venerdì 14 aprile 2023

Francesco pontefice a vita. Ma senza un successore “suo”


“Ancora vivo”, parole sue, dopo l’ultimo ricovero in ospedale, Jorge Mario Bergoglio fa di tutto per scoraggiare chi calcola su una sua imminente uscita di scena. Ma quel che accade in questo tramonto di pontificato non fa presagire affatto una successione a lui congeniale.

Un mese prima di Pasqua, Francesco ha immesso cinque nuovi cardinali nel consiglio dei nove che dovrebbe aiutarlo nel governo della Chiesa universale. Tutti a lui vicini, chi più chi meno, con in testa il cardinale e gesuita Jean-Claude Hollerich, che ha anche messo a capo del sinodo mondiale con cui vorrebbe cambiare la struttura della Chiesa cattolica, da gerarchica ad assembleare.

Attivissimo nel promuovere un cambio di paradigma nella dottrina cattolica sulla sessualità, Hollerich è effettivamente il cardinale prediletto da Bergoglio, quello in cui molti vedono il successore a lui più gradito. Ma è anche il cardinale più sulla linea del fuoco, assieme allo statunitense Robert McElroy, pure lui amatissimo da Francesco. L’uno e l’altro bollati pubblicamente come “eretici”, proprio per le loro spericolate tesi dottrinali, non da qualche oscuro professore di dogmatica ma da altri cardinali di primissimo piano: ieri l’australiano George Pell e oggi il tedesco Gerhard Müller, già prefetto della congregazione per la dottrina della fede.

Negli Stati Uniti il vescovo di Springfield, Thomas J. Paprocki, ferrato in diritto canonico e presidente della commissione della conferenza episcopale sul governo della Chiesa, ha addirittura argomentato per iscritto, sulla prestigiosa rivista “First Things”, che un cardinale “eretico” è anche automaticamente scomunicato e quindi dovrebbe essere rimosso dal suo ruolo dalla “competente autorità”, che nel suo caso è il papa. Il quale però non agisce, con la paradossale conseguenza che “un cardinale scomunicato ‘latae sententiae’ per eresia potrebbe ugualmente votare in conclave”.

Ad accendere ancor più questo conflitto è stata soprattutto la decisione dei vescovi di Germania e del Belgio di approvare e praticare la benedizione delle coppie omosessuali, vietata dal dicastero per la dottrina della fede, ma poi lasciata correre dal papa che pure aveva inizialmente sottoscritto il divieto. Col risultato che su questa e altre questioni si è scompaginato lo stesso campo progressista: con da un lato Hollerich e McElroy, e dall’altro lato Walter Kasper, storico rivale di Joseph Ratzinger in teologia, e Arthur Roche, prefetto del dicastero per il culto divino e nemico implacabile del rito liturgico antico, entrambi sempre più critici degli eccessi dei novatori, perché “non si può reinventare la Chiesa” col rischio di “cadere in uno scisma”.

Certo, sul piano comunicativo i novatori dominano la scena. Recitano un copione tutto scritto da fuori, dal “mainstream” secolare, che giustamente li premia. Ma poi, quando dentro la Chiesa si va al sodo, si scopre che i novatori non sono maggioranza nemmeno in Europa.

A fine marzo, l’elezione del nuovo presidente della Commissione degli episcopati dell’Unione Europea ha sorpreso molti. Il presidente uscente era il cardinale Hollerich, e per succedergli era in lizza l’arcivescovo di Digione, Antoine Hérouard, uomo di fiducia del papa, che l’aveva già utilizzato per ispezionare e commissariare una diocesi di stampo tradizionalista, quella di Fréjus-Toulon, e il santuario mariano di Lourdes.

Invece l’eletto è stato l’italiano Mariano Crociata, vescovo di Latina, lì confinato da Francesco all’inizio del suo pontificato, per punirlo per come aveva svolto il suo precedente ruolo di segretario generale della conferenza episcopale italiana, giudicata dal papa troppo sorda alle sue aspettative. Una ruggine, questa, che perdura tuttora, visto come Francesco, nel dare udienza alla Commissione ad assemblea conclusa, s’è mostrato freddo col neoeletto Crociata e caloroso invece nel tributare “riconoscenza” a quanto fatto dal suo predecessore Hollerich, che “mai si ferma, mai si ferma!”.

A favore di Crociata ha pesato sicuramente il voto dei vescovi dell’Europa dell’Est. Ma importante è stato anche il ruolo dei vescovi della Scandinavia, autori di una lettera ai loro fedeli sulla questione della sessualità, diffusa nella quinta domenica di Quaresima, che ha avuto una forte risonanza in tutto il mondo proprio per la novità del suo linguaggio e la solidità del suo contenuto, perfettamente in linea con l’antropologia biblica e con la dottrina cattolica che ne deriva, e quindi opposta alle tesi di Hollerich e compagni. Nel recensirla sul quotidiano laico “Domani”, l’ex direttore de “L’Osservatore Romano” e docente di letteratura cristiana antica Giovanni Maria Vian ha ravvisato in questa lettera della piccola cattolicità scandinava il frutto benefico “di quelle minoranze creative presenti nelle società secolarizzate, come aveva già prefigurato oltre mezzo secolo fa il giovane Joseph Ratzinger”.

Niente, insomma, fa presagire che il successore di Francesco possa essere un Hollerich o qualcun altro della cerchia papale. Il cardinale sino-filippino Luis Antonio Gokim Tagle, più volte indicato come papabile, è anche lui da tempo fuori gioco, caduto in disgrazia presso lo stesso Bergoglio.

Ma sono soprattutto i confusi “processi” messi in moto dall’attuale pontefice, con il conseguente, crescente disordine dottrinale e pratico, a pregiudicare l’elezione di un successore che voglia procedere sulla stessa strada.

La fallita riforma della curia, ben manifesta nel processo sul malaffare di Londra che ogni giorno di più rende evidente che il papa tutto sapeva e tutto approvava, e l’accumularsi degli insuccessi nella politica internazionale, dalla Russia al Nicaragua alla Cina – che nei giorni scorsi ha addirittura imposto il “suo” nuovo vescovo di Shanghai senza neppure consultare Roma, in spregio del tanto decantato accordo –, sono anch’essi parte di questo disordine, inesorabilmente destinato a produrre, quando si arriverà al cambio di pontificato, la volontà di segnare una decisa svolta, da parte di un arco molto ampio del collegio dei cardinali, anche tra i nominati da Francesco.

Così come suscitano disagio e critiche le battute a vuoto nell’affrontare la piaga degli abusi sessuali: dal caso del gesuita Marko Ivan Rupnik, tuttora protetto dal papa nonostante la gravità estrema dei fatti accertati, alle dimissioni dalla commissione per la prevenzione di questi misfatti dell’altro gesuita Hans Zollner, uomo chiave di questa commissione voluta e creata da Francesco, eppure scontento di come funziona.

Sullo sfondo di questa confusione era venuta crescendo, nella rosa dei possibili successori, la candidatura del cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della conferenza episcopale italiana.

In lui veniva ravvisato l’uomo capace di proseguire il cammino iniziato da Francesco in forma più amichevole e ordinata, meno monocratica e senza lo sconcertante viavai di aperture e chiusure che caratterizza l’attuale pontificato. A suo sostegno, nella marcia di avvicinamento al conclave, Zuppi può contare sulla formidabile lobby della Comunità di Sant’Egidio, di cui è membro storico. Con accortezza, sia lui che la Comunità hanno sempre evitato di prendere posizioni nette su questioni controverse come l’omosessualità, il clero sposato, le donne prete, la democrazia nella Chiesa, la guerra in Ucraina, con l’effetto di raccogliere qualche consenso anche tra i cardinali più moderati. Il fondatore e capo indiscusso della Comunità, Andrea Riccardi, storico della Chiesa, si guarda bene anche dal formulare giudizi solo positivi sul pontificato e sulla persona di Bergoglio.

Ultimamente, però, la loquacità di Zuppi – espressa in un diluvio di interviste ad imitazione dell’ancor più loquace Francesco – ha reso sempre più evidente l’ambiguità in cui galleggia. Abbonda nelle parole, ma sui temi che dividono sta sul vago. C’è chi l’ha paragonato a Zelig, il camaleontico personaggio inventato da Woody Allen, applaudito da tutti senza mai scomodare nessuno. Troppo poco per legare e sciogliere, sulla terra come in cielo.

 (Fonte: Sandro Magister, Settimo Cielo, 12 Aprile 2023)

 

  

mercoledì 5 aprile 2023

L'altolà Vaticano non ferma la Chiesa tedesca che tira dritto e disobbedisce. Al via l'organismo della discordia


In Germania ormai l'incendi dilaga e il Vaticano non sa più come frenare le spinte riformatrici. Che sia molto di più di una semplice alzata di spalle è sembrato chiaro a tutti quando il Comitato sinodale istituito dai vescovi e dai laici tedeschi inizierà i suoi lavori a novembre, a Essen, nonostante la ferma opposizione di Roma (e del Papa). L'appuntamento è già stato messo in agenda (si terrà dal 10 all'11 di novembre) ed è stato annunciato ufficialmente dalla Conferenza episcopale, con buona pace di alcuni cardinali curiali che avevano fatto arrivare una lettera per frenare quel progetto. Ma la rivoluzione in corso nessuno riesce a frenarla. E i segnali sono tanti.

Per esempio l'ultima presa di posizione (ampiamente condivisa) di un illustre studioso tedesco di liturgia Benedikt Kranemann che ha chiesto pubblicamente l'introduzione delle cerimonie di benedizione per le coppie omosessuali dal momento che la questione è già stata discussa a lungo sia dal punto di vista teologico che pratico nel Cammino Sinodale. «Il che vuol dire – ha aggiunto - che possiamo ora procedere per rendere ufficiali queste cerimonie e inserirle nella liturgia della Chiesa» ha dichiarato in un'intervista al sito di notizie katholisch.de senza tenere conto che la pratica è formalmente vietata dal Papa e dal magistero.

L'obiettivo più clamoroso, tuttavia, è preparare per novembre a Essen il "Consiglio sinodale" vale a dire un organo permanente per la consultazione congiunta tra vescovi e laici su varie questioni di governo. In una lettera inviata a gennaio Papa Francesco aveva respinto l'idea di una struttura del genere visto che avrebbe interferito nell'autorità dei vescovi e intaccato la teologia. La Chiesa non è strutturalmente nata per applicare regole democratiche ed elettive tipiche delle democrazie mature. 

I vescovi tedeschi (alcuni si sono dissociati) hanno però intenzione di andare avanti. L'organismo di governo sarebbe composto da 27 vescovi diocesani, 27 rappresentanti dei laici e altri 20 membri eletti dall'Assemblea sinodale stessa.

Nel frattempo il gruppo cattolico femminile (influentissimo) Maria 2.0, di fronte alla levata di scudi di Roma, ha dichiarato che occorre rendere maggiormente indipendente la Chiesa cattolica tedesca dal Vaticano, facendo notare che in questi quattro anni di dibattiti i laici - uomini e donne - si sono impegnati e si sono espressi a favore di soluzioni capaci di togliere dalle secche la Chiesa in Germania. Il riferimento riguardava l'emorragia di fedeli causata dagli scandali sugli abusi che ormai tocca punte da record. Ogni anno sono circa 200 mila le persone cattoliche che si disiscrivono dalle liste, spesso anche per non pagare le tasse ecclesiastiche la cosiddetta Kirchensteuer o tassa sulle religioni, praticamente il sistema di finanziamento delle religioni in Germania. 

«Proprio adesso che stiamo facendo passi in avanti per fermare questa emorragia causata dagli abusi, Roma pone il suo veto». Il Vaticano nella lettera (approvata da papa Francesco) aveva respinto le richieste di consentire in futuro le benedizioni alle coppie gay, ai laici di celebrare battesimi e predicare durante la messa (tutte funzioni che sono di appannaggio dei consacrati). L'aria che tira non è proprio delle migliori. 


(Fonte: Franca Giansoldati, Il Messaggero, 5 Aprile 2023) 
https://www.ilmessaggero.it/vaticano/papa_francesco_germania_vescovi_donne_coppie_gay_scisma_cammino_sinodale_vaticano-7329813.html