Prima di lasciarvi alla lettura dell’articolo a firma Daniela Minerva, pubblicato su L’Espresso del 22 aprile 2010, volevo inquadrare un attimo la figura dell’intervistato. Vito Mancuso è un teologo italiano, docente di Teologia moderna e contemporanea presso la Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano. I suoi scritti suscitano notevole attenzione nel pubblico, forse proprio perché innescano critiche, discussioni e polemiche per la posizione non sempre allineata con le gerarchie ecclesiastiche, sia in campo etico sia in campo strettamente dogmatico. È editorialista del quotidiano “la Repubblica”. Dopo il liceo classico statale a Desio (Milano), ha iniziato lo studio della teologia nel Seminario arcivescovile di Milano dove al termine del quinquennio ha conseguito il Baccellierato, primo grado accademico in quella disciplina, ed è stato ordinato sacerdote dal cardinale Carlo Maria Martini all’età di 23 anni e sei mesi. A distanza di un anno, però, ha chiesto di essere dispensato dalla vita sacerdotale e di dedicarsi solo allo studio della teologia. Dietro indicazione del cardinal Martini ha vissuto due anni a Napoli presso il teologo Bruno Forte (attuale arcivescovo di Chieti e Presidente della Commissione Episcopale per la Dottrina della Fede della Cei), sotto la cui direzione ha conseguito il secondo grado accademico, la Licenza, presso la Facoltà Teologica “San Tommaso d’Aquino”.
Ha quindi iniziato a lavorare in editoria (Piemme, Mondadori, San Paolo, ancora Mondadori) proseguendo lo studio della teologia per il terzo e conclusivo grado accademico, il Dottorato, conseguito nel 1996.
Ricevuta la dispensa papale a seguito dell'abbandono del presbiterato, è tornato allo stato laicale e si è sposato con Jadranka Korlat, ingegnere civile e dal loro matrimonio sono nati due figli.
Dal 2009 è editorialista di “la Repubblica”, ma scrive anche per Avvenire, Panorama, Corriere della Sera. Nel 2008 è stato collaboratore de “Il Foglio”. È saltuario ospite di contenitori TV del tipo “Che tempo che fa” di Fabio Fazio, “L’Infedele” di Gad Lerner), “Le Storie” di Corrado Augias, “Otto e mezzo” di Giuliano Ferrara, il “Maurizio Costanzo Show” ecc.
Per Rai Tre ha inoltre curato cinque puntate della rubrica “Damasco” con trasmissioni su Pavel Florenskij, Dietrich Bonhoeffer, Simone Weil, Etty Hillesum, Pierre Teilhard de Chardin. Sul suo sito personale riporta, con compiaciuta evidenza, questo giudizio (evidentemente per lui molto qualificante): “L’autore intende il suo essere cattolico nel senso più radicale del termine, cattolico in quanto universale, perché un pensiero è autenticamente cattolico non tanto se obbedisce supinamente ai dettati del magistero romano, ma se ha a cuore il bene e la vita di tutti”.
Una definizione invece quanto meno singolare, da prendere con le dovute cautele.
Ciò premesso, ecco il testo dell’intervista, in cui al nostro non par vero di poter sparare a raffica le sue solite, ripetitive, bordate. L’incipit dell’intervistatrice non è del resto da meno, e si allinea fedelmente con il Pensiero (con la P maiuscola!) del vate (non poteva essere diversamente!):
«È la figura sfuocata di un papa vecchio, minuto. Troppo spesso stonato con un mondo che non capisce, che gli sfugge di mano, che sembra interessarlo poco. In cinque anni di pontificato, Benedetto XVI ha spinto la sua Chiesa verso un regno che non c'è più. Ha voltato le spalle alle grandi questioni della modernità. Ha deluso milioni di cattolici. Per accarezzare l'intelligenza di pochi che cercano nella sua teologia antica una cintura di salvataggio dal mondo. Le lacrime di Malta raccontano anche questo, non solo il suo dolore per la "Chiesa peccatrice". Perché, mentre Benedetto celebra, e a volte lo fa, le sue messe in latino voltando fisicamente le spalle ai fedeli, la Chiesa universale si sfrangia umiliata dallo scandalo dei preti pedofili, assordata dalle troppe voci dissonanti dell'Africa che non riesce a chiedere il celibato ai suoi preti, dei giovani disorientati da una morale sessuale incongrua, dei vescovi europei lacerati da un magistero che pende verso i lefebvriani e ignora il dialogo coi luterani. E sono in molti ormai a parlare apertamente di un travaglio che rischia di non ricomporsi. Tra di loro anche il teologo Vito Mancuso, professore all'Università Vita-Salute di Milano, che se lo spiega così.
D. Professor Mancuso, il pontificato di Benedetto XVI è al centro di una bufera che ha portato allo scoperto una crisi d'identità senza precedenti, almeno nel nostro tempo. Perché? E con quali conseguenze?
"Questo travaglio legato allo scandalo della pedofilia è qualcosa di unico nella storia della Chiesa, almeno negli ultimi 200 anni. Un pericolo così grande di perdita di credibilità non c'è mai stato, la statura morale del pontefice non è mai stata così compromessa. Ed è quella che conta, che àncora le anime dei fedeli. E dà forza, per parafrasare Stalin, alle divisioni del papa".
D. Perché è esplosa proprio oggi?
"Perché non si poteva più tacere, occultare, insabbiare. È stato monsignor Stephan Ackermann, vescovo di Treviri, responsabile della Conferenza episcopale tedesca a usare le parole “occultamento” e “ insabbiamento”; e André-Mutien Léonard, vescovo di Bruxelles e primate del Belgio, ha parlato di “colpevole silenzio”. Un silenzio posto dalla lettera dell'allora cardinale Joseph Ratzinger nel 1991 con la quale si è coperto lo scandalo. È vero che le decisioni prese in questi giorni sono ineccepibili, ma drammaticamente tardive".
D. Lo scandalo ha detonato una crisi più profonda o si chiude in se stesso?
"Certamente è in corso un conflitto enorme. Noi dobbiamo capire qual è la stagione storica in cui si colloca il pontificato di Benedetto XVI: quella del Concilio Vaticano II, celebrato tra il 1962 e il 1965. Il Concilio ha posto le premesse per chiudere quattro secoli di Controriforma, secoli nei quali l'identità cattolica si concepiva in contrapposizione al mondo lasciando fuori le idee nuove e le esperienze dei fedeli, e aprire il tempo della Riforma, durante la quale l'identità cattolica si costruisce col mondo, con la vita reale delle persone. Per valutare l'opera di Benedetto XVI bisogna partire da qui, dal criterio oggettivo che lui stesso ha indicato quando ha detto che l'orientamento del suo pontificato sarebbe stata la realizzazione del Vaticano II, che egli ha definito la bussola per orientarsi nel Terzo millennio. Ma, se questo è il criterio oggettivo, non mi pare che il bilancio del pontificato sia entusiasmante. E i dati indicano la progressiva perdita di fiducia dei fedeli: in Germania un cattolico su quattro sta pensando di lasciare la Chiesa. Lo stesso crollo si ha negli Usa. Benedetto è il pontefice di una Chiesa che sta diventando un club per pochi".
D. Quali sono stati gli errori più gravi del suo pontificato?
"Pensiamo al rapporto con le altre religioni: è un fronte strategico. Oggi il papa è chiamato soprattutto a essere un grande maestro di spiritualità: il nostro mondo ne ha bisogno per unire, armonizzare le religioni e favorire la pace. È invece sotto gli occhi di tutti come, nei cinque anni di pontificato di Ratzinger, il rapporto con l'Islam non abbia fatto passi avanti. Come le relazioni con gli ebrei siano peggiorate: non passa giorno che non se ne abbiano segni concreti. Infine, è significativo che il papa non abbia mai incontrato il Dalai Lama, che è venuto in questi anni due volte a Roma e che Giovanni Paolo II aveva incontrato nove volte. Si usa dire che questo è accaduto per evitare persecuzioni dei cattolici in Cina, ma delle due l'una: o Giovanni Paolo era uno sprovveduto e ha esposto i fedeli cinesi, o Benedetto prova un profondo disagio nei confronti di un vero dialogo interreligioso".
D. Hans Küng chiede un concilio Vaticano III: per che fare?
"Per attuare il Vaticano II. Ma perché diciamo Vaticano III? Non potrebbe essere Kinshasa o Rio I?".
D. Ovunque si celebri, concretamente a cosa servirebbe?
"A cambiare il governo della Chiesa e far sì che la monarchia medioevale, tridentina, accentrata sul pontefice possa essere superata da un effettivo potere delle conferenze episcopali. Mimetico a come era il collegio degli Apostoli dove Pietro era sì il primo, ma Paolo si poteva opporre frontalmente ".
D. E chi è oggi Paolo?
"Non c'è. E questo è stato il grande limite del pontificato di Giovanni Paolo II che ha selezionato la dirigenza della Chiesa sulla base della fedeltà a lui stesso e a Roma. Così non ci sono voci forti e nuove che chiedano l'apertura al mondo".
D. Per questo viene da chiedersi: cosa cambierebbe un nuovo Concilio?
"Quando gli uomini sono isolati fanno fatica a esprimere opinioni divergenti rispetto alla dottrina ufficiale; sentono il disagio ma da soli non riescono a uscire allo scoperto. L'evento collegiale permette al disagio di esprimersi. E ai singoli di parlare senza essere tacciati di eresia, di apostasia. Questo è il problema della Chiesa: ogni minimo dissenso appare un tradimento, e il Concilio è invece il luogo dove il dissenso si può esprimere".
D. Suggerisce che la maggioranza dei cattolici non si riconosce più nel magistero?
"L'anima cattolica nel nostro tempo è divisa. Il problema di fondo è il rapporto tra la fede cristiana e il mondo come ha cominciato a delinearsi a partire dall'epoca moderna. Bisogna tornare al 17 febbraio del 1600".
D. È un po' lontano.
"Ma è il giorno del rogo di Giordano Bruno, l'inizio ideale della chiusura che ci angustia oggi. L'inizio del tempo nel quale la Chiesa ha chiuso la porta alle idee nuove. Il Concilio Vaticano II ha invertito la rotta aprendo alle possibilità introdotte dal progresso politico-sociale e scientifico. Così oggi i cattolici sono divisi tra coloro i quali capiscono che il dettato dottrinale è contrario allo spirito dei tempi, e chiedono che sia rivisto scegliendo come ultima voce guida l'esperienza che essi fanno nelle loro vite e coloro i quali, invece, vogliono che siano le acquisizioni dottrinali accumulate nei secoli a guidare l'azione, e si pongono in un'eroica contrapposizione col mondo. Ecco: Benedetto XVI è incapace di vedere che l'anima cattolica si compone di queste due dimensioni".
D. Sta parlando di uno scisma?
"Lo scisma nasce da qui, Benedetto è il papa che legittima unicamente la linea conservatrice. E non è questo che un pontefice dovrebbe fare".
D. Il governo della Chiesa, il dialogo interreligioso sono temi gravi, ma ciò che viene continuamente al pettine è l'incongruità della morale sessuale della Chiesa. Sulla quale, però, il Concilio ha taciuto.
"Il grande limite di Paolo VI nella conduzione del Vaticano II fu di togliere all'assise conciliare la materia, la facoltà di esprimersi al riguardo. Mentre la morale sessuale è grande parte del magistero della Chiesa. Forse papa Montini aveva il concretissimo timore che lo strappo dalla tradizione sarebbe stato troppo forte e devastante. Comunque sia egli lo eliminò dall'agenda del Concilio e convocò una commissione di esperti per decidere sulla contraccezione. Ma quando giunsero i risultati che erano a favore dell'uso del preservativo, li mise da parte".
D. Non solo: promulgò l'Humanae Vitae nella quale negava la liceità della contraccezione. Siamo ancora lì?
"Oggi la Chiesa Cattolica ha una teologia rinnovata per quanto riguarda la dottrina sociale e, in merito all'economia, alla finanza, ai temi dell'immigrazione riesce a essere un'effettiva maestra di umanità. Ma ha una teologia arretrata in materia di morale individuale. Così quando parla di sessualità non riesce a interpretare lo spirito dei nostri tempi, e non riesce a essere maestra neppure per gli stessi cattolici".
D. Esiste una questione femminile nella Chiesa?
"Certo che sì. E attualizza quanto dicevo prima. Ormai è evidente che le donne sono protagoniste, nella politica, nel mondo del lavoro, persino nei carabinieri. La Chiesa Cattolica si segnala come eccezione a riguardo. E così non riesce a parlare ai nostri tempi: la sensibilità femminile potrebbe provocare una rivoluzione epocale, porterebbe aria fresca. Ma non solo: lasciando fuori le donne la Chiesa è infedele a Gesù che, contrariamente alla prassi rabbinica del tempo, privilegiava enormemente le donne. Il Vangelo di Luca dice che con Lui c'erano non solo i 12, ma molte donne, in un concilio apostolico misto. E sono state le donne a vederlo per prime risorto. Nell'escluderle la Chiesa Cattolica ha tradito il suo fondatore".
D. La Chiesa si è costruita come un mondo senza donne, e con pastori celibi. Esiste un nesso tra celibato e pedofilia?
"È difficile pensare che non ci sia. D'altro lato è ingiusto ridurre tutto a quello. Le statistiche dicono che la gran parte dei pedofili agisce tra le mura domestiche, uomini sposati. Sul celibato, invece, occorre dire qualcosa di più concreto: serve? O piuttosto aggrava una situazione di crisi delle vocazioni che scarica sui preti un superlavoro che non fa bene a nessuno? Mancano i sacerdoti e si accorpano le parrocchie che arrivano a servire anche 30 mila persone. Il prete può in questo modo esercitare il suo ministero che dovrebbe essere quello della cura dei singoli? Ovviamente no. Guardando queste cose, si dovrebbero prendere decisioni che hanno a cuore il vero bene della Chiesa".
D. In questa prospettiva, la vicinanza con le chiese riformate è enorme.
"E non bisognerebbe arrivare proprio a quello? Non bisognerebbe arrivare all'unità assumendo nella nostra prospettiva ciò che di buono le chiese protestanti hanno fatto? E viceversa. Io credo che la figura del papa sia quanto mai importante nel nostro mondo, che ci sia bisogno di una figura di sintesi che garantisca l'unità; e il mondo protestante, afflitto dal proliferare continuo di nuove chiese, avrebbe tutto da guadagnare in una figura di questo genere. Non bisogna aver paura" (Daniela Minerva, L’Espresso, 22 aprile 2010)
A questo punto, viene spontaneo chiedersi: secondo quale criterio questo Vito Mancuso è così celebrato in certi ambienti ecclesiastici? Capisco che sia considerato il sacro vate di La Repubblica, capisco che sia osannato negli ambienti radical chic del più acceso anticlericalismo – rientra tutto nei giochi – ma che possa avere un seguito anche tra i cattolici, lui, il cattolico più anticattolico dei nostri giorni, beh, questo proprio non lo capisco.
Eppure non ci vuol molto a percepire il suo stantio livore di prete spretato, nei confronti dell’autorità gerarchica, che trasuda da ogni pagina dei suoi scritti! Del resto, l’impudenza orgiastica del proprio io che ne emerge imperiosa, il voler dimostrare una verità tutta sua e indimostrabile, l’ergersi a supremo giudice dell’autentica teologia cattolica, il suo costante atteggiamento di sprezzante superiorità nel dissentire dalle direttive del magistero, hanno comunque contribuito a declassarlo nella rappresentanza significativa dei teologi italiani ad autorucolo di serie B, spocchioso, preoccupato soltanto di trovare una sua collocazione nell’olimpo dei “grandi pensatori del dissenso”, perlopiù “fuoriusciti” come lui, in buona compagnia di quella frangia di laici anticlericali, radicali e indigesti; voglioso di apparire ad ogni costo, calca le scene di giornali, riviste, e trasmissioni televisive a lui congeniali, gestite dai suoi amichetti della nomenklatura laica e mangiapreti.
Quando parlo ai miei studenti di una “obnubilazione mentale”, o addirittura di una completa “vacatio intellectus”, come fenomeno ricorrente in molti teologi progressisti del post Concilio (del cui spirito nelle loro disquisizioni dimostrano di non averne assorbito assolutamente nulla), li vedo inizialmente sbarrare gli occhi, increduli e scandalizzati; salvo poi cogliere dal loro sguardo – sulla scorta delle successive argomentazioni – il progressivo e decisivo passaggio dallo scetticismo iniziale alla consapevole approvazione del mio asserto. Ebbene: penso che anche in questo caso il lettore, qualunque lettore, anche quello meno introdotto nelle problematiche teologiche, sarà comunque in grado di cogliere agevolmente del teologo Mancuso la sua “disinvoltura” dottrinale e l’insolenza di certi sui giudizi sul Papa e sulla Chiesa.
(Mario, administrator, 28 aprile 2010)
giovedì 29 aprile 2010
In ginocchio c'e' la chiesa dei "credibili"
Parto da un episodio che mi è capitato stamani. Vado in edicola a comprare il giornale e ritrovo, dopo anni, una mia vecchia conoscenza, una coetanea, oggi docente come me. Ci riconosciamo e ci salutiamo. Non siamo stati compagni di classe, ma militavamo nelle associazioni cattoliche: lei nell’Azione Cattolica, io in C.L. Lei ha appena comprato “Il fatto quotidiano”. Io chiedo “Avvenire”. E in questa scelta differente c’è tutta una storia.
C’è stata una generazione di cattolici che ha interpretato il cristianesimo prima di tutto come una morale. I ragazzi che conoscevo ieri, oggi sono cresciuti, ma non si sono spostati di una virgola. Oggi hanno bisogno di Travaglio e del suo giornaletto, che sprizza moralismo dalla prima all’ultima pagina. Costoro mettevano sempre avanti a tutto, prima di tutto, la necessità di “essere testimoni credibili”. Essere “credibile”... come se la gente si convertisse perché incontra un “cristiano onesto”! Come se Gesù Cristo avesse scelto, per fare la Chiesa, dei personaggi “credibili”, “coerenti”, tutti d’un pezzo (sappiamo tutti che bella figura faccia Pietro, il primo Papa, nei Vangeli!); come se Gesù quel giorno, sulla riva del lago, invece di fare a Pietro quella domanda perentoria, sconvolgente e commovente (“mi ami?”) gli avesse chiesto, per tre volte, un ben più banale “Sei stato onesto?”. Non è sulla coerenza che l’ha esaminato, ma sull’amore. E’ un’altra cosa, un altro mondo.
Il Cristianesimo, ce l’ha ricordato questo grande Papa, non è una morale, ma un fatto che s’incontra, con cui ci confronta e, anche, ci si scontra. Dio non si è incarnato per darci un manuale delle istruzioni, ma per essere una pietra angolare. E’ per questo che, oggi come oggi, non sono affatto preoccupato per i casi di pedofilia che divampano nella Chiesa. A parte che si tratta di una percentuale davvero trascurabile (se sembra il contrario è solo perché la stampa la fa apparire gigantesca), non sono nelle deviazioni e nei peccati dei suoi figli i gravi pericoli per la Chiesa. Il vero problema è nel fatto che ci sono troppi uomini nei posti chiave, troppi pastori d’anime che sono cresciuti nella deformazione di cui si diceva. Sono troppi quelli che vedono il cristianesimo come una morale o, peggio, come una ricetta sociale per risolvere i problemi degli “ultimi”.
Un grande santo che è per me un punto di riferimento ebbe a dire che il problema principale della Chiesa di oggi è nel fatto che si “vergogna di Cristo”. Il vero problema è sentire un vescovo che in mezz’ora di predica non pronuncia mai la parola Gesù e si perde in analisi sociologiche, da professore universitario. E’ da troppo tempo che i “cristiani credibili”, o, se preferite, i “cristiani adulti” (che è lo stesso), hanno ridotto l’annuncio straordinario e affascinante del Vangelo ad un “beati gli onesti e i bravi”. E mentre si predicava questo, in una comoda conciliazione con il mondo (che è anche capace di applaudire volentieri la persona “coerente”), si proponeva un cristianesimo meramente terreno, fatto di “valori” sociali e civili, senza un richiamo forte al Mistero divino, le cui vie non sono le nostre. E così questi cristiani “credibili” si ritrovarono, e si ritrovano, ad appoggiare tutte le peggiori eresie che oggi hanno riempito la terra. E nelle loro scelte anche politiche si sono trovati sempre dalla parte di una cultura profondamente anticristiana. Hanno votato in favore del divorzio e dell’aborto. Oggi appoggiano lo svuotamento della famiglia fondata sul matrimonio e sono disponibili (perché pacifici, educati e comprensivi) anche a cedere di qualche metro sull’eutanasia. Strano. Evidentemente l’uomo, la sua identità, la sua dignità, il suo essere figlio di Dio, viene dopo il comportamento, la morale, le buone maniere, la coerenza.
Oggi questa Chiesa del moralismo sente montare la marea di fango, che minaccia di soffocarla. Questa Chiesa del moralismo, che ha predicato prima di tutto un cristianesimo “coerente” e “credibile”, viene spazzata via dall’assalto concentrico del Potere planetario.
Fortunatamente accanto a questa generazione, nella Chiesa ve ne è un’altra che non ha come primo scopo quello di salvarsi l’anima attraverso una condotta esemplare e che non crede che la testimonianza passi, prima di tutto, attraverso le buone maniere e la rispettabilità sociale. La Chiesa non è una congrega di “perfetti”, ma una povera famiglia di peccatori. Che però hanno una letizia dentro il cuore che gli altri uomini non hanno. Una letizia che nasce dall’incontro con Gesù e dal conforto della Sua presenza.
Questa Chiesa soffre per il peccato che commette, chiede umilmente scusa e paga i propri debiti, ma va avanti con coraggio e umiltà, resiste nella prova, perché sa di portare in sé Colui che è via, verità e vita. Perché sa che la salvezza del mondo passa per quello straordinario annuncio che essa non può non diffondere, addirittura, come è già accaduto più volte nella storia, anche attraverso la propria debolezza.
(Fonte: Gianluca Zappa, 23 aprile 2010)
C’è stata una generazione di cattolici che ha interpretato il cristianesimo prima di tutto come una morale. I ragazzi che conoscevo ieri, oggi sono cresciuti, ma non si sono spostati di una virgola. Oggi hanno bisogno di Travaglio e del suo giornaletto, che sprizza moralismo dalla prima all’ultima pagina. Costoro mettevano sempre avanti a tutto, prima di tutto, la necessità di “essere testimoni credibili”. Essere “credibile”... come se la gente si convertisse perché incontra un “cristiano onesto”! Come se Gesù Cristo avesse scelto, per fare la Chiesa, dei personaggi “credibili”, “coerenti”, tutti d’un pezzo (sappiamo tutti che bella figura faccia Pietro, il primo Papa, nei Vangeli!); come se Gesù quel giorno, sulla riva del lago, invece di fare a Pietro quella domanda perentoria, sconvolgente e commovente (“mi ami?”) gli avesse chiesto, per tre volte, un ben più banale “Sei stato onesto?”. Non è sulla coerenza che l’ha esaminato, ma sull’amore. E’ un’altra cosa, un altro mondo.
Il Cristianesimo, ce l’ha ricordato questo grande Papa, non è una morale, ma un fatto che s’incontra, con cui ci confronta e, anche, ci si scontra. Dio non si è incarnato per darci un manuale delle istruzioni, ma per essere una pietra angolare. E’ per questo che, oggi come oggi, non sono affatto preoccupato per i casi di pedofilia che divampano nella Chiesa. A parte che si tratta di una percentuale davvero trascurabile (se sembra il contrario è solo perché la stampa la fa apparire gigantesca), non sono nelle deviazioni e nei peccati dei suoi figli i gravi pericoli per la Chiesa. Il vero problema è nel fatto che ci sono troppi uomini nei posti chiave, troppi pastori d’anime che sono cresciuti nella deformazione di cui si diceva. Sono troppi quelli che vedono il cristianesimo come una morale o, peggio, come una ricetta sociale per risolvere i problemi degli “ultimi”.
Un grande santo che è per me un punto di riferimento ebbe a dire che il problema principale della Chiesa di oggi è nel fatto che si “vergogna di Cristo”. Il vero problema è sentire un vescovo che in mezz’ora di predica non pronuncia mai la parola Gesù e si perde in analisi sociologiche, da professore universitario. E’ da troppo tempo che i “cristiani credibili”, o, se preferite, i “cristiani adulti” (che è lo stesso), hanno ridotto l’annuncio straordinario e affascinante del Vangelo ad un “beati gli onesti e i bravi”. E mentre si predicava questo, in una comoda conciliazione con il mondo (che è anche capace di applaudire volentieri la persona “coerente”), si proponeva un cristianesimo meramente terreno, fatto di “valori” sociali e civili, senza un richiamo forte al Mistero divino, le cui vie non sono le nostre. E così questi cristiani “credibili” si ritrovarono, e si ritrovano, ad appoggiare tutte le peggiori eresie che oggi hanno riempito la terra. E nelle loro scelte anche politiche si sono trovati sempre dalla parte di una cultura profondamente anticristiana. Hanno votato in favore del divorzio e dell’aborto. Oggi appoggiano lo svuotamento della famiglia fondata sul matrimonio e sono disponibili (perché pacifici, educati e comprensivi) anche a cedere di qualche metro sull’eutanasia. Strano. Evidentemente l’uomo, la sua identità, la sua dignità, il suo essere figlio di Dio, viene dopo il comportamento, la morale, le buone maniere, la coerenza.
Oggi questa Chiesa del moralismo sente montare la marea di fango, che minaccia di soffocarla. Questa Chiesa del moralismo, che ha predicato prima di tutto un cristianesimo “coerente” e “credibile”, viene spazzata via dall’assalto concentrico del Potere planetario.
Fortunatamente accanto a questa generazione, nella Chiesa ve ne è un’altra che non ha come primo scopo quello di salvarsi l’anima attraverso una condotta esemplare e che non crede che la testimonianza passi, prima di tutto, attraverso le buone maniere e la rispettabilità sociale. La Chiesa non è una congrega di “perfetti”, ma una povera famiglia di peccatori. Che però hanno una letizia dentro il cuore che gli altri uomini non hanno. Una letizia che nasce dall’incontro con Gesù e dal conforto della Sua presenza.
Questa Chiesa soffre per il peccato che commette, chiede umilmente scusa e paga i propri debiti, ma va avanti con coraggio e umiltà, resiste nella prova, perché sa di portare in sé Colui che è via, verità e vita. Perché sa che la salvezza del mondo passa per quello straordinario annuncio che essa non può non diffondere, addirittura, come è già accaduto più volte nella storia, anche attraverso la propria debolezza.
(Fonte: Gianluca Zappa, 23 aprile 2010)
Gli abusi che non fanno scandalo
Per loro non c’è stata alcuna richiesta di risarcimento. Nessuno al New York Times si è stracciato le vesti per quei giovanissimi corpi violati, feriti e marcati per sempre. Nessun grande avvocato liberal ha portato in giudizio gli esecutori e i finanziatori di questa strage silenziosa. A Porto Rico un terzo delle donne in età fertile è stato sterilizzato. È l’isola con il più alto tasso al mondo di donne che non possono avere figli. In America si assiste da settimane a una nuova puntata della “Mani pulite di Dio”. Sono le inchieste sulla pedofilia nella Chiesa cattolica. Ma a fronte degli abusi sessuali sui minori da parte di sacerdoti, che stando alle ultime ricerche indipendenti sarebbero meno dell 0,5 per cento del totale di abusi in tutta l’America, ci sono legioni di donne e bambine americane e caraibiche sterilizzate senza approvazione. Spesso senza neppure che lo sapessero. E di questo capitolo oscuro della medicina contemporanea il New York Times, che oggi tira le fila dell’attacco durissimo alla Chiesa cattolica sulla pedofilia, è stato una bandiera. Lo descrive bene Fatal Misconception, la prima storia globale del controllo della popolazione, pubblicato dalle prestigiose edizioni di Harvard a firma dello storico liberal Matthew Connelly. Il Wall Street Journal ha scritto che per la prima volta uno studio storico serio fa luce sui disastri della “filantropia biologica”. Nella piccola isola cattolica di Porto Rico arrivarono legioni di umanitaristi, medici, industriali, femministe e progressisti per trasformare la cinquantunesima “stella” degli Stati Uniti in un laboratorio della contraccezione di massa. E il New York Times allora stava orgoglioso dalla parte degli sterilizzatori perché l’editore di famiglia, i gloriosi Sulzberger, erano nel board della Fondazione Rockefeller che finanziava sul campo il malthusianesimo a Porto Rico. Quando negli anni Venti dall’Inghilterra piovvero critiche sui programmi statunitensi di sterilizzazione degli “inadatti a vivere”, il quotidiano se la prese con l’“attacco inglese alla nostra eugenetica”. Eugenetica che il New York Times non esitò a definire una fantastica “nuova scienza” (come denunciò anche lo scrittore G. K. Chesterton) e che era foraggiata dalla Rockefeller Foundation. L’ultimo stato che ha rimosso le leggi eugenetiche è stata la Virginia nel 1979. E proprio il New York Times aveva descritto le sterilizzazioni della Virginia come “estinzioni graziose”. Sul numero del 22 gennaio del 1934 i consulenti del ministero dell’Interno nazista lodavano il «buon esempio fornito dagli Stati Uniti». Era l’anno in cui Hitler avviava la sua politica di eugenetica di massa, che avrebbe portato alla morte di 70 mila persone in diciotto mesi. Malati di mente, “promiscui”, albini, alcolizzati, talassemici, epilettici, tantissimi immigrati, dagli irlandesi agli italiani del sud, afroamericani e messicani.
Eccole le vittime della sterilizzazione negli Stati Uniti. E parliamo di 100 mila esseri umani. Donne afroamericane, donne indioamericane, donne sudamericane e donne bianche povere inglobate in programmi di sterilizzazione obbligatori. Un vero e proprio asse del male composto da organizzazioni umanitarie, filantropiche, educative, scientifiche e demografiche. La divisione del lavoro è stata geografica e funzionale: la sezione demografica dell’Onu ha fatto della “popolazione mondiale” un fatto politico, la Fondazione Rockefeller ha fornito ricercatori e fondi, il Population Council ha creato nuovi contraccettivi e insieme alle università e alle Nazioni Unite ha educato nuovi “esperti”, mentre il New York Times tesseva gli elogi dell’eugenetica. Quando Indira Gandhi divenne prima ministro dell’India, nominò suo figlio Sanjay responsabile del controllo delle nascite sotto l’egida dell’Onu e del Population Council di Rockefeller. Le donne venivano sequestrate, deportate in massa, piegate con la forza alla sterilizzazione, in nome di teorie partorite a migliaia di chilometri di distanza, a Washington, a Londra, a Stoccolma. Nel Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. A Porto Rico la sterilizzazione delle donne era così diffusa che veniva genericamente chiamata “la operacion”. E nessuno al New York Times protestò quando si scoprì che il dottor Pincus scelse proprio Porto Rico come laboratorio per la sperimentazione della pillola anticoncezionale. Si scoprirà che un terzo delle donne portoricane non era a conoscenza della sterilizzazione. Il New York Times non ha mai smesso di strizzare l’occhio all’eugenetica. Pochi mesi fa in un’eloquente intervista al quotidiano Ruth Bader Ginsburg, l’unico giudice donna della Corte Suprema degli Stati Uniti, ha detto: «Francamente ero convinta che ai tempi della decisione Roe (sentenza che legalizza l’aborto in America, ndr) vi fosse preoccupazione per la crescita demografica e in particolare per la crescita della parte più indesiderata della popolazione». Nel board of trustees della Rockefeller Foundation l’editore del New York Times, il signor Arthur Sulzberger, è stato una voce importante dal 1939 al 1957, negli anni in cui l’eugenetica ha mostrato il suo volto più sanguinario e totalitario. Si dà il caso che la fondazione Rockefeller abbia finanziato gran parte delle campagne per la sterilizzazione in America.
Non furono i nazisti infatti a ideare le camere a gas. Fu (prima della conversione al cristianesimo) il premio Nobel Alexis Carrel (1873-1944), autore di L’homme, cet inconnu, il quale diceva che «criminali e malati di mente devono essere umanamente ed economicamente eliminati in piccoli istituti per l’eutanasia, forniti di gas. L’eugenetica è indispensabile per perpetuare la forza. Una grande razza deve propagare i suoi migliori elementi. L’eugenetica può esercitare una grande influenza sul destino delle razze civilizzate ma richiede il sacrificio di molti singoli esseri umani». Ricercatore presso il Rockefeller Institute for Medical Research, Carrel abbracciò l’eugenetica nazista in una lettera del 7 gennaio del 1936, quando alla Rockefeller siedevano già i membri della famiglia Suzlberger: «Il governo tedesco ha preso energiche misure contro la propagazione dei difettosi, contro le malattie mentali e i criminali. La soluzione ideale sarebbe la soppressione di questi individui non appena abbiano dimostrato di essere pericolosi».
La Rockefeller Foundation finanziò anche molti ricercatori tedeschi. Tra di essi il dottor Ernst Rudin, che avrebbe organizzato lo sterminio medico degli handicappati ordinato da Adolf Hitler. E uno dei direttori del New York Times, Eugene Black, da membro della Rockefeller divenne cofondatore del Population Council, l’organizzazione americana di ricerca che ha portato avanti molte campagne per la sterilizzazione di popolazioni indigene nel mondo. Compresa Porto Rico. La famiglia Sulzberger era generosamente impegnata a finanziare anche le attività di Margaret Sanger, la quale venne così incensata da Orson Wells nel 1931: «Quando la storia della nostra civiltà sarà scritta, sarà una storia biologica e Margaret Sanger la sua eroina». Il nome Sanger è il collante fra eugenetica e femminismo. Fondatrice della American Birth Control League (1916) e della International Planned Parenthood Federation (1952), diresse una rivista, The Birth Control Review, che divenne col tempo il più importante laboratorio teorico per la selezione della specie, al grido di slogan come «noi preferiamo la politica della sterilizzazione immediata per garantire che la procreazione sia assolutamente proibita ai deboli di mente». Sanger costruì la sua prima clinica per il controllo delle nascite nel quartiere di Brownsville a New York, uno dei più poveri della città. Così poteva estirpare meglio “il peso morto dei rifiuti umani”. La sua eredità è arrivata fino a noi. Fu Sanger a procurare i finanziamenti a Gregory Pincus per la ricerca anticoncezionale. E Pincus la sua pillola andò a sperimentarla sui “negri” di Porto Rico. Mentre oltreoceano Papa Paolo VI metteva a punto l’enciclica Humanae Vitae che condannava proprio l’antinatalismo praticato nella sperduta isola caraibica. È così che si chiude uno sconosciuto e tragico ciclo che coinvolge il più rispettato giornale d’America, le più note e ricche famiglie della East Coast, interi pezzi della medicina del Novecento e una piccola isola dei Caraibi, che a oggi vanta non soltanto il miglior Pil della regione, ma anche il più alto tasso al mondo di donne sterilizzate.
(Fonte: Giulio Meotti, Tempi, 26 aprile 2010)
Eccole le vittime della sterilizzazione negli Stati Uniti. E parliamo di 100 mila esseri umani. Donne afroamericane, donne indioamericane, donne sudamericane e donne bianche povere inglobate in programmi di sterilizzazione obbligatori. Un vero e proprio asse del male composto da organizzazioni umanitarie, filantropiche, educative, scientifiche e demografiche. La divisione del lavoro è stata geografica e funzionale: la sezione demografica dell’Onu ha fatto della “popolazione mondiale” un fatto politico, la Fondazione Rockefeller ha fornito ricercatori e fondi, il Population Council ha creato nuovi contraccettivi e insieme alle università e alle Nazioni Unite ha educato nuovi “esperti”, mentre il New York Times tesseva gli elogi dell’eugenetica. Quando Indira Gandhi divenne prima ministro dell’India, nominò suo figlio Sanjay responsabile del controllo delle nascite sotto l’egida dell’Onu e del Population Council di Rockefeller. Le donne venivano sequestrate, deportate in massa, piegate con la forza alla sterilizzazione, in nome di teorie partorite a migliaia di chilometri di distanza, a Washington, a Londra, a Stoccolma. Nel Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. A Porto Rico la sterilizzazione delle donne era così diffusa che veniva genericamente chiamata “la operacion”. E nessuno al New York Times protestò quando si scoprì che il dottor Pincus scelse proprio Porto Rico come laboratorio per la sperimentazione della pillola anticoncezionale. Si scoprirà che un terzo delle donne portoricane non era a conoscenza della sterilizzazione. Il New York Times non ha mai smesso di strizzare l’occhio all’eugenetica. Pochi mesi fa in un’eloquente intervista al quotidiano Ruth Bader Ginsburg, l’unico giudice donna della Corte Suprema degli Stati Uniti, ha detto: «Francamente ero convinta che ai tempi della decisione Roe (sentenza che legalizza l’aborto in America, ndr) vi fosse preoccupazione per la crescita demografica e in particolare per la crescita della parte più indesiderata della popolazione». Nel board of trustees della Rockefeller Foundation l’editore del New York Times, il signor Arthur Sulzberger, è stato una voce importante dal 1939 al 1957, negli anni in cui l’eugenetica ha mostrato il suo volto più sanguinario e totalitario. Si dà il caso che la fondazione Rockefeller abbia finanziato gran parte delle campagne per la sterilizzazione in America.
Non furono i nazisti infatti a ideare le camere a gas. Fu (prima della conversione al cristianesimo) il premio Nobel Alexis Carrel (1873-1944), autore di L’homme, cet inconnu, il quale diceva che «criminali e malati di mente devono essere umanamente ed economicamente eliminati in piccoli istituti per l’eutanasia, forniti di gas. L’eugenetica è indispensabile per perpetuare la forza. Una grande razza deve propagare i suoi migliori elementi. L’eugenetica può esercitare una grande influenza sul destino delle razze civilizzate ma richiede il sacrificio di molti singoli esseri umani». Ricercatore presso il Rockefeller Institute for Medical Research, Carrel abbracciò l’eugenetica nazista in una lettera del 7 gennaio del 1936, quando alla Rockefeller siedevano già i membri della famiglia Suzlberger: «Il governo tedesco ha preso energiche misure contro la propagazione dei difettosi, contro le malattie mentali e i criminali. La soluzione ideale sarebbe la soppressione di questi individui non appena abbiano dimostrato di essere pericolosi».
La Rockefeller Foundation finanziò anche molti ricercatori tedeschi. Tra di essi il dottor Ernst Rudin, che avrebbe organizzato lo sterminio medico degli handicappati ordinato da Adolf Hitler. E uno dei direttori del New York Times, Eugene Black, da membro della Rockefeller divenne cofondatore del Population Council, l’organizzazione americana di ricerca che ha portato avanti molte campagne per la sterilizzazione di popolazioni indigene nel mondo. Compresa Porto Rico. La famiglia Sulzberger era generosamente impegnata a finanziare anche le attività di Margaret Sanger, la quale venne così incensata da Orson Wells nel 1931: «Quando la storia della nostra civiltà sarà scritta, sarà una storia biologica e Margaret Sanger la sua eroina». Il nome Sanger è il collante fra eugenetica e femminismo. Fondatrice della American Birth Control League (1916) e della International Planned Parenthood Federation (1952), diresse una rivista, The Birth Control Review, che divenne col tempo il più importante laboratorio teorico per la selezione della specie, al grido di slogan come «noi preferiamo la politica della sterilizzazione immediata per garantire che la procreazione sia assolutamente proibita ai deboli di mente». Sanger costruì la sua prima clinica per il controllo delle nascite nel quartiere di Brownsville a New York, uno dei più poveri della città. Così poteva estirpare meglio “il peso morto dei rifiuti umani”. La sua eredità è arrivata fino a noi. Fu Sanger a procurare i finanziamenti a Gregory Pincus per la ricerca anticoncezionale. E Pincus la sua pillola andò a sperimentarla sui “negri” di Porto Rico. Mentre oltreoceano Papa Paolo VI metteva a punto l’enciclica Humanae Vitae che condannava proprio l’antinatalismo praticato nella sperduta isola caraibica. È così che si chiude uno sconosciuto e tragico ciclo che coinvolge il più rispettato giornale d’America, le più note e ricche famiglie della East Coast, interi pezzi della medicina del Novecento e una piccola isola dei Caraibi, che a oggi vanta non soltanto il miglior Pil della regione, ma anche il più alto tasso al mondo di donne sterilizzate.
(Fonte: Giulio Meotti, Tempi, 26 aprile 2010)
Pseudo pedofili e pseudo vittime
All’incirca un anno fa, nel maggio 2009, prima che la questione pedofilia nella chiesa fosse su tutti i giornali, Marco Casonato (foto), docente di Psicologia dinamica all’Università di Milano Bicocca, autore di lavori scientifici sull’argomento, partecipò a un convegno nell’ateneo milanese intitolato “Abusi, falsi abusi e scienze forensi”. Proprio in quei giorni era stato reso noto un dato molto interessante: il 96 per cento circa dei casi registrati ogni anno in Italia, relativi a denunce di minori che sostengono di aver subito una violenza sessuale, è falso. Il professore commentava il dato ironizzando: “Un tempo si diceva che l’Italia fosse un paese di santi, eroi e navigatori. Adesso sembra che tutti quanti abbiano lasciato il posto ai pedofili”. L’idea del professore è che di pedofilia “è molto facile essere accusati ingiustamente. Basti pensare che in diversi asili, piscine o teatri per bambini non è più possibile scattare una foto, pena l’essere guardati con sospetto. I genitori alle recite dei propri figli proibiscono ad altri genitori di riprendere lo spettacolo con le telecamere per paura che tra loro si nasconda un pedofilo che diffonderà le immagini. Si è scatenata una psicosi, insomma”.
Aggiungeva: “Dal 1993-94 è stato un crescendo. In Italia si è ripetuto quanto era accaduto negli anni Ottanta in America. Vicende simili a quelle di Rignano Flaminio e Brescia sono già successe negli Usa. Si può dire che il fenomeno ha investito un po’ tutti i paesi occidentali, chi prima e chi dopo”. Leggendo queste dichiarazioni, in perfetta sintonia con quelle di molti altri esperti, mi è sembrato opportuno sentire il professor Casonato riguardo ai fatti attuali. Anche perché ha recentemente curato per Franco Angeli il volume scientifico “Pedoparafilie: prospettive psicologiche, forensi, psichiatriche”.
La questione pedofilia, mi ha spiegato, è “una maionese impazzita incominciata a fine anni Settanta; in tanti ci hanno zuppato dentro, a proprio vantaggio. Se vuole un altro paragone, ora è come uno sciame di vespe che non si sa dove vadano; oppure un’arma di distrazione di massa. In verità, però, la pedofilia ha una incidenza modesta, ben diversamente da quanto i media ogni tanto cercano di affermare, contribuendo a enfatizzare e a creare psicosi, a generare nuove denunce che poi si riveleranno inconsistenti”. Riguardo alla chiesa, mi spiega il professore, che confessa di non conoscerla dal di dentro, “mi sembra che si possa dire che i preti non rappresentano una categoria particolarmente a rischio”. E’ la chiesa come istituzione che è un po’ ricattata, in questo caso: “C’è molta politica dietro”.
La pedofilia oggi è spesso “una clava usata a danno di qualcuno”. Certamente “gli attacchi alla chiesa sono attacchi veri e propri, oltre che, talora, regolamenti di conti interni; non sono neppure da trascurare vecchie ruggini con protestanti, anglicani ecc., riemerse magari in occasione del rientro di alcuni gruppi anglicani nella chiesa di Roma.
Ci sono anche i vecchi pregiudizi a tornare a galla: da sempre alcuni protestanti fondamentalisti accusano i cattolici, soprattutto nel mondo anglosassone, di ogni ignominia”. Questo chiaramente perché l’accusa in questione si presta meglio di altre: è la più diffamante, la più sensazionale, la più difficile da scrollarsi di dosso, ed è nello stesso tempo, tra le tante possibili, una delle più ardue da smentire. A ciò si aggiunga che per un certo mondo protestante, il Papa è ancora oggi l’“anticristo”, chiunque egli sia, come 500 anni fa. Commenta Casonato: “Queste inimicizie si conoscono, sono storiche, però si tratta anche di un boomerang cattolico visto che parte di coloro che hanno contribuito a fare crescere il business della caccia al pedofilo e a crearne i presupposti vengono dalle università cattoliche. Quanto agli Stati Uniti molte accuse sono state transate extragiudizialmente, ma vengono considerate come condanne. Spesso erano ricatti ben congegnati, cui – stante la situazione sociale – era difficile opporsi in giudizio (giurie popolari etc). Ne deriva una vera caccia alle streghe che – salvo la pena di morte – ha probabilmente fatto più vittime di quella del ’600 (che non fu supportata dalla chiesa, ma dai politici)”.
Ricordo al professor Casonato gli innumerevoli casi di religiosi accusati di pedofilia, magari condannati in primo grado e poi assolti; da don Govoni, alle suore della Val Seriana, ai tre sacerdoti dell’asilo Sorelli di Brescia; dal cardinal Bernardin, in America, a padre Kinsella e a suor Nora Wall – accusata di stupro, condannata all’ergastolo e poi riconosciuta innocente dopo essere diventata per tutti, giornali e tv, il “diavolo Wall” – in Irlanda. “E’ accaduto e accade anche a tanti laici, coinvolti in liti, ricatti, paure collettive: se si è colpevoli, ben venga la giustizia, ma se si è innocenti, si rischia di stare ugualmente per anni sui giornali e in carcere”. Chiedo al professore cosa ne pensa del Papa e lui ricorda di aver curato il suo libro già citato insieme con uno psichiatra tedesco, Friedemann Pfäfflin, che fu protagonista di un convegno in Vaticano voluto proprio da Ratzinger alcuni anni orsono, per affrontare l’argomento pedofilia: “Dell’attuale Papa si può dire che è uno di quelli che si è occupato del problema, ben più di altri che lo hanno preceduto”.
(Fonte: Francesco Agnoli, Il Foglio, 22 aprile 2010)
Aggiungeva: “Dal 1993-94 è stato un crescendo. In Italia si è ripetuto quanto era accaduto negli anni Ottanta in America. Vicende simili a quelle di Rignano Flaminio e Brescia sono già successe negli Usa. Si può dire che il fenomeno ha investito un po’ tutti i paesi occidentali, chi prima e chi dopo”. Leggendo queste dichiarazioni, in perfetta sintonia con quelle di molti altri esperti, mi è sembrato opportuno sentire il professor Casonato riguardo ai fatti attuali. Anche perché ha recentemente curato per Franco Angeli il volume scientifico “Pedoparafilie: prospettive psicologiche, forensi, psichiatriche”.
La questione pedofilia, mi ha spiegato, è “una maionese impazzita incominciata a fine anni Settanta; in tanti ci hanno zuppato dentro, a proprio vantaggio. Se vuole un altro paragone, ora è come uno sciame di vespe che non si sa dove vadano; oppure un’arma di distrazione di massa. In verità, però, la pedofilia ha una incidenza modesta, ben diversamente da quanto i media ogni tanto cercano di affermare, contribuendo a enfatizzare e a creare psicosi, a generare nuove denunce che poi si riveleranno inconsistenti”. Riguardo alla chiesa, mi spiega il professore, che confessa di non conoscerla dal di dentro, “mi sembra che si possa dire che i preti non rappresentano una categoria particolarmente a rischio”. E’ la chiesa come istituzione che è un po’ ricattata, in questo caso: “C’è molta politica dietro”.
La pedofilia oggi è spesso “una clava usata a danno di qualcuno”. Certamente “gli attacchi alla chiesa sono attacchi veri e propri, oltre che, talora, regolamenti di conti interni; non sono neppure da trascurare vecchie ruggini con protestanti, anglicani ecc., riemerse magari in occasione del rientro di alcuni gruppi anglicani nella chiesa di Roma.
Ci sono anche i vecchi pregiudizi a tornare a galla: da sempre alcuni protestanti fondamentalisti accusano i cattolici, soprattutto nel mondo anglosassone, di ogni ignominia”. Questo chiaramente perché l’accusa in questione si presta meglio di altre: è la più diffamante, la più sensazionale, la più difficile da scrollarsi di dosso, ed è nello stesso tempo, tra le tante possibili, una delle più ardue da smentire. A ciò si aggiunga che per un certo mondo protestante, il Papa è ancora oggi l’“anticristo”, chiunque egli sia, come 500 anni fa. Commenta Casonato: “Queste inimicizie si conoscono, sono storiche, però si tratta anche di un boomerang cattolico visto che parte di coloro che hanno contribuito a fare crescere il business della caccia al pedofilo e a crearne i presupposti vengono dalle università cattoliche. Quanto agli Stati Uniti molte accuse sono state transate extragiudizialmente, ma vengono considerate come condanne. Spesso erano ricatti ben congegnati, cui – stante la situazione sociale – era difficile opporsi in giudizio (giurie popolari etc). Ne deriva una vera caccia alle streghe che – salvo la pena di morte – ha probabilmente fatto più vittime di quella del ’600 (che non fu supportata dalla chiesa, ma dai politici)”.
Ricordo al professor Casonato gli innumerevoli casi di religiosi accusati di pedofilia, magari condannati in primo grado e poi assolti; da don Govoni, alle suore della Val Seriana, ai tre sacerdoti dell’asilo Sorelli di Brescia; dal cardinal Bernardin, in America, a padre Kinsella e a suor Nora Wall – accusata di stupro, condannata all’ergastolo e poi riconosciuta innocente dopo essere diventata per tutti, giornali e tv, il “diavolo Wall” – in Irlanda. “E’ accaduto e accade anche a tanti laici, coinvolti in liti, ricatti, paure collettive: se si è colpevoli, ben venga la giustizia, ma se si è innocenti, si rischia di stare ugualmente per anni sui giornali e in carcere”. Chiedo al professore cosa ne pensa del Papa e lui ricorda di aver curato il suo libro già citato insieme con uno psichiatra tedesco, Friedemann Pfäfflin, che fu protagonista di un convegno in Vaticano voluto proprio da Ratzinger alcuni anni orsono, per affrontare l’argomento pedofilia: “Dell’attuale Papa si può dire che è uno di quelli che si è occupato del problema, ben più di altri che lo hanno preceduto”.
(Fonte: Francesco Agnoli, Il Foglio, 22 aprile 2010)
Omosessualismo: aperta la “caccia” ai non gay in Europa
Con un obiettivo: quello di contrastare presunte discriminazioni o generici «discorsi di incitamento all’odio», ritenuti ingiustificabili anche quando discendano da «valori tradizionali» o «religiosi». Introducendo, per scoraggiarli, misure contraddittorie, da una parte di contrasto, anche di carattere penale, sanzionatorio o sotto forma di risarcimento, dall’altra rispettose del diritto «fondamentale alla libertà di espressione»; da una parte inserite «nei programmi scolastici» e nei «materiali pedagogici», dall’altra attente alle scelte educative compiute dalle famiglie. Difficile, in tutto questo, trovare la quadratura del cerchio…
Non mancano le proposte. Ad esempio, concedere riconoscimento giuridico al cambiamento di sesso, compresa la facoltà di modificare nome e genere sui documenti ufficiali «in modo rapido, trasparente ed accessibile»; garantire ad un individuo transgender «di sposare una persona del sesso opposto» al suo “nuovo”; la facoltà per single e gay di procedere all’adozione in nome del principio di non discriminazione, nonché di riconoscere responsabilità parentali alle coppie omosessuali. Da qui, l’inquietante invito rivolto alle Istituzioni di prevedere una sorta di arbitrato a favore del movimento gay nel confronto con organizzazioni, anche religiose, nonché di promuovere «azioni positive» a favore della lobby Lgbt.
Va fatta una considerazione: il Coe, Consiglio d’Europa, autore di questa controversa disposizione, non ha nulla a che vedere con l’Unione Europea. Del primo fanno parte 47 Stati (molti ex-comunisti), della seconda 27; il primo è costituto da parlamentari nazionali designati dalle Camere dei rispettivi Paesi, la seconda è costituita da candidati regolarmente eletti dai popoli. Del Coe fa parte anche quella Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che lo scorso novembre si è pronunciata contro l’esposizione del Crocifisso nelle aule. Il che la dice lunga…
Tale raccomandazione è stata varata lo scorso 31 marzo. Come detto, nel silenzio generale. Sui siti on line dei più importanti quotidiani non la si trova. Il quotidiano “Avvenire” ne ha parlato, ma nove giorni dopo, il 9 aprile, segno di un’evidente difficoltà nell’acquisirla. Il testo è stato inserito nel sito dello stesso Consiglio d’Europa, rigorosamente in inglese o in francese, non in italiano. Qui vi si legge anche il commento del segretario generale del medesimo organismo, Hiorbørn Jagland, felicitatosi «della decisione presa dal Comitato dei Ministri», definendola «un passo avanti importante», nonché «il primo testo giuridico al mondo che tratti esplicitamente di una delle forme di discriminazione più radicate e difficili da combattere».
Veramente, un intervento da lasciare senza parole, specie a fronte della gravità delle proposte contenute nel testo tanto elogiato.
(Fonte: Corrispondenza Romana, 24 aprile 2010)
Non mancano le proposte. Ad esempio, concedere riconoscimento giuridico al cambiamento di sesso, compresa la facoltà di modificare nome e genere sui documenti ufficiali «in modo rapido, trasparente ed accessibile»; garantire ad un individuo transgender «di sposare una persona del sesso opposto» al suo “nuovo”; la facoltà per single e gay di procedere all’adozione in nome del principio di non discriminazione, nonché di riconoscere responsabilità parentali alle coppie omosessuali. Da qui, l’inquietante invito rivolto alle Istituzioni di prevedere una sorta di arbitrato a favore del movimento gay nel confronto con organizzazioni, anche religiose, nonché di promuovere «azioni positive» a favore della lobby Lgbt.
Va fatta una considerazione: il Coe, Consiglio d’Europa, autore di questa controversa disposizione, non ha nulla a che vedere con l’Unione Europea. Del primo fanno parte 47 Stati (molti ex-comunisti), della seconda 27; il primo è costituto da parlamentari nazionali designati dalle Camere dei rispettivi Paesi, la seconda è costituita da candidati regolarmente eletti dai popoli. Del Coe fa parte anche quella Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che lo scorso novembre si è pronunciata contro l’esposizione del Crocifisso nelle aule. Il che la dice lunga…
Tale raccomandazione è stata varata lo scorso 31 marzo. Come detto, nel silenzio generale. Sui siti on line dei più importanti quotidiani non la si trova. Il quotidiano “Avvenire” ne ha parlato, ma nove giorni dopo, il 9 aprile, segno di un’evidente difficoltà nell’acquisirla. Il testo è stato inserito nel sito dello stesso Consiglio d’Europa, rigorosamente in inglese o in francese, non in italiano. Qui vi si legge anche il commento del segretario generale del medesimo organismo, Hiorbørn Jagland, felicitatosi «della decisione presa dal Comitato dei Ministri», definendola «un passo avanti importante», nonché «il primo testo giuridico al mondo che tratti esplicitamente di una delle forme di discriminazione più radicate e difficili da combattere».
Veramente, un intervento da lasciare senza parole, specie a fronte della gravità delle proposte contenute nel testo tanto elogiato.
(Fonte: Corrispondenza Romana, 24 aprile 2010)
Il piccolo prematuro di Rossano: abortito, nato vivo e abbandonato
Non ce l’ha fatta, ma ce l’ha messa tutta, il piccolo sopravvissuto a un aborto a ventidue settimane di gravidanza a Rossano Calabro: il primo giorno di vita – sabato – l’ha passato da solo, dimenticato da tutti, abbandonato in un angolo, avvolto in un fagottino da qualche parte nell’ospedale in cui era stato abortito, finché un prete, venuto la mattina dopo a pregare per lui, si è accorto che era ancora vivo e ha dato l’allarme, ma non è bastato a salvarlo. Ed è morto la notte stessa, in un altro ospedale dove era stato trasferito per tentare un salvataggio tardivo, ormai impossibile.
Nel diffondere la notizia, ieri, i media hanno cercato di mascherare l’orrore usando un linguaggio surreale: si tratterebbe di un «errore» del personale sanitario che «non ha monitorato il feto dopo l’espulsione». Ma un essere umano lo chiamano "feto" finché sta nella pancia della sua mamma: una volta che ne viene fuori è un neonato. E poiché l’aborto a ventidue settimane è in sostanza un parto indotto, la verità è che sabato scorso è venuto al mondo un piccolissimo neonato fortemente prematuro, e nessuno si è accorto che era vivo perché non doveva esserlo: era "solo" un aborto.
E invece avrebbero dovuto far di tutto per salvargli la vita, addirittura secondo quella stessa legge 194 invocata per abortirlo: se c’è possibilità di vita autonoma per il nascituro – si legge all’articolo 6 – la gravidanza si può interrompere solo se la madre è in «grave pericolo di vita» – si badi bene, solo in questo caso – e il medico deve «adottare ogni misura idonea» per salvare il figlio.
Sostanzialmente, la legge dice che se una donna con una gravidanza avanzata rischia di morire, ma il figlio che ha in grembo ha qualche possibilità di sopravvivere, l’aborto è vietato e il medico la fa partorire per salvarle la vita, cercando di salvare pure il piccolo. Un parere recente del Comitato nazionale per la bioetica – che riguardava le cure riservate ai grandi prematuri, cioè ai nati molte settimane prima del termine naturale della gravidanza – invitava a una adeguata applicazione di questa parte della 194, ribadendone la forte indicazione per una salvaguardia della vita del nascituro, quando ce n’è la possibilità.
Sembra però che l’aborto sia stato effettuato perché il piccolo era malformato: una pratica eugenetica, quindi, che non è consentita dalla legge ma che purtroppo pare essere la realtà della stragrande maggioranza degli aborti tardivi.
Sicuramente bisognerà verificare con il massimo rigore se la legge è stata rispettata. Ma non è solo questo il punto che ci interessa: la gravità assoluta di quanto successo, se tutti i fatti fossero confermati, è che quando il piccolo è nato, a quanto pare, non l’hanno neppure guardato. L’hanno lasciato in un angolo, come un oggetto senza valore. Forse un minuscolo essere umano, pur abortito e malformato, non merita attenzione? Non a caso, ad accorgersi che era vivo è stata una persona che era andata a pregare per lui, e che voleva farlo accanto a lui: quel sacerdote era andato a pregare per un altro essere umano. Gli è andato vicino, lo ha guardato, e ha visto che era un proprio simile. Piccolissimo, ma esattamente come lui.
Non è stato un clinico particolarmente abile a riconoscere i segni di vita del piccolo, ma un uomo che ne ha guardato un altro e che lo ha riconosciuto, così diverso e al tempo stesso così uguale. Non servono specialisti per "vedere" il prossimo, né leggi severe, o pareri pensosi: è sufficiente l’umana pietà, che forse è morta ieri notte, insieme a quel neonato.
(Fonte: Assuntina Morresi, Avvenire, 27 aprile 2010)
Nel diffondere la notizia, ieri, i media hanno cercato di mascherare l’orrore usando un linguaggio surreale: si tratterebbe di un «errore» del personale sanitario che «non ha monitorato il feto dopo l’espulsione». Ma un essere umano lo chiamano "feto" finché sta nella pancia della sua mamma: una volta che ne viene fuori è un neonato. E poiché l’aborto a ventidue settimane è in sostanza un parto indotto, la verità è che sabato scorso è venuto al mondo un piccolissimo neonato fortemente prematuro, e nessuno si è accorto che era vivo perché non doveva esserlo: era "solo" un aborto.
E invece avrebbero dovuto far di tutto per salvargli la vita, addirittura secondo quella stessa legge 194 invocata per abortirlo: se c’è possibilità di vita autonoma per il nascituro – si legge all’articolo 6 – la gravidanza si può interrompere solo se la madre è in «grave pericolo di vita» – si badi bene, solo in questo caso – e il medico deve «adottare ogni misura idonea» per salvare il figlio.
Sostanzialmente, la legge dice che se una donna con una gravidanza avanzata rischia di morire, ma il figlio che ha in grembo ha qualche possibilità di sopravvivere, l’aborto è vietato e il medico la fa partorire per salvarle la vita, cercando di salvare pure il piccolo. Un parere recente del Comitato nazionale per la bioetica – che riguardava le cure riservate ai grandi prematuri, cioè ai nati molte settimane prima del termine naturale della gravidanza – invitava a una adeguata applicazione di questa parte della 194, ribadendone la forte indicazione per una salvaguardia della vita del nascituro, quando ce n’è la possibilità.
Sembra però che l’aborto sia stato effettuato perché il piccolo era malformato: una pratica eugenetica, quindi, che non è consentita dalla legge ma che purtroppo pare essere la realtà della stragrande maggioranza degli aborti tardivi.
Sicuramente bisognerà verificare con il massimo rigore se la legge è stata rispettata. Ma non è solo questo il punto che ci interessa: la gravità assoluta di quanto successo, se tutti i fatti fossero confermati, è che quando il piccolo è nato, a quanto pare, non l’hanno neppure guardato. L’hanno lasciato in un angolo, come un oggetto senza valore. Forse un minuscolo essere umano, pur abortito e malformato, non merita attenzione? Non a caso, ad accorgersi che era vivo è stata una persona che era andata a pregare per lui, e che voleva farlo accanto a lui: quel sacerdote era andato a pregare per un altro essere umano. Gli è andato vicino, lo ha guardato, e ha visto che era un proprio simile. Piccolissimo, ma esattamente come lui.
Non è stato un clinico particolarmente abile a riconoscere i segni di vita del piccolo, ma un uomo che ne ha guardato un altro e che lo ha riconosciuto, così diverso e al tempo stesso così uguale. Non servono specialisti per "vedere" il prossimo, né leggi severe, o pareri pensosi: è sufficiente l’umana pietà, che forse è morta ieri notte, insieme a quel neonato.
(Fonte: Assuntina Morresi, Avvenire, 27 aprile 2010)
Caso Polanski: quando la pedofilia non è uguale per tutti
In fondo, non è che delle vittime interessi così tanto. Ciò che conta è la «questione culturale», come dicono lorsignori, il risvolto politico e ideologico della faccenda. In tutti i casi ci vanno di mezzo ragazzi o ragazze minorenni? Segnati nella psiche sia che vengano seviziati da un artista osannato o da un morboso prelato? Sì, va bene. Ma bisogna saper distinguere: la perversione non è uguale per tutti. Tanto meno la legge. Così, ora che anche la Corte d’appello di Los Angeles ha respinto la richiesta di Roman Polanski a farsi processare in contumacia per lo stupro della tredicenne Samantha Geimer avvenuto più di trent’anni fa, prepariamoci a una seconda levata di scudi. A una nuova ondata di solidarietà del mondo intellettuale, nouveaux philosophes e attori e cineasti in prima fila a fare quadrato attorno al regista dell’Uomo nell’ombra, fresco Orso d’argento al Festival di Berlino, in questi giorni nei nostri cinema. E a dire che no, non ha senso processare un genio, un artista, un premio Oscar.
Insomma, il bis dell’ottobre scorso quando, sotto un appello in favore di Polanski, comparvero le firme dell’Europa più à la page capeggiata dal ministro della cultura francese Frédéric Mitterrand, un habitué dei rapporti con minori del Terzo mondo, arricchita dalle prestigiose griffe di sei cineasti di casa nostra (da Marco Bellocchio a Giuseppe Tornatore, da Michele Placido a Monica Bellucci) e completate oltreoceano da quelle di David Lynch e Woody Allen, del resto compagno della sua propria figlia adottiva. Interrogato sulla questione, per esempio, Tornatore spiegò che Polanski ha 77 anni ed è giusto che a «un uomo della sua età venga risparmiata la sofferenza del carcere». Monicelli, invece, teorizzò la differenza di trattamento tra il cineasta e il nostro premier perché «Berlusconi non ha le qualità di sensibilità di Polanski».
Indulgenti con il regista polacco violentatore di una tredicenne nel lontano 1978, lorsignori lo sono per niente nei confronti di sacerdoti e vescovi, colpevoli di abusi e molestie attuati e insabbiati in un passato spesso altrettanto remoto. Ma in questi casi la spietatezza del giudizio, dissonante rispetto al caso Polanski, non è certo frutto della partecipazione alle sofferenze delle vittime. Se infatti l’indignazione nascesse dal rifiuto della pedofilia e dalla difesa dei minori, in questi anni avremmo letto inchieste e reportage anche sulla moda crescente del turismo sessuale nei Paesi asiatici, volàno d’interi settori dell’economia non solo locale. Invece, più che condannare la perversione diffusa dentro e fuori la Chiesa, l’accanimento di media e intellettuali è volto a colpire l’istituzione ecclesiale. Fino al punto di chiedere le dimissioni di Benedetto XVI. Nientemeno.
Lo strabismo dei censori, inflessibili da una parte e fricchettoni dall’altra, fa intendere che ci sono stupri e stupri, sevizie e sevizie. La pedofilia di Polanski, per esempio, è d’autore, artistica, quasi aristocratica. Insomma, una pedofilia di classe, tutta diversa da quella che alligna nella Chiesa o chissà, tra i politici, meglio ancora se di centrodestra. Sarebbe curioso, in proposito, conoscere il pensiero di uno come Paolo Flores d’Arcais che agli scandali sessuali che stanno scuotendo il Vaticano ha dedicato un intero numero di
Micromega e svariati interventi sul Fatto quotidiano. Oppure quello di un altro astro nascente della sinistra giacobina come Luigi De Magistris. Qualche giorno fa l’ex Pm ora eurodeputato dell’Italia dei valori, ha chiesto che Ratzinger vada in tribunale a «rendere testimonianza ai giudici tedeschi di quanto sa sui casi di pedofilia». Ora che per Polanski si avvicina l’estradizione e probabilmente dovrà abbandonare gli arresti domiciliari nel suo chalet di Gstaadt per sottoporsi al processo in California, magari De Magistris ribadirà la sua richiesta di far processare il Papa.
(Fonte: Il Giornale, 24 aprile 2010)
Insomma, il bis dell’ottobre scorso quando, sotto un appello in favore di Polanski, comparvero le firme dell’Europa più à la page capeggiata dal ministro della cultura francese Frédéric Mitterrand, un habitué dei rapporti con minori del Terzo mondo, arricchita dalle prestigiose griffe di sei cineasti di casa nostra (da Marco Bellocchio a Giuseppe Tornatore, da Michele Placido a Monica Bellucci) e completate oltreoceano da quelle di David Lynch e Woody Allen, del resto compagno della sua propria figlia adottiva. Interrogato sulla questione, per esempio, Tornatore spiegò che Polanski ha 77 anni ed è giusto che a «un uomo della sua età venga risparmiata la sofferenza del carcere». Monicelli, invece, teorizzò la differenza di trattamento tra il cineasta e il nostro premier perché «Berlusconi non ha le qualità di sensibilità di Polanski».
Indulgenti con il regista polacco violentatore di una tredicenne nel lontano 1978, lorsignori lo sono per niente nei confronti di sacerdoti e vescovi, colpevoli di abusi e molestie attuati e insabbiati in un passato spesso altrettanto remoto. Ma in questi casi la spietatezza del giudizio, dissonante rispetto al caso Polanski, non è certo frutto della partecipazione alle sofferenze delle vittime. Se infatti l’indignazione nascesse dal rifiuto della pedofilia e dalla difesa dei minori, in questi anni avremmo letto inchieste e reportage anche sulla moda crescente del turismo sessuale nei Paesi asiatici, volàno d’interi settori dell’economia non solo locale. Invece, più che condannare la perversione diffusa dentro e fuori la Chiesa, l’accanimento di media e intellettuali è volto a colpire l’istituzione ecclesiale. Fino al punto di chiedere le dimissioni di Benedetto XVI. Nientemeno.
Lo strabismo dei censori, inflessibili da una parte e fricchettoni dall’altra, fa intendere che ci sono stupri e stupri, sevizie e sevizie. La pedofilia di Polanski, per esempio, è d’autore, artistica, quasi aristocratica. Insomma, una pedofilia di classe, tutta diversa da quella che alligna nella Chiesa o chissà, tra i politici, meglio ancora se di centrodestra. Sarebbe curioso, in proposito, conoscere il pensiero di uno come Paolo Flores d’Arcais che agli scandali sessuali che stanno scuotendo il Vaticano ha dedicato un intero numero di
Micromega e svariati interventi sul Fatto quotidiano. Oppure quello di un altro astro nascente della sinistra giacobina come Luigi De Magistris. Qualche giorno fa l’ex Pm ora eurodeputato dell’Italia dei valori, ha chiesto che Ratzinger vada in tribunale a «rendere testimonianza ai giudici tedeschi di quanto sa sui casi di pedofilia». Ora che per Polanski si avvicina l’estradizione e probabilmente dovrà abbandonare gli arresti domiciliari nel suo chalet di Gstaadt per sottoporsi al processo in California, magari De Magistris ribadirà la sua richiesta di far processare il Papa.
(Fonte: Il Giornale, 24 aprile 2010)
venerdì 23 aprile 2010
La Comunione e i cattolici sposati divorziati
Leggo e riporto la notizia: «Molti divorziati devoti che non possono ricevere la comunione hanno osservato con stupore la foto che ritraeva il presidente del Consiglio con un’ostia in bocca durante i funerali di Raimondo Vianello. Quell’uomo, han ragionato gli esclusi, ha un divorzio alle spalle e un altro in arrivo: come ha potuto accostarsi al sacramento? Esiste forse un lodo divino che anche in questo campo gli consente ciò che è vietato ai comuni mortali? Oppure il generoso avvocato Mills ha testimoniato sotto giuramento di essere lui il marito di tutte le mogli, comprese quelle off-shore, restituendolo a una dimensione di virginea purezza?
A mettere un po’ d’ordine in questo guazzabuglio ci ha pensato monsignor Fisichella, assolvendo il premier con formula piena: «Solo al fedele separato e risposato è vietato comunicarsi, poiché sussiste uno stato di permanenza nel peccato. Ma il presidente, essendosi separato dalla seconda moglie, è tornato a una situazione, diciamo così, ex ante».
Quindi, se un divorziato si risposa con successo, nel senso che col secondo coniuge trova finalmente il suo equilibrio, la comunione non gliela si può dare. Se invece ridivorzia, allora potrà di nuovo avvicinarsi all’altare perché «è tornato a una situazione, diciamo così, ex ante». In teoria uno potrebbe passare da un matrimonio all’altro senza mai smettere di comunicarsi, purché abbia cura di farlo negli intervalli. Che destino, quell’uomo: qualunque cosa faccia ha sempre bisogno di un’interpretazione autentica che gli fornisca una scappatoia. E la trova, sempre». (Massimo Gramellini, La Stampa, 22 aprile 2010)
Al di la della facile ironia anti berlusconiana, tanto per non far prendere in burletta sempre e comunque tutto ciò che riguarda chiesa e vita cristiana personale con l’arroganza di chi, essendo ignorante in materia, si permette di ridicolizzare sulle scelte di coscienza del prossimo, mi permetto di sottolineare la consueta ineccepibilità della risposta di Mons. Fisichella, che se si analizza un attimo con la mente sincera e libera da pregiudizi, è anche facilmente comprensibile: allo stato dei fatti, sfrondando il caso da qualunque illazione o intromissione nella sfera del personale di chicchessia, è chiaro che venuto meno lo “stato di peccato” (la convivenza more uxorio del secondo matrimonio) che costituiva impedimento per accostarsi al sacramento dell’Eucaristia, nulla e nessuno può vietare ad un fedele in grazia di Dio, ossia con la dovuta disposizione interiore, di ricevere la Santa Comunione. E ciò vale anche per gli sposati separati, che vivono da singoli la loro nuova situazione.
Con buona pace dei soliti cacciatori di scandali altrui.
(Mario, Administrator, 22 aprile 2010)
A mettere un po’ d’ordine in questo guazzabuglio ci ha pensato monsignor Fisichella, assolvendo il premier con formula piena: «Solo al fedele separato e risposato è vietato comunicarsi, poiché sussiste uno stato di permanenza nel peccato. Ma il presidente, essendosi separato dalla seconda moglie, è tornato a una situazione, diciamo così, ex ante».
Quindi, se un divorziato si risposa con successo, nel senso che col secondo coniuge trova finalmente il suo equilibrio, la comunione non gliela si può dare. Se invece ridivorzia, allora potrà di nuovo avvicinarsi all’altare perché «è tornato a una situazione, diciamo così, ex ante». In teoria uno potrebbe passare da un matrimonio all’altro senza mai smettere di comunicarsi, purché abbia cura di farlo negli intervalli. Che destino, quell’uomo: qualunque cosa faccia ha sempre bisogno di un’interpretazione autentica che gli fornisca una scappatoia. E la trova, sempre». (Massimo Gramellini, La Stampa, 22 aprile 2010)
Al di la della facile ironia anti berlusconiana, tanto per non far prendere in burletta sempre e comunque tutto ciò che riguarda chiesa e vita cristiana personale con l’arroganza di chi, essendo ignorante in materia, si permette di ridicolizzare sulle scelte di coscienza del prossimo, mi permetto di sottolineare la consueta ineccepibilità della risposta di Mons. Fisichella, che se si analizza un attimo con la mente sincera e libera da pregiudizi, è anche facilmente comprensibile: allo stato dei fatti, sfrondando il caso da qualunque illazione o intromissione nella sfera del personale di chicchessia, è chiaro che venuto meno lo “stato di peccato” (la convivenza more uxorio del secondo matrimonio) che costituiva impedimento per accostarsi al sacramento dell’Eucaristia, nulla e nessuno può vietare ad un fedele in grazia di Dio, ossia con la dovuta disposizione interiore, di ricevere la Santa Comunione. E ciò vale anche per gli sposati separati, che vivono da singoli la loro nuova situazione.
Con buona pace dei soliti cacciatori di scandali altrui.
(Mario, Administrator, 22 aprile 2010)
De Magistris orchestra il girotondo anti Papa
Che intende fare Barroso? E cosa aspetta Van Rompuy (il neo-presidente della Ue) a protestare con forza? È solo l’avvio di una durissima interrogazione che l’ex-premier belga Guy Verhofstadt - attuale capo dei liberali europei - ha messo nero su bianco ed in cui si attaccano pesantemente Benedetto XVI, il cardinal Bertone, monsignor Babini e persino il frate cappuccino Raniero Cantalamessa, predicatore pontificio. Chiarendo che, prima di ogni altra cosa, occorre eliminare ogni tipo di ostacolo, diplomatico o legale, che permetta ai sacerdoti pedofili di nascondersi dietro lo speciale status della Santa Sede.
A Bruxelles, nella sede dell’Europarlamento, son parecchi che hanno fatto un salto sulla sedia all’apparire dell’interrogazione (che solo domani si saprà se andrà in aula, accettata o meno dall’ufficio di presidenza). Perché di mormorii e di allusioni ce n’erano stati all’apparire di articoli di stampa dedicati alla questione. Ma mai ci si attendeva un attacco così frontale a quella che Verhofstadt (57enne premier di una coalizione socialisti-liberali tra il ’99 e il 2007, una somiglianza incredibile con Elton John) definisce «la gerarchia vaticana» e in cui, a pié di nota, si chiama direttamente in causa il segretario di Stato cardinal Bertone per aver osato ipotizzare una relazione «tra omosessualità e pedofilia» anziché condannare i tanti sacerdoti che hanno perseguito abusi sessuali su numerosi minori.
Che Verhofstadt esploda periodicamente, a caccia di pubblicità, è un fatto. Non più tardi di un paio di mesi fa, quando a Parigi si discuteva di interesse nazionale, se ne uscì con un «c’è del marcio nella Repubblica francese» che mandò Bernard Kouchner su tutte le furie. Ma stavolta le cose sembrano un po’ diverse. Possibile gli siano arrivate alle orecchie le parole di monsignor Babini sulla somiglianza delle accuse indirizzate alla Chiesa cattolica con quelle di «un attacco sionista»? O che si premurasse di cercare le parole di fratel Cantalamessa per il quale gli attacchi erano simili a quelli del «più violento antisemitismo»? Poco probabile. Mentre è vero che poco più di un mese fa - a questione aperta - ci fu un suo compagno di cordata dell’Alde (Liberal-democratici europei) che rivelò come a suo modo di vedere «non sarebbe un tabù che Ratzinger possa rendere testimonianza ai giudici tedeschi di quanto sa sui casi di pedofilia denunciati in Germania». Chi era l’antemarcia? Luigi De Magistris, l’ex pm eletto con Di Pietro all’Europarlamento. Che in una trasmissione tv disse anche che si trattava di una occasione da non perdere in quanto «quando i fatti avvengono all’interno delle mura vaticane scatta una giurisdizione domestica e quindi non è cosa facile far luce sulla verità». E proseguì dicendo che, «considerato che non è la prima volta che su queste vicende viene tirato in ballo lo stesso Papa, a mio avviso si pone la necessità per la Chiesa stessa di una maggiore credibilità verso i suoi fedeli». E davanti all’intervistatore che gli chiedeva cosa dovesse fare il Pontefice se un giudice avesse sollecitato una sua testimonianza, chiudeva: «Nessuno è al di sopra della legge!».
In sostanza, il sospetto che le carte siano circolate da Roma a Bruxelles pare avere qualche fondamento. E forse a questo punto poco deve stupire la crudezza con cui Verhofstadt chiede tanto a Barroso che al Consiglio Europeo (dunque ai capi di Stato e di governo di cui Van Rompuy è il presidente), di esprimere un netto giudizio di condanna senza ambiguità, respingendo i tentativi giustificazionisti del Vaticano o le sue velleità di nascondere ulteriormente le cose. Chiede altresì di respingere e condannare seccamente i parallelismi tra omosessualità e pedofilia e i riferimenti agli attacchi antisemiti. Tutte cose queste - spiega il presidente dell’Alde in una missiva spedita a Van Rompuy, Barroso e al presidente dell’Europarlamento in cui annuncia l’interrogazione - che fanno a cazzotti con i principi ispiratori della Ue e che vengono ora a minacciare «gravemente e seriamente» non solo il rapporto tra Chiesa cattolica e Ue, ma quello già più complesso tra Unione Europea e Santa Sede.
(Fonte: Alessandro Caprettini, Il Giornale, 21 aprile 2010)
A Bruxelles, nella sede dell’Europarlamento, son parecchi che hanno fatto un salto sulla sedia all’apparire dell’interrogazione (che solo domani si saprà se andrà in aula, accettata o meno dall’ufficio di presidenza). Perché di mormorii e di allusioni ce n’erano stati all’apparire di articoli di stampa dedicati alla questione. Ma mai ci si attendeva un attacco così frontale a quella che Verhofstadt (57enne premier di una coalizione socialisti-liberali tra il ’99 e il 2007, una somiglianza incredibile con Elton John) definisce «la gerarchia vaticana» e in cui, a pié di nota, si chiama direttamente in causa il segretario di Stato cardinal Bertone per aver osato ipotizzare una relazione «tra omosessualità e pedofilia» anziché condannare i tanti sacerdoti che hanno perseguito abusi sessuali su numerosi minori.
Che Verhofstadt esploda periodicamente, a caccia di pubblicità, è un fatto. Non più tardi di un paio di mesi fa, quando a Parigi si discuteva di interesse nazionale, se ne uscì con un «c’è del marcio nella Repubblica francese» che mandò Bernard Kouchner su tutte le furie. Ma stavolta le cose sembrano un po’ diverse. Possibile gli siano arrivate alle orecchie le parole di monsignor Babini sulla somiglianza delle accuse indirizzate alla Chiesa cattolica con quelle di «un attacco sionista»? O che si premurasse di cercare le parole di fratel Cantalamessa per il quale gli attacchi erano simili a quelli del «più violento antisemitismo»? Poco probabile. Mentre è vero che poco più di un mese fa - a questione aperta - ci fu un suo compagno di cordata dell’Alde (Liberal-democratici europei) che rivelò come a suo modo di vedere «non sarebbe un tabù che Ratzinger possa rendere testimonianza ai giudici tedeschi di quanto sa sui casi di pedofilia denunciati in Germania». Chi era l’antemarcia? Luigi De Magistris, l’ex pm eletto con Di Pietro all’Europarlamento. Che in una trasmissione tv disse anche che si trattava di una occasione da non perdere in quanto «quando i fatti avvengono all’interno delle mura vaticane scatta una giurisdizione domestica e quindi non è cosa facile far luce sulla verità». E proseguì dicendo che, «considerato che non è la prima volta che su queste vicende viene tirato in ballo lo stesso Papa, a mio avviso si pone la necessità per la Chiesa stessa di una maggiore credibilità verso i suoi fedeli». E davanti all’intervistatore che gli chiedeva cosa dovesse fare il Pontefice se un giudice avesse sollecitato una sua testimonianza, chiudeva: «Nessuno è al di sopra della legge!».
In sostanza, il sospetto che le carte siano circolate da Roma a Bruxelles pare avere qualche fondamento. E forse a questo punto poco deve stupire la crudezza con cui Verhofstadt chiede tanto a Barroso che al Consiglio Europeo (dunque ai capi di Stato e di governo di cui Van Rompuy è il presidente), di esprimere un netto giudizio di condanna senza ambiguità, respingendo i tentativi giustificazionisti del Vaticano o le sue velleità di nascondere ulteriormente le cose. Chiede altresì di respingere e condannare seccamente i parallelismi tra omosessualità e pedofilia e i riferimenti agli attacchi antisemiti. Tutte cose queste - spiega il presidente dell’Alde in una missiva spedita a Van Rompuy, Barroso e al presidente dell’Europarlamento in cui annuncia l’interrogazione - che fanno a cazzotti con i principi ispiratori della Ue e che vengono ora a minacciare «gravemente e seriamente» non solo il rapporto tra Chiesa cattolica e Ue, ma quello già più complesso tra Unione Europea e Santa Sede.
(Fonte: Alessandro Caprettini, Il Giornale, 21 aprile 2010)
Ma Ravasi è già cardinale?
Che Wikipedia possa attribuire a Mons. Ravasi l'onore della porpora possiamo anche capirlo. Ma che l'architetto Santiago Calatrava dedichi un acquerello a Mons. Ravasi attibuendogli il titolo di "Cardinale" e che questo acquerello venga pubblicato sul bollettino del Pontificio Consiglio della Cultura è certamente un evento che sorprende. Sebbene la didascalia parli di una "dedica a S.E. Mons. Gianfranco Ravasi", la riproduzione del disegno mostra la dedica di Calatrava a "Sua eminenza il cardinale Ravasi".
Ora, si può anche condonare al grande intellettuale milanese un piccolo vezzo narcisistico che non fa mai male a nessuno, ma, certo, è difficile condonargli l'insieme di raffinate operazioni per pervertire l'arte sacra e la cultura cattolica attraverso un mix di martinismo e snobismo radical chic. Il progetto lucidissimo di Ravasi, condito da una grande raffinatezza intellettuale, è quello di sdoganare l'immagine della cultura cattolica da una dimensione univoca e integrale, per aprirla attraverso il dialogo ed il confronto alle esigenze spirituali e culturali del bel mondo laicista.
Il timore, però, è che Ravasi si stia servendo di tutta questa fitta rete di intellettuali sinistrati e ricchi pseudo artisti con una spiritualità diffusa, per l'elevazione propria e non della Chiesa Cattolica. Anzi, mi risulta piuttosto difficile immaginare una comunione d'intenti fra Ravasi che sponsorizza l'arte contemporanea in Vaticano e alla Biennale di Venezia e Papa Benedetto che rispolvera antiche pianete, restaura altari ad orientem, elimina l'orrenda croce astile di Fazzini e via dicendo...
Come si possa conciliare una apparente ratzingerianità con la promozione di iniziative antiratzingeriane, resta un quesito senza risposta. Intanto un dubbio mi sorge spontaneo: finora si credeva che Ravasi stesse studiando da Cardinale, ma dopo aver scoperto che si fa già chiamare Cardinale da una grande archistar di fama mondiale, non sarà che Ravasi stia già pensando a diventar Papa?
(Fonte: Francesco Colafemmina, Fides et forma, 20 aprile 2010)
Ora, si può anche condonare al grande intellettuale milanese un piccolo vezzo narcisistico che non fa mai male a nessuno, ma, certo, è difficile condonargli l'insieme di raffinate operazioni per pervertire l'arte sacra e la cultura cattolica attraverso un mix di martinismo e snobismo radical chic. Il progetto lucidissimo di Ravasi, condito da una grande raffinatezza intellettuale, è quello di sdoganare l'immagine della cultura cattolica da una dimensione univoca e integrale, per aprirla attraverso il dialogo ed il confronto alle esigenze spirituali e culturali del bel mondo laicista.
Il timore, però, è che Ravasi si stia servendo di tutta questa fitta rete di intellettuali sinistrati e ricchi pseudo artisti con una spiritualità diffusa, per l'elevazione propria e non della Chiesa Cattolica. Anzi, mi risulta piuttosto difficile immaginare una comunione d'intenti fra Ravasi che sponsorizza l'arte contemporanea in Vaticano e alla Biennale di Venezia e Papa Benedetto che rispolvera antiche pianete, restaura altari ad orientem, elimina l'orrenda croce astile di Fazzini e via dicendo...
Come si possa conciliare una apparente ratzingerianità con la promozione di iniziative antiratzingeriane, resta un quesito senza risposta. Intanto un dubbio mi sorge spontaneo: finora si credeva che Ravasi stesse studiando da Cardinale, ma dopo aver scoperto che si fa già chiamare Cardinale da una grande archistar di fama mondiale, non sarà che Ravasi stia già pensando a diventar Papa?
(Fonte: Francesco Colafemmina, Fides et forma, 20 aprile 2010)
Le discutibili esternazioni del Vescovo di Bolzano
Sui casi di pedofilia nella Chiesa è intervenuto anche il vescovo di Bolzano e Bressanone (nella foto). Dagli studi di La7, Karl Golser annuncia: "Lunedì prossimo avrò un colloquio con il procuratore capo della Repubblica di Bolzano, affinché i fatti che non sono caduti in prescrizione, siano subito segnalati e la giustizia italiana possa svolgere il suo mandato". Il vescovo si prepara dunque a denunciare i casi di pedofilia, di cui è venuto a conoscenza grazie alle segnalazioni delle vittime sul sito della Curia. "Si tratta di vicende drammatiche risalenti a 30-40-50 anni fa, su cui le vittime oggi hanno bisogno di esprimersi”, ma su cui non può intervenire la giustizia italiana.
Golser, che è anche presidente dell’Associazione teologica italiana per lo studio della morale, è convinto che "solo adesso la Chiesa cattolica ha la conoscenza vera e propria che la pedofilia non può essere guarita". Prima si pensava che un sacerdote, se riconosceva di aver sbagliato ed era disposto a fare una terapia, potesse essere inserito in un’altra struttura pastorale. Oggi si sa che non è così e anche la Chiesa chiede la loro rimozione".
Quanto ai casi dei sacerdoti omosessuali, il vescovo ha precisato che "bisogna distinguere tra pedofilia e omosessualità, che invece non è una malattia. Per l’esercizio del sacerdozio, ciò che vale per eterosessuali vale anche per gli omosessuali, ovvero la capacità di vivere secondo le regole della Chiesa".
Sull'abolizione del celibato per i sacerdoti, Golser infine ha ribadito che “il celibato è un gran valore e una disciplina, ma non è un dogma” e se ne può quindi discutere.
Fin qui la notizia (Libero, 9 aprile 2010). Ora c’è da dire che Mons. Golser non è nuovo ad interventi che si smarcano da quello che è comunemente ritenuto il pensiero dominante all’interno delle istituzioni ecclesiastiche. Aveva stupito, ad esempio, alla vigilia della nomina a vescovo, la sua apertura sulla tutela giuridica delle coppie omosessuali. Nel caso in questione – ammesso che la notizia sia veritiera in toto – ci sembra che la sollecitudine di monsignore nel prendere per oro colato le denunce presentate via internet sul sito della Diocesi, sia quantomeno discutibile: si verrebbe così ad innescare un meccanismo perverso, sulla base di “confessioni” telematiche e incontrollabili, in quanto riconducibili a fatti molto datati che, prima di essere consegnati in pasto ai media, andrebbero verificati sì con molta fermezza ma anche con altrettanta oculatezza. Sappiamo ormai per esperienza che molto spesso queste denunce, soprattutto telematiche, fanno leva o su motivazioni che hanno solo lo scopo di ottenere una certa notorietà (oggi questo genere di “vittimismo” rischia di fare tendenza) o sulla speranza di fantomatici risarcimenti aurei o, cosa forse più realistica, sulla volontà di continuare a gettare fango mediatico nei confronti della Chiesa e del Papa. Cominciamo ad averne già abbastanza: siamo alla saturazione!
(Mario, Administrator, 21 aprile 2010)
Golser, che è anche presidente dell’Associazione teologica italiana per lo studio della morale, è convinto che "solo adesso la Chiesa cattolica ha la conoscenza vera e propria che la pedofilia non può essere guarita". Prima si pensava che un sacerdote, se riconosceva di aver sbagliato ed era disposto a fare una terapia, potesse essere inserito in un’altra struttura pastorale. Oggi si sa che non è così e anche la Chiesa chiede la loro rimozione".
Quanto ai casi dei sacerdoti omosessuali, il vescovo ha precisato che "bisogna distinguere tra pedofilia e omosessualità, che invece non è una malattia. Per l’esercizio del sacerdozio, ciò che vale per eterosessuali vale anche per gli omosessuali, ovvero la capacità di vivere secondo le regole della Chiesa".
Sull'abolizione del celibato per i sacerdoti, Golser infine ha ribadito che “il celibato è un gran valore e una disciplina, ma non è un dogma” e se ne può quindi discutere.
Fin qui la notizia (Libero, 9 aprile 2010). Ora c’è da dire che Mons. Golser non è nuovo ad interventi che si smarcano da quello che è comunemente ritenuto il pensiero dominante all’interno delle istituzioni ecclesiastiche. Aveva stupito, ad esempio, alla vigilia della nomina a vescovo, la sua apertura sulla tutela giuridica delle coppie omosessuali. Nel caso in questione – ammesso che la notizia sia veritiera in toto – ci sembra che la sollecitudine di monsignore nel prendere per oro colato le denunce presentate via internet sul sito della Diocesi, sia quantomeno discutibile: si verrebbe così ad innescare un meccanismo perverso, sulla base di “confessioni” telematiche e incontrollabili, in quanto riconducibili a fatti molto datati che, prima di essere consegnati in pasto ai media, andrebbero verificati sì con molta fermezza ma anche con altrettanta oculatezza. Sappiamo ormai per esperienza che molto spesso queste denunce, soprattutto telematiche, fanno leva o su motivazioni che hanno solo lo scopo di ottenere una certa notorietà (oggi questo genere di “vittimismo” rischia di fare tendenza) o sulla speranza di fantomatici risarcimenti aurei o, cosa forse più realistica, sulla volontà di continuare a gettare fango mediatico nei confronti della Chiesa e del Papa. Cominciamo ad averne già abbastanza: siamo alla saturazione!
(Mario, Administrator, 21 aprile 2010)
Küng: altra demenziale stoccata al Papa e alla Chiesa
Si chiama “Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica”. Un documento che non ha nulla di nuovo: il solito livore personale contro Benedetto XVI, la prosopopea di essere il depositario del “vero” e del “giusto”, l’unica possibilità di salvezza per la Chiesa Cattolica.
Per godere di questo ulteriore saggio di paranoia senile, ecco il testo completo, a cui come al solito Repubblica offre grande risonanza (come ti sbagli?):
«Negli anni 1962-1965 Joseph Ratzinger - oggi Benedetto XVI - ed io eravamo i due più giovani teologi del Concilio. Oggi siamo i più anziani, e i soli ancora in piena attività. Ho sempre inteso il mio impegno teologico come un servizio alla Chiesa. Per questo, mosso da preoccupazione per la crisi di fiducia in cui versa questa nostra Chiesa, la più profonda che si ricordi dai tempi della Riforma ad oggi, mi rivolgo a voi, in occasione del quinto anniversario dell'elezione di papa Benedetto al soglio pontificio, con una lettera aperta. È questo infatti l'unico mezzo di cui dispongo per mettermi in contatto con voi.
Avevo apprezzato molto a suo tempo l'invito di papa Benedetto, che malgrado la mia posizione critica nei suoi riguardi mi accordò, poco dopo l'inizio del suo pontificato, un colloquio di quattro ore, che si svolse in modo amichevole. Ne avevo tratto la speranza che Joseph Ratzinger, già mio collega all'università di Tübingen, avrebbe trovato comunque la via verso un ulteriore rinnovamento della Chiesa e un'intesa ecumenica, nello spirito del Concilio Vaticano II. Purtroppo le mie speranze, così come quelle di tante e tanti credenti che vivono con impegno la fede cattolica, non si sono avverate; ho avuto modo di farlo sapere più di una volta a papa Benedetto nella corrispondenza che ho avuto con lui.
Indubbiamente egli non ha mai mancato di adempiere con scrupolo agli impegni quotidiani del papato, e inoltre ci ha fatto dono di tre giovevoli encicliche sulla fede, la speranza e l'amore. Ma a fronte della maggiore sfida del nostro tempo il suo pontificato si dimostra ogni giorno di più come un'ulteriore occasione perduta, per non aver saputo cogliere una serie di opportunità:
a). È mancato il ravvicinamento alle Chiese evangeliche, non considerate neppure come Chiese nel senso proprio del termine: da qui l'impossibilità di un riconoscimento delle sue autorità e della celebrazione comune dell'Eucaristia. - È mancata la continuità del dialogo con gli ebrei: il papa ha reintrodotto l'uso preconciliare della preghiera per l'illuminazione degli ebrei; ha accolto nella Chiesa alcuni vescovi notoriamente scismatici e antisemiti; sostiene la beatificazione di Pio XII; e prende in seria considerazione l'ebraismo solo in quanto radice storica del cristianesimo, e non già come comunità di fede che tuttora persegue il proprio cammino di salvezza. In tutto il mondo gli ebrei hanno espresso sdegno per le parole del Predicatore della Casa Pontificia, che in occasione della liturgia del venerdì santo ha paragonato le critiche rivolte al papa alle persecuzioni antisemite. - Con i musulmani si è mancato di portare avanti un dialogo improntato alla fiducia. Sintomatico in questo senso è il discorso pronunciato dal papa a Ratisbona: mal consigliato, Benedetto XVI ha dato dell'islam un'immagine caricaturale, descrivendolo come una religione disumana e violenta e alimentando così la diffidenza tra i musulmani. - È mancata la riconciliazione con i nativi dell'America Latina: in tutta serietà, il papa ha sostenuto che quei popoli colonizzati "anelassero" ad accogliere la religione dei conquistatori europei.- Non si è colta l'opportunità di venire in aiuto alle popolazioni dell'Africa nella lotta contro la sovrappopolazione e l'AIDS, assecondando la contraccezione e l'uso del preservativo.
b) Non si è colta l'opportunità di riconciliarsi con la scienza moderna, riconoscendo senza ambiguità la teoria dell'evoluzione e aderendo, seppure con le debite differenziazioni, alle nuove prospettive della ricerca, ad esempio sulle cellule staminali.- Si è mancato di adottare infine, all'interno stesso del Vaticano, lo spirito del Concilio Vaticano II come bussola di orientamento della Chiesa cattolica, portando avanti le sue riforme. Quest'ultimo punto, stimatissimi vescovi, riveste un'importanza cruciale. Questo papa non ha mai smesso di relativizzare i testi del Concilio, interpretandoli in senso regressivo e contrario allo spirito dei Padri conciliari, e giungendo addirittura a contrapporsi espressamente al Concilio ecumenico, il quale rappresenta, in base al diritto canonico, l'autorità suprema della Chiesa cattolica:- ha accolto nella Chiesa cattolica, senza precondizione alcuna, i vescovi tradizionalisti della Fraternità di S. Pio X, ordinati illegalmente al di fuori della Chiesa cattolica, che hanno ricusato il Concilio su alcuni dei suoi punti essenziali;- ha promosso con ogni mezzo la messa medievale tridentina, e occasionalmente celebra egli stesso l'Eucaristia in latino, volgendo le spalle ai fedeli; - non realizza l'intesa con la Chiesa anglicana prevista nei documenti ecumenici ufficiali (ARCIC), ma cerca invece di attirare i preti anglicani sposati verso la Chiesa cattolica romana rinunciando all'obbligo del celibato.- ha potenziato, a livello mondiale, le forze anticonciliari all'interno della Chiesa attraverso la nomina di alti responsabili anticonciliari (ad es.: Segreteria di Stato, Congregazione per la Liturgia) e di vescovi reazionari.
Papa Benedetto XVI sembra allontanarsi sempre più dalla grande maggioranza del popolo della Chiesa, il quale peraltro è già di per sé portato a disinteressarsi di quanto avviene a Roma, e nel migliore dei casi si identifica con la propria parrocchia o con il vescovo locale.
So bene che anche molti di voi soffrono di questa situazione: la politica anticonciliare del papa ha il pieno appoggio della Curia romana, che cerca di soffocare le critiche nell'episcopato e in seno alla Chiesa, e di screditare i dissenzienti con ogni mezzo. A Roma si cerca di accreditare, con rinnovate esibizioni di sfarzo barocco e manifestazioni di grande impatto mediatico, l'immagine di una Chiesa forte, con un "vicario di Cristo" assolutista, che riunisce nelle proprie mani i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Ma la politica di restaurazione di Benedetto XVI è fallita. Le sue pubbliche apparizioni, i suoi viaggi, i suoi documenti non sono serviti a influenzare nel senso della dottrina romana le idee della maggioranza dei cattolici su varie questioni controverse, e in particolare sulla morale sessuale. Neppure i suoi incontri con i giovani, in larga misura membri di gruppi carismatici di orientamento conservatore, hanno potuto frenare le defezioni dalla Chiesa, o incrementare le vocazioni al sacerdozio.
Nella vostra qualità di vescovi voi siete certo i primi a risentire dolorosamente dalla rinuncia di decine di migliaia di sacerdoti, che dall'epoca del Concilio ad oggi si sono dimessi dai loro incarichi soprattutto a causa della legge sul celibato. Il problema delle nuove leve non riguarda solo i preti ma anche gli ordini religiosi, le suore, i laici consacrati: il decremento è sia quantitativo che qualitativo. La rassegnazione e la frustrazione si diffondono tra il clero, e soprattutto tra i suoi esponenti più attivi; tanti si sentono abbandonati nel loro disagio, e soffrono a causa della Chiesa. In molte delle vostre diocesi è verosimilmente in aumento il numero delle chiese deserte, dei seminari e dei presbiteri vuoti. In molti Paesi, col preteso di una riforma ecclesiastica, si decide l'accorpamento di molte parrocchie, spesso contro la loro volontà, per costituire gigantesche "unità pastorali" affidate a un piccolo numero di preti oberati da un carico eccessivo di lavoro.
E da ultimo, ai tanti segnali della crisi in atto viene ad aggiungersi lo spaventoso scandalo degli abusi commessi da membri del clero su migliaia di bambini e adolescenti, negli Stati Uniti, in Irlanda, in Germania e altrove; e a tutto questo si accompagna una crisi di leadership, una crisi di fiducia senza precedenti. Non si può sottacere il fatto che il sistema mondiale di occultamento degli abusi sessuali del clero rispondesse alle disposizioni della Congregazione romana per la Dottrina della fede (guidata tra il 1981 e il 2005 dal cardinale Ratzinger), che fin dal pontificato di Giovanni Paolo II raccoglieva, nel più rigoroso segreto, la documentazione su questi casi. In data 18 maggio 2001 Joseph Ratzinger diramò a tutti i vescovi una lettera dai toni solenni sui delitti più gravi ("Epistula de delictis gravioribus"), imponendo nel caso di abusi il "secretum pontificium", la cui violazione è punita dalla la Chiesa con severe sanzioni. E' dunque a ragione che molti hanno chiesto un personale "mea culpa" al prefetto di allora, oggi papa Benedetto XVI. Il quale però non ha colto per farlo l'occasione della settimana santa, ma al contrario ha fatto attestare "urbi et orbi", la domenica di Pasqua, la sua innocenza al cardinale decano. Per la Chiesa cattolica le conseguenze di tutti gli scandali emersi sono devastanti, come hanno confermato alcuni dei suoi maggiori esponenti. Il sospetto generalizzato colpisce ormai indiscriminatamente innumerevoli educatori e pastori di grande impegno e di condotta ineccepibile. Sta a voi, stimatissimi vescovi, chiedervi quale sarà il futuro delle vostre diocesi e quello della nostra Chiesa. Non è mia intenzione proporvi qui un programma di riforme. L'ho già fatto più d'una volta, sia prima che dopo il Concilio. Mi limiterò invece a sottoporvi qui sei proposte, condivise - ne sono convinto - da milioni di cattolici che non hanno voce.
1. Non tacete. Il silenzio a fronte di tanti gravissimi abusi vi rende corresponsabili. Al contrario, ogni qualvolta ritenete che determinate leggi, disposizioni o misure abbiano effetti controproducenti, dovreste dichiararlo pubblicamente. Non scrivete lettere a Roma per fare atto di sottomissione e devozione, ma per esigere riforme!
2. Ponete mano a iniziative riformatrici. Tanti, nella Chiesa e nell'episcopato, si lamentano di Roma, senza però mai prendere un'iniziativa. Ma se oggi in questa o quella diocesi o comunità i parrocchiani disertano la messa, se l'opera pastorale risulta inefficace, se manca l'apertura verso i problemi e i mali del mondo, se la cooperazione ecumenica si riduce a un minimo, non si possono scaricare tutte le colpe su Roma. Tutti, dal vescovo al prete o al laico, devono impegnarsi per il rinnovamento della Chiesa nel proprio ambiente di vita, piccolo o grande che sia. Molte cose straordinarie, nelle comunità e più in generale in seno alla Chiesa, sono nate dall'iniziativa di singole persone o di piccoli gruppi. Spetta a voi, nella vostra qualità di vescovi, il compito di promuovere e sostenere simili iniziative, così come quello di rispondere, soprattutto in questo momento, alle giustificate lagnanze dei fedeli.
3. Agire collegialmente. Il Concilio ha decretato, dopo un focoso dibattito e contro la tenace opposizione curiale, la collegialità dei papi e dei vescovi, in analogia alla storia degli apostoli: lo stesso Pietro non agiva al di fuori del collegio degli apostoli. Ma nel periodo post-conciliare il papa e la curia hanno ignorato questa fondamentale decisione conciliare. Fin da quando, a soli due anni dal Concilio e senza alcuna consultazione con l'episcopato, Paolo VI promulgò un'enciclica in difesa della discussa legge sul celibato, la politica e il magistero pontificio ripresero a funzionare secondo il vecchio stile non collegiale. Nella stessa liturgia il papa si presenta come un autocrate, davanti al quale i vescovi, dei quali volentieri si circonda, figurano come comparse senza diritti e senza voce. Perciò, stimatissimi vescovi, non dovreste agire solo individualmente, bensì in comune con altri vescovi, con i preti, con le donne e gli uomini che formano il popolo della Chiesa.
4. L'obbedienza assoluta si deve solo a Dio. Voi tutti, al momento della solenne consacrazione alla dignità episcopale, avete giurato obbedienza incondizionata al papa. Tuttavia sapete anche che l'obbedienza assoluta è dovuta non già al papa, ma soltanto a Dio. Perciò non dovete vedere in quel giuramento a un ostacolo tale da impedirvi di dire la verità sull'attuale crisi della Chiesa, della vostra diocesi e del vostro Paese. Seguite l'esempio dell'apostolo Paolo, che si oppose a Pietro "a viso aperto, perché evidentemente aveva torto" (Gal. 2,11). Può essere legittimo fare pressione sulle autorità romane, in uno spirito di fratellanza cristiana, laddove queste non aderiscano allo spirito del Vangelo e della loro missione. Numerosi traguardi - come l'uso delle lingue nazionali nella liturgia, le nuove disposizioni sui matrimoni misti, l'adesione alla tolleranza, alla democrazia, ai diritti umani, all'intesa ecumenica e molti altri ancora hanno potuto essere raggiunti soltanto grazie a una costante e tenace pressione dal basso.
5. Perseguire soluzioni regionali: il Vaticano si mostra spesso sordo alle giustificate richieste dei vescovi, dei preti e dei laici. Ragione di più per puntare con intelligenza a soluzioni regionali. Come ben sapete, un problema particolarmente delicato è costituito dalla legge sul celibato, una norma di origine medievale, la quale a ragione è ora messa in discussione a livello mondiale nel contesto dello scandalo suscitato dagli abusi. Un cambiamento in contrapposizione con Roma appare pressoché impossibile; ma non per questo si è condannati alla passività. Un prete che dopo seria riflessione abbia maturato l'intenzione di sposarsi non dovrebbe essere costretto a dimettersi automaticamente dal suo incarico, se potesse contare sul sostegno del suo vescovo e della sua comunità. Una singola Conferenza episcopale potrebbe aprire la strada procedendo a una soluzione regionale. Meglio sarebbe tuttavia mirare a una soluzione globale per la Chiesa nel suo insieme. Perciò:
6. si chieda la convocazione di un Concilio: se per arrivare alla riforma liturgica, alla libertà religiosa, all'ecumenismo e al dialogo interreligioso c'è stato bisogno di un Concilio, lo stesso vale oggi a fronte dei problemi che si pongono in termini tanto drammatici. Un secolo prima della Riforma, il Concilio di Costanza aveva deciso la convocazione di un concilio ogni cinque anni: decisione che fu però disattesa dalla Curia romana, la quale anche oggi farà indubbiamente di tutto per evitare un concilio dal quale non può che temere una limitazione dei propri poteri. È responsabilità di tutti voi riuscire a far passare la proposta di un concilio, o quanto meno di un'assemblea episcopale rappresentativa. Questo, a fronte di una Chiesa in crisi, è l'appello che rivolgo a voi, stimatissimi vescovi: vi invito a gettare sulla bilancia il peso della vostra autorità episcopale, rivalutata dal Concilio. Nella difficile situazione che stiamo vivendo, gli occhi del mondo sono rivolti a voi. Innumerevoli sono i cattolici che hanno perso la fiducia nella loro Chiesa; e il solo modo per contribuire a ripristinarla è quello di affrontare onestamente e apertamente i problemi, per adottare le riforme che ne conseguono. Chiedo a voi, nel più totale rispetto, di fare la vostra parte, ove possibile in collaborazione con altri vescovi, ma se necessario anche soli, con apostolica "franchezza" (At 4,29.31). Date un segno di speranza ai vostri fedeli, date una prospettiva alla nostra Chiesa. Vi saluto nella comunione della fede cristiana».
Per chi non conoscesse Küng, sentire la formula di commiato, farebbe pensare ad una Lettera di Paolo, seriamente preoccupato per la salute della Chiesa. Ma da Paolo a Küng ce ne corre! Anche se quest’ultimo nutre sicuramente in cuor suo la certezza di avere maggior seguito del primo.
E questo pensa anche una fantomatica associazione di teologi cattolici spagnoli, i quali, prese al volo carta e penna, hanno immediatamente aderito all’assist lanciato dal Küng. Riporto fedelmente la notizia (© Copyright Blog Segno dei Tempi): «Cinquanta teologi in Spagna chiedono le dimissioni del Papa perché non avrebbe “l’età né la mentalità”. Cinquanta teologi spagnoli hanno reso noto il loro sostegno all’appello del teologo Hans Küng, chiedendo le dimissioni del Papa. Secondo El País, si tratta dell’ennesimo segnale a conferma dell’insofferenza con cui diverse comunità cristiane di base e numerosi teologi indipendenti stiano assistendo al comportamento delle gerarchie vaticane nel gestire gli scandali sulla pedofilia.
L’appello è stato promosso dall’associazione indipendente Teologi di Giovanni XXIII e fa riferimento alla “Lettera aperta ai vescovi di tutto il mondo” firmata dal professore Hans Küng, noto teologo svizzero che ha definito l’attuale pontificato come “un’occasione persa” sotto ogni punto di vista. Nel loro manifesto i teologi lanciano una serie di proposte per riformare la Chiesa cattolica, “offerte con spirito costruttivo”, e una di queste è quella relativa alle dimissioni di Benedetto XVI.
“Crediamo che il pontificato di Benedetto XVI si sia esaurito. Il Papa non ha l’età né la mentalità per rispondere adeguatamente ai gravi e urgenti problemi che la Chiesa cattolica si trova a dover affrontare. Pensiamo quindi, con il dovuto rispetto per la sua persona, che debba presentare le dimissioni dalla sua carica”.
Al di là del sottile compiacimento che il testo lascia trapelare, c’è di che godere veramente: bella ciurma di teologi (povero Giovanni XXIII, se lo sapesse!). Gente dalle soluzioni spicce, aperti a tutto, pronti a seguire il richiamo del primo saltimbanco di turno, ma contrari ad ascoltare quello che lo Spirito dice alla Chiesa: e cosa dice lo Spirito? “Oggi, se udrete la Sua voce, non indurite il vostro cuore” e “ Venite, figli, ascoltatemi: vi insegnerò il timore del Signore” (San Benedetto, Prologo alla Regola). Purtroppo per loro questi discepoli hanno avuto non San Benedetto come maestro, ma un Küng. Ed è tutto dire! Del resto, che altro si poteva pretendere con cotanto maestro?
(Mario, Administrator, 22 aprile 2010)
Per godere di questo ulteriore saggio di paranoia senile, ecco il testo completo, a cui come al solito Repubblica offre grande risonanza (come ti sbagli?):
«Negli anni 1962-1965 Joseph Ratzinger - oggi Benedetto XVI - ed io eravamo i due più giovani teologi del Concilio. Oggi siamo i più anziani, e i soli ancora in piena attività. Ho sempre inteso il mio impegno teologico come un servizio alla Chiesa. Per questo, mosso da preoccupazione per la crisi di fiducia in cui versa questa nostra Chiesa, la più profonda che si ricordi dai tempi della Riforma ad oggi, mi rivolgo a voi, in occasione del quinto anniversario dell'elezione di papa Benedetto al soglio pontificio, con una lettera aperta. È questo infatti l'unico mezzo di cui dispongo per mettermi in contatto con voi.
Avevo apprezzato molto a suo tempo l'invito di papa Benedetto, che malgrado la mia posizione critica nei suoi riguardi mi accordò, poco dopo l'inizio del suo pontificato, un colloquio di quattro ore, che si svolse in modo amichevole. Ne avevo tratto la speranza che Joseph Ratzinger, già mio collega all'università di Tübingen, avrebbe trovato comunque la via verso un ulteriore rinnovamento della Chiesa e un'intesa ecumenica, nello spirito del Concilio Vaticano II. Purtroppo le mie speranze, così come quelle di tante e tanti credenti che vivono con impegno la fede cattolica, non si sono avverate; ho avuto modo di farlo sapere più di una volta a papa Benedetto nella corrispondenza che ho avuto con lui.
Indubbiamente egli non ha mai mancato di adempiere con scrupolo agli impegni quotidiani del papato, e inoltre ci ha fatto dono di tre giovevoli encicliche sulla fede, la speranza e l'amore. Ma a fronte della maggiore sfida del nostro tempo il suo pontificato si dimostra ogni giorno di più come un'ulteriore occasione perduta, per non aver saputo cogliere una serie di opportunità:
a). È mancato il ravvicinamento alle Chiese evangeliche, non considerate neppure come Chiese nel senso proprio del termine: da qui l'impossibilità di un riconoscimento delle sue autorità e della celebrazione comune dell'Eucaristia. - È mancata la continuità del dialogo con gli ebrei: il papa ha reintrodotto l'uso preconciliare della preghiera per l'illuminazione degli ebrei; ha accolto nella Chiesa alcuni vescovi notoriamente scismatici e antisemiti; sostiene la beatificazione di Pio XII; e prende in seria considerazione l'ebraismo solo in quanto radice storica del cristianesimo, e non già come comunità di fede che tuttora persegue il proprio cammino di salvezza. In tutto il mondo gli ebrei hanno espresso sdegno per le parole del Predicatore della Casa Pontificia, che in occasione della liturgia del venerdì santo ha paragonato le critiche rivolte al papa alle persecuzioni antisemite. - Con i musulmani si è mancato di portare avanti un dialogo improntato alla fiducia. Sintomatico in questo senso è il discorso pronunciato dal papa a Ratisbona: mal consigliato, Benedetto XVI ha dato dell'islam un'immagine caricaturale, descrivendolo come una religione disumana e violenta e alimentando così la diffidenza tra i musulmani. - È mancata la riconciliazione con i nativi dell'America Latina: in tutta serietà, il papa ha sostenuto che quei popoli colonizzati "anelassero" ad accogliere la religione dei conquistatori europei.- Non si è colta l'opportunità di venire in aiuto alle popolazioni dell'Africa nella lotta contro la sovrappopolazione e l'AIDS, assecondando la contraccezione e l'uso del preservativo.
b) Non si è colta l'opportunità di riconciliarsi con la scienza moderna, riconoscendo senza ambiguità la teoria dell'evoluzione e aderendo, seppure con le debite differenziazioni, alle nuove prospettive della ricerca, ad esempio sulle cellule staminali.- Si è mancato di adottare infine, all'interno stesso del Vaticano, lo spirito del Concilio Vaticano II come bussola di orientamento della Chiesa cattolica, portando avanti le sue riforme. Quest'ultimo punto, stimatissimi vescovi, riveste un'importanza cruciale. Questo papa non ha mai smesso di relativizzare i testi del Concilio, interpretandoli in senso regressivo e contrario allo spirito dei Padri conciliari, e giungendo addirittura a contrapporsi espressamente al Concilio ecumenico, il quale rappresenta, in base al diritto canonico, l'autorità suprema della Chiesa cattolica:- ha accolto nella Chiesa cattolica, senza precondizione alcuna, i vescovi tradizionalisti della Fraternità di S. Pio X, ordinati illegalmente al di fuori della Chiesa cattolica, che hanno ricusato il Concilio su alcuni dei suoi punti essenziali;- ha promosso con ogni mezzo la messa medievale tridentina, e occasionalmente celebra egli stesso l'Eucaristia in latino, volgendo le spalle ai fedeli; - non realizza l'intesa con la Chiesa anglicana prevista nei documenti ecumenici ufficiali (ARCIC), ma cerca invece di attirare i preti anglicani sposati verso la Chiesa cattolica romana rinunciando all'obbligo del celibato.- ha potenziato, a livello mondiale, le forze anticonciliari all'interno della Chiesa attraverso la nomina di alti responsabili anticonciliari (ad es.: Segreteria di Stato, Congregazione per la Liturgia) e di vescovi reazionari.
Papa Benedetto XVI sembra allontanarsi sempre più dalla grande maggioranza del popolo della Chiesa, il quale peraltro è già di per sé portato a disinteressarsi di quanto avviene a Roma, e nel migliore dei casi si identifica con la propria parrocchia o con il vescovo locale.
So bene che anche molti di voi soffrono di questa situazione: la politica anticonciliare del papa ha il pieno appoggio della Curia romana, che cerca di soffocare le critiche nell'episcopato e in seno alla Chiesa, e di screditare i dissenzienti con ogni mezzo. A Roma si cerca di accreditare, con rinnovate esibizioni di sfarzo barocco e manifestazioni di grande impatto mediatico, l'immagine di una Chiesa forte, con un "vicario di Cristo" assolutista, che riunisce nelle proprie mani i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Ma la politica di restaurazione di Benedetto XVI è fallita. Le sue pubbliche apparizioni, i suoi viaggi, i suoi documenti non sono serviti a influenzare nel senso della dottrina romana le idee della maggioranza dei cattolici su varie questioni controverse, e in particolare sulla morale sessuale. Neppure i suoi incontri con i giovani, in larga misura membri di gruppi carismatici di orientamento conservatore, hanno potuto frenare le defezioni dalla Chiesa, o incrementare le vocazioni al sacerdozio.
Nella vostra qualità di vescovi voi siete certo i primi a risentire dolorosamente dalla rinuncia di decine di migliaia di sacerdoti, che dall'epoca del Concilio ad oggi si sono dimessi dai loro incarichi soprattutto a causa della legge sul celibato. Il problema delle nuove leve non riguarda solo i preti ma anche gli ordini religiosi, le suore, i laici consacrati: il decremento è sia quantitativo che qualitativo. La rassegnazione e la frustrazione si diffondono tra il clero, e soprattutto tra i suoi esponenti più attivi; tanti si sentono abbandonati nel loro disagio, e soffrono a causa della Chiesa. In molte delle vostre diocesi è verosimilmente in aumento il numero delle chiese deserte, dei seminari e dei presbiteri vuoti. In molti Paesi, col preteso di una riforma ecclesiastica, si decide l'accorpamento di molte parrocchie, spesso contro la loro volontà, per costituire gigantesche "unità pastorali" affidate a un piccolo numero di preti oberati da un carico eccessivo di lavoro.
E da ultimo, ai tanti segnali della crisi in atto viene ad aggiungersi lo spaventoso scandalo degli abusi commessi da membri del clero su migliaia di bambini e adolescenti, negli Stati Uniti, in Irlanda, in Germania e altrove; e a tutto questo si accompagna una crisi di leadership, una crisi di fiducia senza precedenti. Non si può sottacere il fatto che il sistema mondiale di occultamento degli abusi sessuali del clero rispondesse alle disposizioni della Congregazione romana per la Dottrina della fede (guidata tra il 1981 e il 2005 dal cardinale Ratzinger), che fin dal pontificato di Giovanni Paolo II raccoglieva, nel più rigoroso segreto, la documentazione su questi casi. In data 18 maggio 2001 Joseph Ratzinger diramò a tutti i vescovi una lettera dai toni solenni sui delitti più gravi ("Epistula de delictis gravioribus"), imponendo nel caso di abusi il "secretum pontificium", la cui violazione è punita dalla la Chiesa con severe sanzioni. E' dunque a ragione che molti hanno chiesto un personale "mea culpa" al prefetto di allora, oggi papa Benedetto XVI. Il quale però non ha colto per farlo l'occasione della settimana santa, ma al contrario ha fatto attestare "urbi et orbi", la domenica di Pasqua, la sua innocenza al cardinale decano. Per la Chiesa cattolica le conseguenze di tutti gli scandali emersi sono devastanti, come hanno confermato alcuni dei suoi maggiori esponenti. Il sospetto generalizzato colpisce ormai indiscriminatamente innumerevoli educatori e pastori di grande impegno e di condotta ineccepibile. Sta a voi, stimatissimi vescovi, chiedervi quale sarà il futuro delle vostre diocesi e quello della nostra Chiesa. Non è mia intenzione proporvi qui un programma di riforme. L'ho già fatto più d'una volta, sia prima che dopo il Concilio. Mi limiterò invece a sottoporvi qui sei proposte, condivise - ne sono convinto - da milioni di cattolici che non hanno voce.
1. Non tacete. Il silenzio a fronte di tanti gravissimi abusi vi rende corresponsabili. Al contrario, ogni qualvolta ritenete che determinate leggi, disposizioni o misure abbiano effetti controproducenti, dovreste dichiararlo pubblicamente. Non scrivete lettere a Roma per fare atto di sottomissione e devozione, ma per esigere riforme!
2. Ponete mano a iniziative riformatrici. Tanti, nella Chiesa e nell'episcopato, si lamentano di Roma, senza però mai prendere un'iniziativa. Ma se oggi in questa o quella diocesi o comunità i parrocchiani disertano la messa, se l'opera pastorale risulta inefficace, se manca l'apertura verso i problemi e i mali del mondo, se la cooperazione ecumenica si riduce a un minimo, non si possono scaricare tutte le colpe su Roma. Tutti, dal vescovo al prete o al laico, devono impegnarsi per il rinnovamento della Chiesa nel proprio ambiente di vita, piccolo o grande che sia. Molte cose straordinarie, nelle comunità e più in generale in seno alla Chiesa, sono nate dall'iniziativa di singole persone o di piccoli gruppi. Spetta a voi, nella vostra qualità di vescovi, il compito di promuovere e sostenere simili iniziative, così come quello di rispondere, soprattutto in questo momento, alle giustificate lagnanze dei fedeli.
3. Agire collegialmente. Il Concilio ha decretato, dopo un focoso dibattito e contro la tenace opposizione curiale, la collegialità dei papi e dei vescovi, in analogia alla storia degli apostoli: lo stesso Pietro non agiva al di fuori del collegio degli apostoli. Ma nel periodo post-conciliare il papa e la curia hanno ignorato questa fondamentale decisione conciliare. Fin da quando, a soli due anni dal Concilio e senza alcuna consultazione con l'episcopato, Paolo VI promulgò un'enciclica in difesa della discussa legge sul celibato, la politica e il magistero pontificio ripresero a funzionare secondo il vecchio stile non collegiale. Nella stessa liturgia il papa si presenta come un autocrate, davanti al quale i vescovi, dei quali volentieri si circonda, figurano come comparse senza diritti e senza voce. Perciò, stimatissimi vescovi, non dovreste agire solo individualmente, bensì in comune con altri vescovi, con i preti, con le donne e gli uomini che formano il popolo della Chiesa.
4. L'obbedienza assoluta si deve solo a Dio. Voi tutti, al momento della solenne consacrazione alla dignità episcopale, avete giurato obbedienza incondizionata al papa. Tuttavia sapete anche che l'obbedienza assoluta è dovuta non già al papa, ma soltanto a Dio. Perciò non dovete vedere in quel giuramento a un ostacolo tale da impedirvi di dire la verità sull'attuale crisi della Chiesa, della vostra diocesi e del vostro Paese. Seguite l'esempio dell'apostolo Paolo, che si oppose a Pietro "a viso aperto, perché evidentemente aveva torto" (Gal. 2,11). Può essere legittimo fare pressione sulle autorità romane, in uno spirito di fratellanza cristiana, laddove queste non aderiscano allo spirito del Vangelo e della loro missione. Numerosi traguardi - come l'uso delle lingue nazionali nella liturgia, le nuove disposizioni sui matrimoni misti, l'adesione alla tolleranza, alla democrazia, ai diritti umani, all'intesa ecumenica e molti altri ancora hanno potuto essere raggiunti soltanto grazie a una costante e tenace pressione dal basso.
5. Perseguire soluzioni regionali: il Vaticano si mostra spesso sordo alle giustificate richieste dei vescovi, dei preti e dei laici. Ragione di più per puntare con intelligenza a soluzioni regionali. Come ben sapete, un problema particolarmente delicato è costituito dalla legge sul celibato, una norma di origine medievale, la quale a ragione è ora messa in discussione a livello mondiale nel contesto dello scandalo suscitato dagli abusi. Un cambiamento in contrapposizione con Roma appare pressoché impossibile; ma non per questo si è condannati alla passività. Un prete che dopo seria riflessione abbia maturato l'intenzione di sposarsi non dovrebbe essere costretto a dimettersi automaticamente dal suo incarico, se potesse contare sul sostegno del suo vescovo e della sua comunità. Una singola Conferenza episcopale potrebbe aprire la strada procedendo a una soluzione regionale. Meglio sarebbe tuttavia mirare a una soluzione globale per la Chiesa nel suo insieme. Perciò:
6. si chieda la convocazione di un Concilio: se per arrivare alla riforma liturgica, alla libertà religiosa, all'ecumenismo e al dialogo interreligioso c'è stato bisogno di un Concilio, lo stesso vale oggi a fronte dei problemi che si pongono in termini tanto drammatici. Un secolo prima della Riforma, il Concilio di Costanza aveva deciso la convocazione di un concilio ogni cinque anni: decisione che fu però disattesa dalla Curia romana, la quale anche oggi farà indubbiamente di tutto per evitare un concilio dal quale non può che temere una limitazione dei propri poteri. È responsabilità di tutti voi riuscire a far passare la proposta di un concilio, o quanto meno di un'assemblea episcopale rappresentativa. Questo, a fronte di una Chiesa in crisi, è l'appello che rivolgo a voi, stimatissimi vescovi: vi invito a gettare sulla bilancia il peso della vostra autorità episcopale, rivalutata dal Concilio. Nella difficile situazione che stiamo vivendo, gli occhi del mondo sono rivolti a voi. Innumerevoli sono i cattolici che hanno perso la fiducia nella loro Chiesa; e il solo modo per contribuire a ripristinarla è quello di affrontare onestamente e apertamente i problemi, per adottare le riforme che ne conseguono. Chiedo a voi, nel più totale rispetto, di fare la vostra parte, ove possibile in collaborazione con altri vescovi, ma se necessario anche soli, con apostolica "franchezza" (At 4,29.31). Date un segno di speranza ai vostri fedeli, date una prospettiva alla nostra Chiesa. Vi saluto nella comunione della fede cristiana».
Per chi non conoscesse Küng, sentire la formula di commiato, farebbe pensare ad una Lettera di Paolo, seriamente preoccupato per la salute della Chiesa. Ma da Paolo a Küng ce ne corre! Anche se quest’ultimo nutre sicuramente in cuor suo la certezza di avere maggior seguito del primo.
E questo pensa anche una fantomatica associazione di teologi cattolici spagnoli, i quali, prese al volo carta e penna, hanno immediatamente aderito all’assist lanciato dal Küng. Riporto fedelmente la notizia (© Copyright Blog Segno dei Tempi): «Cinquanta teologi in Spagna chiedono le dimissioni del Papa perché non avrebbe “l’età né la mentalità”. Cinquanta teologi spagnoli hanno reso noto il loro sostegno all’appello del teologo Hans Küng, chiedendo le dimissioni del Papa. Secondo El País, si tratta dell’ennesimo segnale a conferma dell’insofferenza con cui diverse comunità cristiane di base e numerosi teologi indipendenti stiano assistendo al comportamento delle gerarchie vaticane nel gestire gli scandali sulla pedofilia.
L’appello è stato promosso dall’associazione indipendente Teologi di Giovanni XXIII e fa riferimento alla “Lettera aperta ai vescovi di tutto il mondo” firmata dal professore Hans Küng, noto teologo svizzero che ha definito l’attuale pontificato come “un’occasione persa” sotto ogni punto di vista. Nel loro manifesto i teologi lanciano una serie di proposte per riformare la Chiesa cattolica, “offerte con spirito costruttivo”, e una di queste è quella relativa alle dimissioni di Benedetto XVI.
“Crediamo che il pontificato di Benedetto XVI si sia esaurito. Il Papa non ha l’età né la mentalità per rispondere adeguatamente ai gravi e urgenti problemi che la Chiesa cattolica si trova a dover affrontare. Pensiamo quindi, con il dovuto rispetto per la sua persona, che debba presentare le dimissioni dalla sua carica”.
Al di là del sottile compiacimento che il testo lascia trapelare, c’è di che godere veramente: bella ciurma di teologi (povero Giovanni XXIII, se lo sapesse!). Gente dalle soluzioni spicce, aperti a tutto, pronti a seguire il richiamo del primo saltimbanco di turno, ma contrari ad ascoltare quello che lo Spirito dice alla Chiesa: e cosa dice lo Spirito? “Oggi, se udrete la Sua voce, non indurite il vostro cuore” e “ Venite, figli, ascoltatemi: vi insegnerò il timore del Signore” (San Benedetto, Prologo alla Regola). Purtroppo per loro questi discepoli hanno avuto non San Benedetto come maestro, ma un Küng. Ed è tutto dire! Del resto, che altro si poteva pretendere con cotanto maestro?
(Mario, Administrator, 22 aprile 2010)
Ma tra l’assedio alla Chiesa e l’antisemitismo un legame c’è
Non stiamo giustificando alcunché. Ma si deve essere ciechi per non vedere che, in un mondo in cui la pedofilia diventa addirittura partito, l’indignazione a senso unico ha altri obiettivi, magari far pagare il conto di Ratisbona
Non è facile puntualizzare questioni tanto delicate, ma proviamo almeno a fare una sintesi di problemi. L’accusa nei confronti della Chiesa non è tanto di avere preti pedofili nel suo seno quanto di essere stata omertosa nei loro confronti. Ammettiamo pure che debba essere verificata. Ma c’è poco da verificare circa la natura della tolleranza che ha circondato per un triennio l’esistenza del Pnvd, partito olandese esplicitamente pro-pedofilo, il quale si è sciolto giorni fa solo perché non ha raccolto un numero sufficiente di firme per presentarsi alle elezioni, ma non perché fosse illegale. Anzi la Corte costituzionale olandese deliberò non potersi dichiarare anticostituzionale un partito in base al suo programma!… Ora, sia chiaro, una colpa non lava l’altra, ma lascia stupiti l’enorme scandalo suscitato nel primo caso e il silenzio totale nel secondo, in cui l’omertà è plateale. Quando si viene a sapere che si sta aprendo il capitolo della pedofilia nelle scuole rabbiniche, un sospetto viene alla mente: che qualcuno abbia pensato di cavalcare il sacrosanto sdegno nei confronti di un’aberrazione così schifosa e repellente per dare addosso alla religione in quanto tale. E attenzione: a certe religioni, guarda caso quelle che sono al cuore dell’Occidente. Se in un paese dell’Unione Europea si concede che un partito pedofilo possa presentarsi alle elezioni, nessuno fa una piega: è un’“opzione culturale”. Se si taglia la gola alle figlie che si sposano con un infedele ci si volta dall’altra parte: è un’“opzione culturale”. Anche consentire alle minorenni di abortire senza dirlo ai genitori è un’“opzione culturale”. All’interno di questa logica aberrante anche un prete avrebbe diritto alla sua “opzione culturale”.
Nessuno provi a dire che stiamo giustificando alcunché o alcuno. Ma bisogna essere ciechi per non vedere che, in un mondo in cui la pedofilia dilaga, questa campagna mirata, questa indignazione morale a senso unico ha altri obiettivi, magari far pagare il conto del discorso di Ratisbona.
In questo contesto certe contrapposizioni manifestano una cecità sconcertante. Tanto per esser chiari, non ho capito perché riaprire la polemica sulla preghiera del Venerdì santo per la salvezza degli ebrei. Trovo altresì sconcertante il silenzio di fronte ai proclami provenienti dal mondo islamico secondo cui l’ebraismo non ha legami storici e religiosi con Gerusalemme. Persino il premier turco ha proclamato che gli ebrei non hanno diritti su Gerusalemme, “pupilla dell’occhio dell’islam”. È un autentico scandalo. Quest’anno la Pasqua ebraica – in cui da duemila anni si recita la formula “L’anno prossimo a Gerusalemme” – è stata contrassegnata da una delegittimazione morale di Israele senza precedenti. Si parla di Stato razzista e si stabilisce un assurdo paragone con il Sudafrica dell’apartheid. A Israele non viene neppure riconosciuto il merito di aver garantito una libertà di accesso ai luoghi santi sconosciuta dalla morte di Gesù. Su questo scandalo non si sono udite parole di condanna da parte della Chiesa e del mondo cattolico.
Il confronto tra l’attuale situazione della Chiesa e l’antisemitismo era stato formulato in modo infelice, ma, come ha osservato Vittorio Dan Segre non era senza fondamento. Come «la Chiesa non è un’istituzione di vizio mascherato da falsa umiltà e carità» così «l’ebraismo non è un gruppo di potere economico, razzista, mascherato da falso vittimismo». E sia la Chiesa che Israele «sono testimoni del fatto che esistono verità morali nella società e nella politica». Ma che senso ha aver cura soltanto della propria delegittimazione, ignorando quella dell’altro o addirittura avallandola?
(Fonte: Giorgio Israel, Tempi, 13 aprile 2010)
Non è facile puntualizzare questioni tanto delicate, ma proviamo almeno a fare una sintesi di problemi. L’accusa nei confronti della Chiesa non è tanto di avere preti pedofili nel suo seno quanto di essere stata omertosa nei loro confronti. Ammettiamo pure che debba essere verificata. Ma c’è poco da verificare circa la natura della tolleranza che ha circondato per un triennio l’esistenza del Pnvd, partito olandese esplicitamente pro-pedofilo, il quale si è sciolto giorni fa solo perché non ha raccolto un numero sufficiente di firme per presentarsi alle elezioni, ma non perché fosse illegale. Anzi la Corte costituzionale olandese deliberò non potersi dichiarare anticostituzionale un partito in base al suo programma!… Ora, sia chiaro, una colpa non lava l’altra, ma lascia stupiti l’enorme scandalo suscitato nel primo caso e il silenzio totale nel secondo, in cui l’omertà è plateale. Quando si viene a sapere che si sta aprendo il capitolo della pedofilia nelle scuole rabbiniche, un sospetto viene alla mente: che qualcuno abbia pensato di cavalcare il sacrosanto sdegno nei confronti di un’aberrazione così schifosa e repellente per dare addosso alla religione in quanto tale. E attenzione: a certe religioni, guarda caso quelle che sono al cuore dell’Occidente. Se in un paese dell’Unione Europea si concede che un partito pedofilo possa presentarsi alle elezioni, nessuno fa una piega: è un’“opzione culturale”. Se si taglia la gola alle figlie che si sposano con un infedele ci si volta dall’altra parte: è un’“opzione culturale”. Anche consentire alle minorenni di abortire senza dirlo ai genitori è un’“opzione culturale”. All’interno di questa logica aberrante anche un prete avrebbe diritto alla sua “opzione culturale”.
Nessuno provi a dire che stiamo giustificando alcunché o alcuno. Ma bisogna essere ciechi per non vedere che, in un mondo in cui la pedofilia dilaga, questa campagna mirata, questa indignazione morale a senso unico ha altri obiettivi, magari far pagare il conto del discorso di Ratisbona.
In questo contesto certe contrapposizioni manifestano una cecità sconcertante. Tanto per esser chiari, non ho capito perché riaprire la polemica sulla preghiera del Venerdì santo per la salvezza degli ebrei. Trovo altresì sconcertante il silenzio di fronte ai proclami provenienti dal mondo islamico secondo cui l’ebraismo non ha legami storici e religiosi con Gerusalemme. Persino il premier turco ha proclamato che gli ebrei non hanno diritti su Gerusalemme, “pupilla dell’occhio dell’islam”. È un autentico scandalo. Quest’anno la Pasqua ebraica – in cui da duemila anni si recita la formula “L’anno prossimo a Gerusalemme” – è stata contrassegnata da una delegittimazione morale di Israele senza precedenti. Si parla di Stato razzista e si stabilisce un assurdo paragone con il Sudafrica dell’apartheid. A Israele non viene neppure riconosciuto il merito di aver garantito una libertà di accesso ai luoghi santi sconosciuta dalla morte di Gesù. Su questo scandalo non si sono udite parole di condanna da parte della Chiesa e del mondo cattolico.
Il confronto tra l’attuale situazione della Chiesa e l’antisemitismo era stato formulato in modo infelice, ma, come ha osservato Vittorio Dan Segre non era senza fondamento. Come «la Chiesa non è un’istituzione di vizio mascherato da falsa umiltà e carità» così «l’ebraismo non è un gruppo di potere economico, razzista, mascherato da falso vittimismo». E sia la Chiesa che Israele «sono testimoni del fatto che esistono verità morali nella società e nella politica». Ma che senso ha aver cura soltanto della propria delegittimazione, ignorando quella dell’altro o addirittura avallandola?
(Fonte: Giorgio Israel, Tempi, 13 aprile 2010)
A chi gli eroi a chi i buffoni...
La Polonia ha celebrato unita la memoria dei propri morti, non solo i 23.000 ufficiali assassinati a Katyn, ma anche le più alte cariche dello stato e del governo che hanno perso la vita nella tragedia aerea di Smolensk, oltre il confine orientale, nei pressi di Katyn. Una coincidenza singolare, come ha osservato l’ex presidente Lech Walesa, quella di un cupo luogo geografico che per la seconda volta tragicamente inghiotte l’elite politica ed intellettuale della nazione. Da giorni a Varsavia la gente si raduna spontaneamente davanti al palazzo presidenziale per piangere e pregare, portando fiori e candele, ed anche all’estero l’attenzione dei numerosi polacchi dispersi ormai per tutti i paesi del mondo si è polarizzata su questa tragedia. Tra i 96 morti anche due figure simbolo della resistenza della nazione ai deliri totalitari: Ryszard Kaczorowski, ultimo presidente del governo polacco in esilio a Londra (che non riconobbe mai la legittimità del potere comunista insediatosi a Varsavia), ed Anna Walentynowicz, l’eroina di Danzica, dal cui licenziamento presero avvio gli scioperi dei cantieri navali del 1980 e l’epopea di Solidarnosc.
La vicenda (ben poco conosciuta) di Ryszard Kaczorowski merita almeno un cenno perché racconta il carattere indomito di questa nazione. Scampato nel 1939 ad una condanna a morte inflittagli da un tribunale sovietico, Kaczorowski sopravvive anche ai lavori forzati cui è destinato nelle terribili miniere di Kolyma. E’ uno dei pochi a tornare da quell’inferno e, non appena se ne presenta la possibilità, si unisce alle ricostituite forze polacche che combattono contro i tedeschi in Italia, agli ordini del generale Wladyslaw Anders (II Corpo Polacco). Con Anders partecipa alla IV battaglia di Montecassino nel Maggio del 1944, alla liberazione di Ancona e, infine, a quella di Bologna il 21 Aprile 1945. Ovunque in Italia i soldati dell’Armia Krajowa sono accolti come liberatori, non così in patria dove il nuovo governo comunista, appena insediato, li accusa di essere traditori e mercenari al soldo degli Inglesi. Viene così revocata loro la cittadinanza e preclusa la possibilità di un ritorno a casa. Si calcola in almeno 150.000 il numero dei veterani costretti all’esilio, tra questi vi sono eroi del calibro di Anders e lo stesso Kaczorowski, cui non resta altro da fare che offrire la propria lealtà al governo polacco costituitosi nel frattempo a Londra. Molti di loro non vedranno più in vita la loro amata patria. Il governo polacco in esilio non avrà vita facile e comunque non sarà in grado di giocare alcun ruolo negli anni del dopoguerra, anzi diventa fonte di un crescente imbarazzo per i britannici rendendo ancor più difficili le relazioni con i paesi socialisti. Ciò nonostante non pochi polacchi continuano a guardare a quello di Londra come all’unico governo legittimo della nazione, e quando nel Dicembre del 1990 Lech Walesa diventa il primo presidente della Polonia post-comunista, una delegazione raggiunge in segreto Londra affinché il leader di Solidarnosc riceva simbolicamente il mandato non dal generale Wojciech Jaruzelski, ma dalle mani dell’anzianoRyszard Kaczorowski, ultimo rappresentante del governo polacco in esilio. In quell’occasione, dopo ben 52 anni, sono restituiti i simboli dello stato polacco: la bandiera presidenziale rossa, i sigilli presidenziali e dello stato, il testo originale della Costituzione del 1935. Con ciò viene ristabilita la continuità della Repubblica e si riconosce, retroattivamente, la piena legittimità del governo in esilio. Sono vicende che devono esser conosciute se si vuol capire lo spettacolo di grande fierezza e dignità nazionale di cui sta dando mostra il popolo polacco.
In questi giorni, invece, chi avesse dato un’occhiata alla pagina delle lettere di Avvenire ne avrà notate alcune firmate da polacchi residenti in Italia che si dicono amareggiati per il clima di faziosità e di indifferenza che ha accompagnato nel nostro paese le commemorazioni dei morti di Katyn e di Smolensk. Condivido. Parte della nostra “intellighentsia” intellettual-giornalistica è parsa del tutto latitante, ormai ci sono quelli che si rianimano solo se c’è da sputar fiele sulla Chiesa o sul papa. Ci siamo assuefatti ad una faziosità politica spinta all’estremo, al punto che qualcuno non ha mancato di tirar un sospiro di sollievo quando ha visto che la gran parte delle vittime apparteneva al partito di governo, quello etichettato come conservatore, quello ostile alle battaglie per i “nuovi diritti”. Come a dire che “non tutti i mali vengono per nuocere”. E mentre in Russia il presidente Putin riconosceva le responsabilità storiche del suo paese ed autorizzava la messa in onda del bellissimo film “Katyn” del regista polacco Andrzej Wajda, nel nostro paese andava in scena l’ennesimo spettacolo censorio. Il capogruppo del Pdl al senato Gasparri sollecitava l’inserimento nella programmazione televisiva del film di Wajda (di cui la RAI detiene da tempo i diritti) e la cosa era presa come una provocazione, come l’ennesimo attentato alla libertà del servizio pubblico! Al termine di uno scambio di pareri e di missive, i dirigenti dell’azienda concedevano la possibilità di un passaggio su RaiNews24 in seconda serata o tutt’al più sulla Rete 3 nella programmazione notturna. Ma il colmo lo si era toccato con la pubblicazione da parte dell’Unità di un’insulsa vignetta di Staino. Per chi non l’avesse vista ne riassumo in breve il contenuto: Bobo annunzia alla figlia Ilaria che 96 membri del governo polacco sono spariti in un colpo solo, la figlia replica che è sempre la solita storia, con qualcuno che ha tutte le fortune e qualcun altro niente! Chiaro il riferimento al governo italiano di cui si auspica un’altrettanto tragica fine ed altrettanto evidente la cinica esibizione di indifferenza nei confronti del dolore polacco. Concita De Gregorio non ha trovato di meglio che difendere l’infelice scelta millantando un’improbabile attitudine del quotidiano da lei diretto a “trovare sempre il sorriso in ogni tragedia”.
(Fonte: Stefano, La Cittadella, 20 aprile 2010)
La vicenda (ben poco conosciuta) di Ryszard Kaczorowski merita almeno un cenno perché racconta il carattere indomito di questa nazione. Scampato nel 1939 ad una condanna a morte inflittagli da un tribunale sovietico, Kaczorowski sopravvive anche ai lavori forzati cui è destinato nelle terribili miniere di Kolyma. E’ uno dei pochi a tornare da quell’inferno e, non appena se ne presenta la possibilità, si unisce alle ricostituite forze polacche che combattono contro i tedeschi in Italia, agli ordini del generale Wladyslaw Anders (II Corpo Polacco). Con Anders partecipa alla IV battaglia di Montecassino nel Maggio del 1944, alla liberazione di Ancona e, infine, a quella di Bologna il 21 Aprile 1945. Ovunque in Italia i soldati dell’Armia Krajowa sono accolti come liberatori, non così in patria dove il nuovo governo comunista, appena insediato, li accusa di essere traditori e mercenari al soldo degli Inglesi. Viene così revocata loro la cittadinanza e preclusa la possibilità di un ritorno a casa. Si calcola in almeno 150.000 il numero dei veterani costretti all’esilio, tra questi vi sono eroi del calibro di Anders e lo stesso Kaczorowski, cui non resta altro da fare che offrire la propria lealtà al governo polacco costituitosi nel frattempo a Londra. Molti di loro non vedranno più in vita la loro amata patria. Il governo polacco in esilio non avrà vita facile e comunque non sarà in grado di giocare alcun ruolo negli anni del dopoguerra, anzi diventa fonte di un crescente imbarazzo per i britannici rendendo ancor più difficili le relazioni con i paesi socialisti. Ciò nonostante non pochi polacchi continuano a guardare a quello di Londra come all’unico governo legittimo della nazione, e quando nel Dicembre del 1990 Lech Walesa diventa il primo presidente della Polonia post-comunista, una delegazione raggiunge in segreto Londra affinché il leader di Solidarnosc riceva simbolicamente il mandato non dal generale Wojciech Jaruzelski, ma dalle mani dell’anzianoRyszard Kaczorowski, ultimo rappresentante del governo polacco in esilio. In quell’occasione, dopo ben 52 anni, sono restituiti i simboli dello stato polacco: la bandiera presidenziale rossa, i sigilli presidenziali e dello stato, il testo originale della Costituzione del 1935. Con ciò viene ristabilita la continuità della Repubblica e si riconosce, retroattivamente, la piena legittimità del governo in esilio. Sono vicende che devono esser conosciute se si vuol capire lo spettacolo di grande fierezza e dignità nazionale di cui sta dando mostra il popolo polacco.
In questi giorni, invece, chi avesse dato un’occhiata alla pagina delle lettere di Avvenire ne avrà notate alcune firmate da polacchi residenti in Italia che si dicono amareggiati per il clima di faziosità e di indifferenza che ha accompagnato nel nostro paese le commemorazioni dei morti di Katyn e di Smolensk. Condivido. Parte della nostra “intellighentsia” intellettual-giornalistica è parsa del tutto latitante, ormai ci sono quelli che si rianimano solo se c’è da sputar fiele sulla Chiesa o sul papa. Ci siamo assuefatti ad una faziosità politica spinta all’estremo, al punto che qualcuno non ha mancato di tirar un sospiro di sollievo quando ha visto che la gran parte delle vittime apparteneva al partito di governo, quello etichettato come conservatore, quello ostile alle battaglie per i “nuovi diritti”. Come a dire che “non tutti i mali vengono per nuocere”. E mentre in Russia il presidente Putin riconosceva le responsabilità storiche del suo paese ed autorizzava la messa in onda del bellissimo film “Katyn” del regista polacco Andrzej Wajda, nel nostro paese andava in scena l’ennesimo spettacolo censorio. Il capogruppo del Pdl al senato Gasparri sollecitava l’inserimento nella programmazione televisiva del film di Wajda (di cui la RAI detiene da tempo i diritti) e la cosa era presa come una provocazione, come l’ennesimo attentato alla libertà del servizio pubblico! Al termine di uno scambio di pareri e di missive, i dirigenti dell’azienda concedevano la possibilità di un passaggio su RaiNews24 in seconda serata o tutt’al più sulla Rete 3 nella programmazione notturna. Ma il colmo lo si era toccato con la pubblicazione da parte dell’Unità di un’insulsa vignetta di Staino. Per chi non l’avesse vista ne riassumo in breve il contenuto: Bobo annunzia alla figlia Ilaria che 96 membri del governo polacco sono spariti in un colpo solo, la figlia replica che è sempre la solita storia, con qualcuno che ha tutte le fortune e qualcun altro niente! Chiaro il riferimento al governo italiano di cui si auspica un’altrettanto tragica fine ed altrettanto evidente la cinica esibizione di indifferenza nei confronti del dolore polacco. Concita De Gregorio non ha trovato di meglio che difendere l’infelice scelta millantando un’improbabile attitudine del quotidiano da lei diretto a “trovare sempre il sorriso in ogni tragedia”.
(Fonte: Stefano, La Cittadella, 20 aprile 2010)
Cinque anni di papato: «La Chiesa è ferita ma io non sono solo»
È un momento di "tribolazione" per una Chiesa "ferita e peccatrice", che tuttavia confida nell'aiuto di Dio: lo ha detto papa Benedetto XVI, con un implicito riferimento allo scandalo degli abusi, durante il pranzo oggi con i cardinali residenti a Roma, organizzato oggi in Vaticano in onore del suo quinto anno di Pontificato. Ratzinger ha anche detto di non sentirsi "solo", perché avverte attorno a sé la presenza e l'appoggio dell'intero collegio cardinalizio. che ha voluto ringraziare per l'aiuto che riceve
giorno dopo giorno. "Soprattutto - ha confidato - nel momento in cui sembra vedersi confermata la parola di sant'Agostino citata dal Vaticano II, che la Chiesa ha peregrinato inter persecutiones mundi et consolationem Dei".
A questo proposito, riferisce l'Osservatore Romano, "il Pontefice ha accennato ai peccati della Chiesa, ricordando che essa, ferita e peccatrice, sperimenta ancor più le consolazioni di Dio". In particolare, per il Papa, "è una grande consolazione proprio il Collegio cardinalizio". "Nella Chiesa - ha spiegato Ratzinger - esistono due principi: uno personale e uno comunionale. Ora il Papa ha una responsabilità personale, non delegabile; il vescovo è circondato dai suoi presbiteri. Ma il Papa è circondato dal collegio cardinalizio che potrebbe essere chiamato in termini orientali quasi il suo sinodo, la sua compagnia permanente che lo aiuta, l'accompagna, lo affianca nel suo lavoro". Ed è "questa vicinanza particolare che il Pontefice avverte in questo momento e per la quale - dalle colonne dell'Osservatore Romano - ringrazia il Signore mentre invoca, per andare avanti, la forza della fede, nella gioia della risurrezione".
Prima di cadere sulla via di Damasco, Paolo, come egli stesso racconta, aveva "perseguitato ferocemente la Chiesa di Dio e cercato di distruggerla". "Ma - ha affermato oggi il Papa in visita a Malta - l'odio e la rabbia espresse in quelle parole furono completamente spazzate via dalla potenza dell'amore di Cristo". Una riflessione che riassume bene quanto è accaduto in questo 14esimo viaggio internazionale di Benedetto XVI, preceduto da attacchi e polemiche mediatiche su presunte coperture offerte ai preti pedofili, ma poi caratterizzato da folle ed entusiasmo superiori a ogni ottimistica attesa (50 mila fedeli nella piazza dei Granai di Floriana, 15 mila giovani sulla banchina Waterfront) e soprattutto dalle lacrime sincere del Pontefice che hanno accompagnato l'incontro con otto vittime di queste violenze nel raccoglimento della Cappella della nunziatura di Rabat. E anche i diversi interventi pronunciati dal Pontefice sono stati nel segno di una assoluta fermezza sui principi - tenete duro su divorzio e aborto ha chiesto ai cattolici maltesi - temperata però dall'invito altrettanto forte ad un'apertura verso gli altri, a partire dagli immigrati che approdano su quest'isola nel cuore del Mediterraneo.
"Ho visto il Papa piangere di emozione e mi sono sentito liberato da un grande peso", ha raccontato una delle otto vittime. "Ho visto in lui e nel vescovo di Malta l'umiltà di una Chiesa che in quel momento rappresentava tutto il problema della Chiesa moderna". E quando il Papa, "ha appoggiato la mano sulla testa di ciascuno dei partecipanti all'incontro, benedicendoli, mi sono sentito - ha detto - liberato e sollevato da un grande peso". "Dio non rifiuta nessuno. E la Chiesa non rifiuta nessuno", ha detto il Pontefice agli oltre 15 mila ragazzi di Malta che lo hanno acclamato con grande entusiasmo al suo arrivo - con lo stesso catamarano utilizzato da Giovanni Paolo II nel '90 - sulla banchina gremita all'inverosimile. "Dio - ha spiegato - ama ogni singola persona di questo mondo, anzi egli ama ogni singola persona di ogni epoca della storia del mondo. Nella morte e risurrezione di Gesù, resa presente ogni volta che celebriamo la Messa, egli offre la vita in abbondanza a tutte queste persone. Come cristiani siamo chiamati a manifestare l'amore di Dio che comprende tutti. Dobbiamo perciò soccorrere il povero, il debole, l'emarginato; dobbiamo avere una cura speciale per coloro che sono in difficoltà, che patiscono la depressione o l'ansia; dobbiamo aver cura del disabile e fare tutto quello che possiamo per promuovere la loro dignità e qualità di vita; dovremmo prestare attenzione ai bisogni degli immigrati e
di coloro che cercano asilo nelle nostre terre; dovremmo tendere la mano con amicizia ai credenti e non. Questa - per il Pontefice che domani festeggia 5 anni dall'elezione - è la nobile vocazione di amore e di servizio che tutti noi abbiamo ricevuto".
Auguri, Santità!
(Fonte: Avvenire, 19 Aprile 2010)
giorno dopo giorno. "Soprattutto - ha confidato - nel momento in cui sembra vedersi confermata la parola di sant'Agostino citata dal Vaticano II, che la Chiesa ha peregrinato inter persecutiones mundi et consolationem Dei".
A questo proposito, riferisce l'Osservatore Romano, "il Pontefice ha accennato ai peccati della Chiesa, ricordando che essa, ferita e peccatrice, sperimenta ancor più le consolazioni di Dio". In particolare, per il Papa, "è una grande consolazione proprio il Collegio cardinalizio". "Nella Chiesa - ha spiegato Ratzinger - esistono due principi: uno personale e uno comunionale. Ora il Papa ha una responsabilità personale, non delegabile; il vescovo è circondato dai suoi presbiteri. Ma il Papa è circondato dal collegio cardinalizio che potrebbe essere chiamato in termini orientali quasi il suo sinodo, la sua compagnia permanente che lo aiuta, l'accompagna, lo affianca nel suo lavoro". Ed è "questa vicinanza particolare che il Pontefice avverte in questo momento e per la quale - dalle colonne dell'Osservatore Romano - ringrazia il Signore mentre invoca, per andare avanti, la forza della fede, nella gioia della risurrezione".
Prima di cadere sulla via di Damasco, Paolo, come egli stesso racconta, aveva "perseguitato ferocemente la Chiesa di Dio e cercato di distruggerla". "Ma - ha affermato oggi il Papa in visita a Malta - l'odio e la rabbia espresse in quelle parole furono completamente spazzate via dalla potenza dell'amore di Cristo". Una riflessione che riassume bene quanto è accaduto in questo 14esimo viaggio internazionale di Benedetto XVI, preceduto da attacchi e polemiche mediatiche su presunte coperture offerte ai preti pedofili, ma poi caratterizzato da folle ed entusiasmo superiori a ogni ottimistica attesa (50 mila fedeli nella piazza dei Granai di Floriana, 15 mila giovani sulla banchina Waterfront) e soprattutto dalle lacrime sincere del Pontefice che hanno accompagnato l'incontro con otto vittime di queste violenze nel raccoglimento della Cappella della nunziatura di Rabat. E anche i diversi interventi pronunciati dal Pontefice sono stati nel segno di una assoluta fermezza sui principi - tenete duro su divorzio e aborto ha chiesto ai cattolici maltesi - temperata però dall'invito altrettanto forte ad un'apertura verso gli altri, a partire dagli immigrati che approdano su quest'isola nel cuore del Mediterraneo.
"Ho visto il Papa piangere di emozione e mi sono sentito liberato da un grande peso", ha raccontato una delle otto vittime. "Ho visto in lui e nel vescovo di Malta l'umiltà di una Chiesa che in quel momento rappresentava tutto il problema della Chiesa moderna". E quando il Papa, "ha appoggiato la mano sulla testa di ciascuno dei partecipanti all'incontro, benedicendoli, mi sono sentito - ha detto - liberato e sollevato da un grande peso". "Dio non rifiuta nessuno. E la Chiesa non rifiuta nessuno", ha detto il Pontefice agli oltre 15 mila ragazzi di Malta che lo hanno acclamato con grande entusiasmo al suo arrivo - con lo stesso catamarano utilizzato da Giovanni Paolo II nel '90 - sulla banchina gremita all'inverosimile. "Dio - ha spiegato - ama ogni singola persona di questo mondo, anzi egli ama ogni singola persona di ogni epoca della storia del mondo. Nella morte e risurrezione di Gesù, resa presente ogni volta che celebriamo la Messa, egli offre la vita in abbondanza a tutte queste persone. Come cristiani siamo chiamati a manifestare l'amore di Dio che comprende tutti. Dobbiamo perciò soccorrere il povero, il debole, l'emarginato; dobbiamo avere una cura speciale per coloro che sono in difficoltà, che patiscono la depressione o l'ansia; dobbiamo aver cura del disabile e fare tutto quello che possiamo per promuovere la loro dignità e qualità di vita; dovremmo prestare attenzione ai bisogni degli immigrati e
di coloro che cercano asilo nelle nostre terre; dovremmo tendere la mano con amicizia ai credenti e non. Questa - per il Pontefice che domani festeggia 5 anni dall'elezione - è la nobile vocazione di amore e di servizio che tutti noi abbiamo ricevuto".
Auguri, Santità!
(Fonte: Avvenire, 19 Aprile 2010)
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