Dicastero della Dottrina per la Fede. Per ora il semplice sensus fidei ci fa affermare che non è possibile avallare in alcun modo, e meno che mai con una “benedizione”, una relazione viziosa e immorale. Il sacerdote che impartisse tali benedizioni, o un vescovo che le approvasse, commetterebbe un peccato pubblico grave. E, duole dire, che un gravissimo peccato è stato commesso da chi ha promulgato e firmato questa scandalosa dichiarazione.

Fonte: Roberto De Mattei, Corrispondenza Romana, 20 Dicembre 2023. 
https://www.corrispondenzaromana.it/quo-usque-tandem-il-dicastero-per-la-dottrina-della-fedebenedice-il-peccato-contro-natura/