giovedì 23 novembre 2017

La falsa teologia di Vito Mancuso


Il libro “L'anima e il suo destino” (Cortina, 2007) ha purtroppo imposto all'attenzione del pubblico Vito Mancuso come «teologo cattolico».

Dico «purtroppo» perché il caso è emblematico di quanto la cultura di oggi disconosca (volutamente o per mera ignoranza) lo statuto epistemologico (cioè la natura e i compiti) della teologia cristiana. L'autore è teologo nel senso che insegna Teologia moderna e contemporanea alla Facoltà di Filosofia dell'Università San Raffaele (Milano), ma l'effettivo contenuto e l'impianto metodologico del suo libro sono in netta contraddizione con l'idea stessa di teologia.

Il suo saggio vorrebbe essere un «moderno» trattato di escatologia, e infatti i nove capitoli che compongono il libro trattano dell'esistenza dell'anima, della sua origine e della sua immortalità, della speranza di salvezza, della morte e del giudizio, dell'aldilà (purgatorio, paradiso, inferno) e infine della «parusia» (la seconda venuta di Cristo alla fine della storia) e del giudizio universale.

Gli argomenti di per sé sono certamente suscettibili di una trattazione teologica, ma l'autore li affronta in un modo che non è quello della teologia, come non è quello della filosofia né di alcuna altra scienza. Da un punto di vista formale, Mancuso non rispetta le più elementari esigenze della logica in generale e in particolare dell'epistemologia; da un punto di vista materiale, poi, dimostra una superficialità scandalosa nel trattare temi ai quali un teologo dovrebbe accostarsi con rispetto, con attenzione e soprattutto con le dovute competenze storiografiche, esegetiche e critiche. È facile pensare di poter «ridefinire» o «riproporre in termini nuovi" le verità rivelate che sono oggetto della dottrina della Chiesa: occorre però intenderle nel loro vero senso e accettarle come verità rivelate da Dio, sapendo che hanno come premesse le verità che l'uomo può raggiungere con le sue forze naturali.

La questione della verità è la questione essenziale, non solo in filosofia ma anche e soprattutto in teologia, e chi pretende di fare teologia deve scoprire le proprie carte, facendo vedere da quali presupposti di verità parte, altrimenti le sue argomentazioni sono dei veri e propri sofismi, utili non a fare scienza, ma a imporre in altri modi la ben nota «dittatura del relativismo».

Non si può ignorare, ora che siamo già nel terzo millennio del cristianesimo, che la teologia cristiana è la riflessione scientifica di un credente sulla propria fede, assunta non come ipotesi da «verificare» ma proprio come verità rivelata da Dio, nei termini precisi con i quali essa è proposta dalla Chiesa, che ha l'autorità e il dovere di custodire e interpretare la Rivelazione. Quando il discorso su Dio e su temi religiosi cristiani non è svolto a partire dalla fede come verità creduta, non si fa più teologia cristiana ma filosofia della religione cristiana o semplicemente filosofia di Dio, cioè «teologia» nel senso aristotelico, come culmine della metafisica. È lo stesso Mancuso a squalificare il suo lavoro fin dall'inizio quando spiega che esso mira alla «costruzione di una "teologia laica", nel senso di rigoroso discorso su Dio, tale da poter sussistere di fronte alla scienza e alla filosofia». Che significato può avere l'aggettivo «laico» applicato alla teologia? Se per «laico» si intende un fedele cristiano che non è membro della gerarchia, l'aggettivo non aggiunge nulla allo statuto epistemologico della teologia, che oggi è coltivata con frutto da tanti laici, uomini e donne. Se invece per La buona filosofia ha saputo dimostrare, fin dall'antichità (Platone), la natura spirituale, cioè immateriale, dell'anima umana, in quanto capace di atti (le intuizioni intellettive e le volizioni libere) che trascendono i limiti della materialità.

La Chiesa ha poi fatto proprie queste acquisizioni della filosofia, non in quanto legate a una particolare epoca storica o a una particolare scuola filosofica, e nemmeno in quanto sostenute dalle indagini delle scienze empiriche, ma solo perché la loro evidenza appartiene alla retta ragione, cioè al senso comune.

Ignorando sia il senso comune e la filosofia, sia il significato del dogma, Mancuso parla di «materia» riferendosi alla corrispondente nozione einsteiniana, senza accorgersi che quest'ultima è in funzione della teoria fisico-matematica e nulla ha a che vedere con la nozione metafisica di «materia», incomprensibile senza quella di «forma». Già in Aristotele, infatti, la materia è il sostrato della forma, è ciò che ha la capacità di ricevere la forma e quest'ultima è ciò che configura e organizza la materia, è il principio di organizzazione e di configurazione della materia intrinseco alla materia stessa.

Ma, anche a proposito di "forma", egli ignora che essa costituisce l'uomo singolo come «sostanza», tanto che arriva invece a scrivere che la dottrina cattolica concepisce l'anima come «sostanza»; in realtà, per la dottrina cattolica, come per la metafisica classica, sostanza è la persona, nell'unità di corpo (materia) e anima (forma).

D'altronde, Mancuso aveva dichiarato nelle premesse la sua incondizionata adesione all'ideologia dell'evoluzionismo cosmico (Teilhard de Chardin), che è quanto di più lontano dalla vera filosofia e - proprio per questo - quanto di più incompatibile con la verità rivelata, sia nei capisaldi teoretici che nelle conseguenze morali, specialmente bioetiche. Basti pensare che, da un principio scientificamente errato come quello che Mancuso enuncia dicendo che «non c'è più (nel caso di una vita colpita da una grave malattia o da senilità acuta) l'anima razionale-spirituale» (p. 107), deriva niente meno che la legittimità dell'eutanasia indiscriminata di malati e di anziani; Mancuso non capisce che la facoltà di intendere e di volere (ciò che ci fa vedere che c'è l'anima immateriale) è permanente e costituisce la persona umana con i suoi inalienabili diritti, anche quando il suo esercizio attuale è accidentalmente impedito da fattori materiali di vario genere. Anche in questo caso, la mancanza di categorie metafisiche (che sono le uniche compatibili con il senso comune e con la Rivelazione) non consente né di intendere né di rispettare la verità sull'anima, che è innanzitutto verità dell'uomo che si sa creato da Dio «a sua immagine e somiglianza», e poi verità di Cristo che «rivela pienamente l'uomo all'uomo».



(Fonte: Antonio Livi, Il Timone, n. 75)



giovedì 2 novembre 2017

Un teologo scrive al papa: C'è caos nella Chiesa, e lei ne è una causa


Thomas G. Weinandy è teologo tra i più noti e stimati e vive a Washington nel Collegio dei Cappuccini, l'ordine francescano al quale appartiene. È membro della commissione teologica internazionale, la commissione che Paolo VI volle a fianco della congregazione per la dottrina della fede perché questa si avvalesse del fior fiore dei teologi di tutto il mondo. Ed è membro di questa commissione dal 2014, ivi nominato da papa Francesco.
Lo scorso mese di maggio, mentre si trovava a Roma per una sessione della commissione, sentì sbocciare in sé l'idea di scrivere a Francesco una lettera aperta, per confidargli l'inquietudine non solo sua ma di molti per il crescente caos nella Chiesa, che vedeva causato in buona parte proprio dal papa.
Pregò a lungo, anche sulla tomba di Pietro. Chiese a Gesù di aiutarlo a decidere se scrivere o no la lettera e di dargli a tal fine un segno… E il segno arrivò il giorno dopo, identico a quello che lui stesso aveva invocato nella preghiera, e che egli ora racconta così: > "There was no longer any doubt that Jesus wanted me to write…"
Confortato dal Cielo, Padre Weinandy scrisse dunque la lettera. A metà estate la fece arrivare a papa Francesco. E oggi, festa di Tutti i Santi, la rende pubblica, negli Stati Uniti sul portale  di informazione religiosa Crux e a Roma, in quattro lingue, su Settimo Cielo.
Padre Weinandy, 71 anni, ha insegnato negli Stati Uniti in numerose università, a Oxford per dodici anni e a Roma alla Pontificia Università Gregoriana.
È stato per nove anni, dal 2005 al 2013, direttore esecutivo della commissione per la dottrina della conferenza episcopale degli Stati Uniti.
*
Santità,
scrivo questa lettera con amore per la Chiesa e rispetto sincero per il suo ufficio. Lei è il Vicario di Cristo sulla terra, il pastore del suo gregge, il successore di san Pietro e quindi la roccia su cui Cristo costruisce la sua Chiesa. Tutti i cattolici, clero e laicato assieme, devono guardare a lei con fedeltà e obbedienza filiali, fondate sulla verità. La Chiesa si rivolge a lei in uno spirito di fede, con la speranza che lei la guiderà nell'amore.
Tuttavia, Santità, una confusione cronica sembra contrassegnare il suo pontificato. La luce della fede, della speranza e dell'amore non è assente, ma troppo spesso è oscurata dall'ambiguità delle sue parole e azioni. Ciò alimenta nei fedeli un crescente disagio. Indebolisce la loro capacità di amore, di gioia e di pace. Mi consenta di offrire alcuni brevi esempi.
In primo luogo c'è il controverso capitolo 8 di "Amoris laetitia". Non c’è bisogno qui di dire le mie personali preoccupazioni riguardo al suo contenuto. Altri, non solo teologi ma anche cardinali e vescovi, lo hanno già fatto. La fonte principale di preoccupazione è il modo con cui lei insegna. In "Amoris laetitia", le sue indicazioni a volte sembrano intenzionalmente ambigue, e in questo modo indirizzano sia a un'interpretazione tradizionale dell'insegnamento cattolico sul matrimonio e il divorzio, sia a un’altra interpretazione che potrebbe implicare un cambiamento in quell'insegnamento. Come lei nota giustamente, i pastori dovrebbero accompagnare e incoraggiare le persone in situazioni matrimoniali irregolari; ma l'ambiguità persiste sul vero significato di questo "accompagnamento". Insegnare con una tale mancanza di chiarezza, per di più apparentemente voluta, inevitabilmente conduce al pericolo di peccare contro lo Spirito Santo, lo Spirito della verità. Lo Spirito Santo è dato alla Chiesa, e in particolare a lei, per sconfiggere l'errore, non per favorirlo. Inoltre, solo dove c'è verità può esserci amore autentico, perché la verità è la luce che rende liberi uomini e donne dalla cecità del peccato, un'oscurità che uccide la vita dell'anima. Eppure sembra che lei censuri e persino derida coloro che interpretano il capitolo 8 di "Amoris laetitia" in accordo con la tradizione della Chiesa, come se fossero dei farisei che tirano le pietre e incarnano un rigorismo privo di misericordia. Questo tipo di calunnia è alieno dalla natura del ministero petrino. Alcuni dei suoi consiglieri, purtroppo, sembrano impegnarsi in azioni del genere. Tale comportamento dà l'impressione che i suoi punti di vista non possano sopravvivere a delle verifiche teologiche, e quindi debbano essere tenuti in piedi da argomenti "ad hominem".
In secondo luogo, troppo spesso la sua maniera d'agire sembra declassare l'importanza della dottrina della Chiesa. Ripetutamente lei descrive la dottrina come una cosa morta e libresca, lontana dalle preoccupazioni pastorali della vita quotidiana. I suoi critici sono stati accusati, stando alle sue stesse parole, di fare della dottrina un'ideologia. Ma è precisamente la dottrina cristiana – comprese le distinzioni sottili fatte a riguardo di credenze centrali come la natura trinitaria di Dio, la natura e le finalità della Chiesa, l'incarnazione, la redenzione, i sacramenti – che libera le persone dalle ideologie mondane e garantisce che effettivamente predichino e insegnino l'autentico e vivificante Vangelo. Coloro che svalutano le dottrine della Chiesa si separano da Gesù, autore della verità. Ciò che essi possiedono, e solo questo possono possedere, è un'ideologia che si conforma al mondo del peccato e della morte.
In terzo luogo, i fedeli cattolici possono essere solo sconcertati dalle sue nomine di certi vescovi, uomini che non solo appaiono aperti verso quanti hanno una visione contrapposta alla fede cristiana, ma addirittura li sostengono e difendono. Ciò che scandalizza i credenti, e anche alcuni colleghi vescovi, non è solo il fatto che lei ha scelto tali uomini per essere pastori della Chiesa, ma anche che lei sembra stare in silenzio di fronte a ciò che insegnano e alla loro pratica pastorale. Questo indebolisce lo zelo dei molti uomini e donne che hanno sostenuto l’insegnamento cattolico autentico per lunghi periodi di tempo, spesso a rischio della loro reputazione e serenità. Il risultato è che molti dei fedeli, che incarnano il "sensus fidelium", stanno perdendo fiducia nel loro supremo pastore.
Quarto, la Chiesa è un corpo unico, il Corpo mistico di Cristo, e lei ha il mandato dal Signore stesso per promuovere e rafforzare la sua unità. Ma le sue azioni e parole troppo spesso sembrano intente a fare il contrario. Incoraggiare una forma di "sinodalità" che permette e promuove diverse opzioni dottrinali e morali all'interno della Chiesa può solo portare a una maggior confusione teologica e pastorale. Una tale sinodalità è insipiente e di fatto agisce contro l'unità collegiale tra i vescovi.
Padre Santo, questo mi porta alla mia preoccupazione finale. Lei ha parlato spesso della necessità della trasparenza all'interno della Chiesa. Lei ha incoraggiato spesso, soprattutto durante i due sinodi passati, tutte le persone, specialmente i vescovi, a parlare francamente e a non aver paura di ciò che il papa potrebbe pensare. Ma lei ha notato che la maggioranza dei vescovi di ​​tutto il mondo stanno fin troppo in silenzio? Perché è così? I vescovi imparano alla svelta, e ciò che molti di loro hanno imparato dal suo pontificato non è che lei è aperto alla critica, ma che lei non la sopporta. Molti vescovi stanno in silenzio perché desiderano essere leali con lei, e quindi non esprimono – almeno in pubblico; in privato è un’altra cosa – le preoccupazioni che il suo pontificato alimenta. Molti temono che se parlassero con franchezza sarebbero emarginati o peggio.
Mi sono spesso chiesto: "Perché Gesù ha lasciato che tutto questo accada?" L'unica risposta che mi viene in mente è che Gesù vuole manifestare proprio quanto debole sia la fede di molti all'interno della Chiesa, anche fra troppi dei suoi vescovi. Ironia della sorte, il suo pontificato ha dato a coloro che sostengono punti di vista teologici e pastorali rovinosi la licenza e la sicurezza di uscire in piena luce e di esibire la loro oscurità precedentemente nascosta. Nel riconoscere questa oscurità, la Chiesa umilmente sentirà il bisogno di rinnovare se stessa e così continuare a crescere in santità.
Padre Santo, prego per lei costantemente e continuerò a farlo. Che lo Spirito Santo la guidi alla luce della verità e alla vita dell'amore, così che lei possa rimuovere l'oscurità che ora nasconde la bellezza della Chiesa di Gesù.
Sinceramente in Cristo, Thomas G. Weinandy, O.F.M., Cap.