In
occasione del Natale Eugenio Scalfari ci ha proposto su “Repubblica” una
riflessione sui “quattro Vangeli sinottici”. Sarebbe stata anche interessante:
peccato però che i Vangeli sinottici, cioè che scorrono paralleli raccontando
ampiamente gli stessi avvenimenti, siano tre – Marco, Matteo e Luca – mentre il
Vangelo di Giovanni, organizzato diversamente, non è un sinottico.
Se “Repubblica” piange, il “Corriere della Sera” non ride. Rispondendo a un lettore che chiedeva lumi su che cosa s’intende per “religioni del libro”, Sergio Romano ha scritto che il “tratto comune delle tre grandi religioni monoteiste è l’esistenza, per ciascuna di esse, di un libro che contiene le verità rivelate e i precetti del Signore”. Fin qui tutto quasi bene. L’espressione “religioni del libro” è un po’ vecchiotta, e criticata perché rischia di mettere in secondo piano la differenza del cristianesimo – dove Gesù non ha scritto nulla e il suo insegnamento è stato trascritto solo dopo la sua morte – rispetto all’ebraismo e soprattutto all’islam, che è nato intorno a un libro, il Corano, già durante la vita del suo profeta Muhammad. C’è anche chi sostiene – e il dibattito è di attualità in tempi di contestazioni al Santo Padre – che a rigore il protestantesimo, fondato sul principio della “sola Scriptura”, è una religione del libro, ma non il cattolicesimo che, pur dando grande importanza alla Bibbia, né dà altrettanta alla Tradizione e al Magistero vivente del Papa.
Ma queste sono, per così dire, sottigliezze. Molto peggio è quello che, nella risposta di Romano, viene dopo. Quali sono le sacre scritture del cristianesimo, dell’ebraismo e dell’islam? Romano risponde così: “Per gli ebrei è la Bibbia, con particolare riferimento all’Antico Testamento; per i cristiani è il Nuovo Testamento (ma molti protestanti leggono anche l’Antico Testamento); per i musulmani è il Corano. Esistono anche altri libri fra cui la Torah per gli ebrei, gli Atti degli apostoli per i cristiani, gli Hadith (detti autentici del Profeta) per i musulmani”. Quando ho letto questa parte della risposta, sulle prime ho pensato a uno scherzo. Nessuno studente di un corso elementare di storia delle religioni passerebbe un esame sostenendo queste cose, ma forse – nonostante il declino della scuola italiana di cui tanto si parla – neppure uno studente liceale cui alla maturità fosse chiesto qualche riferimento religioso in relazione alla storia o alla filosofia.
Per gli Ebrei la risposta di Romano è perfino offensiva. Gli Ebrei non leggono “la Bibbia con particolare riferimento all’Antico Testamento”. Per loro la Bibbia consiste esclusivamente in quello che i cristiani chiamano Antico Testamento, espressione cristiana che presuppone l’esistenza di un Testamento Nuovo, il quale per gli Ebrei evidentemente non fa parte della Sacra Scrittura. Molto equivoco è anche scrivere che per gli Ebrei “esistono anche altri libri fra cui la Torah”. È vero che la parola “Torah” ha diversi significati. Nel più comune indica i cinque libri della Bibbia che i cristiani chiamano Pentateuco, che non sono “altri libri” rispetto alla Bibbia ma parte di essa. Alcuni usano “Torah” come sinonimo di “Bibbia” (ebraica): anche in questo caso non è un altro libro, è lo stesso. Forse Romano voleva fare riferimento all’uso di Torah per indicare la Tradizione orale dell’ebraismo: che però in questo caso non è un libro, anche se è confluita in libri, fra cui il Talmud. O forse Romano ha semplicemente confuso “Torah” con “Talmud”.
Non se la passano troppo meglio i musulmani, per cui certamente le varie raccolte di detti del Profeta (Hadith), opera di uomini per quanto saggi e autorevoli, non stanno certamente sullo stesso piano del Corano, che è uscito direttamente e perfettamente dalle mani di Dio.
Ma chi sta peggio di tutti, nella risposta di Romano, sono i cristiani. La Sacra Scrittura dei cristiani – cattolici, ortodossi e protestanti – non è il Nuovo Testamento. È la Bibbia, di cui l’Antico Testamento fa parte integrante. La toppa poi secondo “molti protestanti leggono anche l’Antico Testamento” è peggiore del buco. Implica non solo che ci siano protestanti, magari “pochi”, che non leggono l’Antico Testamento, il che fa torto al grande amore dei protestanti per la Bibbia – tutta la Bibbia – ma sembra anche escludere che i cattolici e gli ortodossi considerino parte della Sacra Scrittura, o addirittura “leggano” il Vecchio Testamento. Naturalmente non è così e se Romano fosse andato qualche volta a una Messa cattolica avrebbe sentito proclamare brani dell’Antico Testamento nella prima lettura e ascoltato l’assemblea pregare con il salmo responsoriale. Anche i salmi fanno parte dell’Antico Testamento e non del Nuovo.
È vero poi che i cristiani considerano parte della Scrittura gli Atti degli apostoli. Ma non come un “altro libro” rispetto al Nuovo Testamento, dal momento che gli Atti ne sono parte, così come le lettere di Paolo, le lettere cattoliche di Pietro, Giacomo, Giovanni e Giuda, e l’Apocalisse.
Si potrebbero derubricare le uscite di Scalfari e di Romano a incidenti di percorso. Certamente tolgono poco alla loro fama e carriera di illustri giornalisti. Ma costituiscono una spia del modo con cui una certa cultura laica italiana guarda al cristianesimo e alla religione in genere. Soprattutto grazie a Papa Francesco la Chiesa intriga, incuriosisce, riscuote anche una certa simpatia. E a causa del conflitto in Medio Oriente e della presenza di un terrorismo ultra-fondamentalista che nasce in seno al mondo islamico (pur rappresentandone una fazione molto minoritaria) anche l’ebraismo e l’islam beneficiano di maggiore attenzione. Ma questa attenzione resta molto superficiale. Anche firme celebri di grandi giornali sembrano avere informazioni di terza mano sulla religione, quando basterebbe una rapida lettura di Wikipedia – che pure ha tutti i suoi limiti – per evitare svarioni. L’analfabetismo religioso che oggi è oggetto di seri studi sociologici in Italia non è diffuso solo fra le persone con un’educazione limitata. Contagia anche le élite.
È importante? Il mondo, certo, ha problemi maggiori. Tuttavia non si può veramente comprendere quello che non si conosce. La stragrande maggioranza delle persone del mondo professa una religione. Gli atei e gli agnostici, per quanto rumorosi, rimangono una minoranza, diffusa soprattutto in Occidente: come rivelano molte ricerche, al di là dei sondaggi di regime, in Cina la grande maggioranza della popolazione crede in una vita dopo la morte e in un influsso di potenze divine sulla vita quaggiù. Anche molti dei grandi conflitti politici e delle guerre, pur non essendo a rigore “guerre di religione”, hanno componenti religiose. L’arte, perfino quella moderna, non può neppure cominciare a essere capita senza la spiritualità e la religione. I grandi giornali danno l’esempio e creano opinione. Tra i propositi per l’anno nuovo, forse qualcuno dovrebbe includere quello di studiare un po’ di più le religioni.
Se “Repubblica” piange, il “Corriere della Sera” non ride. Rispondendo a un lettore che chiedeva lumi su che cosa s’intende per “religioni del libro”, Sergio Romano ha scritto che il “tratto comune delle tre grandi religioni monoteiste è l’esistenza, per ciascuna di esse, di un libro che contiene le verità rivelate e i precetti del Signore”. Fin qui tutto quasi bene. L’espressione “religioni del libro” è un po’ vecchiotta, e criticata perché rischia di mettere in secondo piano la differenza del cristianesimo – dove Gesù non ha scritto nulla e il suo insegnamento è stato trascritto solo dopo la sua morte – rispetto all’ebraismo e soprattutto all’islam, che è nato intorno a un libro, il Corano, già durante la vita del suo profeta Muhammad. C’è anche chi sostiene – e il dibattito è di attualità in tempi di contestazioni al Santo Padre – che a rigore il protestantesimo, fondato sul principio della “sola Scriptura”, è una religione del libro, ma non il cattolicesimo che, pur dando grande importanza alla Bibbia, né dà altrettanta alla Tradizione e al Magistero vivente del Papa.
Ma queste sono, per così dire, sottigliezze. Molto peggio è quello che, nella risposta di Romano, viene dopo. Quali sono le sacre scritture del cristianesimo, dell’ebraismo e dell’islam? Romano risponde così: “Per gli ebrei è la Bibbia, con particolare riferimento all’Antico Testamento; per i cristiani è il Nuovo Testamento (ma molti protestanti leggono anche l’Antico Testamento); per i musulmani è il Corano. Esistono anche altri libri fra cui la Torah per gli ebrei, gli Atti degli apostoli per i cristiani, gli Hadith (detti autentici del Profeta) per i musulmani”. Quando ho letto questa parte della risposta, sulle prime ho pensato a uno scherzo. Nessuno studente di un corso elementare di storia delle religioni passerebbe un esame sostenendo queste cose, ma forse – nonostante il declino della scuola italiana di cui tanto si parla – neppure uno studente liceale cui alla maturità fosse chiesto qualche riferimento religioso in relazione alla storia o alla filosofia.
Per gli Ebrei la risposta di Romano è perfino offensiva. Gli Ebrei non leggono “la Bibbia con particolare riferimento all’Antico Testamento”. Per loro la Bibbia consiste esclusivamente in quello che i cristiani chiamano Antico Testamento, espressione cristiana che presuppone l’esistenza di un Testamento Nuovo, il quale per gli Ebrei evidentemente non fa parte della Sacra Scrittura. Molto equivoco è anche scrivere che per gli Ebrei “esistono anche altri libri fra cui la Torah”. È vero che la parola “Torah” ha diversi significati. Nel più comune indica i cinque libri della Bibbia che i cristiani chiamano Pentateuco, che non sono “altri libri” rispetto alla Bibbia ma parte di essa. Alcuni usano “Torah” come sinonimo di “Bibbia” (ebraica): anche in questo caso non è un altro libro, è lo stesso. Forse Romano voleva fare riferimento all’uso di Torah per indicare la Tradizione orale dell’ebraismo: che però in questo caso non è un libro, anche se è confluita in libri, fra cui il Talmud. O forse Romano ha semplicemente confuso “Torah” con “Talmud”.
Non se la passano troppo meglio i musulmani, per cui certamente le varie raccolte di detti del Profeta (Hadith), opera di uomini per quanto saggi e autorevoli, non stanno certamente sullo stesso piano del Corano, che è uscito direttamente e perfettamente dalle mani di Dio.
Ma chi sta peggio di tutti, nella risposta di Romano, sono i cristiani. La Sacra Scrittura dei cristiani – cattolici, ortodossi e protestanti – non è il Nuovo Testamento. È la Bibbia, di cui l’Antico Testamento fa parte integrante. La toppa poi secondo “molti protestanti leggono anche l’Antico Testamento” è peggiore del buco. Implica non solo che ci siano protestanti, magari “pochi”, che non leggono l’Antico Testamento, il che fa torto al grande amore dei protestanti per la Bibbia – tutta la Bibbia – ma sembra anche escludere che i cattolici e gli ortodossi considerino parte della Sacra Scrittura, o addirittura “leggano” il Vecchio Testamento. Naturalmente non è così e se Romano fosse andato qualche volta a una Messa cattolica avrebbe sentito proclamare brani dell’Antico Testamento nella prima lettura e ascoltato l’assemblea pregare con il salmo responsoriale. Anche i salmi fanno parte dell’Antico Testamento e non del Nuovo.
È vero poi che i cristiani considerano parte della Scrittura gli Atti degli apostoli. Ma non come un “altro libro” rispetto al Nuovo Testamento, dal momento che gli Atti ne sono parte, così come le lettere di Paolo, le lettere cattoliche di Pietro, Giacomo, Giovanni e Giuda, e l’Apocalisse.
Si potrebbero derubricare le uscite di Scalfari e di Romano a incidenti di percorso. Certamente tolgono poco alla loro fama e carriera di illustri giornalisti. Ma costituiscono una spia del modo con cui una certa cultura laica italiana guarda al cristianesimo e alla religione in genere. Soprattutto grazie a Papa Francesco la Chiesa intriga, incuriosisce, riscuote anche una certa simpatia. E a causa del conflitto in Medio Oriente e della presenza di un terrorismo ultra-fondamentalista che nasce in seno al mondo islamico (pur rappresentandone una fazione molto minoritaria) anche l’ebraismo e l’islam beneficiano di maggiore attenzione. Ma questa attenzione resta molto superficiale. Anche firme celebri di grandi giornali sembrano avere informazioni di terza mano sulla religione, quando basterebbe una rapida lettura di Wikipedia – che pure ha tutti i suoi limiti – per evitare svarioni. L’analfabetismo religioso che oggi è oggetto di seri studi sociologici in Italia non è diffuso solo fra le persone con un’educazione limitata. Contagia anche le élite.
È importante? Il mondo, certo, ha problemi maggiori. Tuttavia non si può veramente comprendere quello che non si conosce. La stragrande maggioranza delle persone del mondo professa una religione. Gli atei e gli agnostici, per quanto rumorosi, rimangono una minoranza, diffusa soprattutto in Occidente: come rivelano molte ricerche, al di là dei sondaggi di regime, in Cina la grande maggioranza della popolazione crede in una vita dopo la morte e in un influsso di potenze divine sulla vita quaggiù. Anche molti dei grandi conflitti politici e delle guerre, pur non essendo a rigore “guerre di religione”, hanno componenti religiose. L’arte, perfino quella moderna, non può neppure cominciare a essere capita senza la spiritualità e la religione. I grandi giornali danno l’esempio e creano opinione. Tra i propositi per l’anno nuovo, forse qualcuno dovrebbe includere quello di studiare un po’ di più le religioni.
(Fonte:
Massimo Introvigne, Il mattino di Napoli, 31 dicembre 2016)