giovedì 29 maggio 2008

Prime comunioni: un qualcosa che si “deve” fare?

Primavera. Tempo di Prime Comunioni e di Cresime. Per molti genitori, almeno dalle nostre parti, per quello che vedo, si tratta solo di riti obbligati, di qualcosa che "si deve fare". I diplomini che attestano la ricezione del Sacramento sono un po' come il patentino del ciclomotore, o la patente europea del computer: meglio averceli, non si sa mai. Possono tornare utili, prima o poi, magari quando ci si sposerà in chiesa.
Ed è così che, in questa Italia sedicente cattolica, di questi tempi ci si preoccupa della cerimonia, del vestito, dell'acconciatura, del pranzo con parenti e amici, di bomboniere e confetti, del servizio fotografico. Poi, passato lo stress, tutto finisce nel dimenticatoio.
La prima Comunione diventa anche l'ultima, come si suol dire.
E allora cosa ti hanno escogitato quei parlamentini cattolici che sono i vari sinodi diocesani, con tanto di commissioni e sottocommissioni pensanti? Perché il Sacramento sia più "intensamente vissuto", "partecipato" e "capito" hanno allungato gli anni di catechismo. La prima Comunione oggi si fa in quinta elementare. Per la Cresima ci si rivede in prima superiore. Praticamente il Sacramento è diventato un mezzo per tenersi stretti i ragazzini in parrocchia.
Ho una zia che è catechista convinta. Ci mette tutto l'impegno del mondo ad "istruire" questi bimbi che non sanno più niente di Cristo e della Chiesa, perché non ci sono più famiglie cristiane. Il suo compito sembra essere quello di una brava maestrina che, libro di catechismo per bambini alla mano, segue il programma.
Non sto qui a mettere in dubbio la sua buona fede, nonché a discutere l'impegno lodevole che profonde. Dico solo che, come tantissimi altri, è fuori strada. E non è colpa loro, quanto delle teste pensanti di una Chiesa cattolica dove sembra molto diffuso un atteggiamento e un convincimento, direi, di tipo gnostico. I Misteri vanno compresi, attraverso un lungo tirocinio, perché solo se si comprendono possono essere consapevolmente vissuti. Sarà la cultura religiosa, e l'assidua meditazione della Parola che ci salveranno e ci renderanno cristiani "credibili" ed autentici. Gnosticismo e protestantizzazione del cattolicesimo.
Dio mio, solo a ripetere queste formule mi viene il voltastomaco! Ma è proprio questo che si dice e si sostiene in molti ambienti ecclesiali. Risultato? Bassissima frequenza ai Sacramenti e spaventosa ignoranza. Che è quella, per esempio, che noto nei miei studenti che hanno da poco ricevuto la Cresima, unita ad un dato preoccupante: la fede per loro non è affatto un abito, una dimensione della loro esistenza. Nel modo di pensare e di guardare la vita non sono affatto diversi da un non cristiano.
Forse è perché nelle parrocchie italiane ci si sta molto preoccupando di istruire e molto, molto poco di vivere. Si parla al cervello e molto, molto poco ai cuori. Si creano "classi" di catechismo, e non "comunità", dove si vive l'esperienza cristiana che ti prende tutta la vita.
Il mio amico don Luigi è uno che va controcorrente. Praticamente solo in tutta la sua diocesi, dà la Prima Comunione ai bimbi fin dai sette anni. Si espone consapevolmente alle critiche e alle opposizioni di coloro, Vescovo in testa, che sostengono quello che ho spiegato fino ad ora. Lui ripete invece che è proprio a sette anni che il bambino può ricevere un marchio incancellabile nel cuore. Perché a quell'età un bambino ne sa veramente di più sulla fede che non un ragazzino di dieci anni, che ha già perso quel cuore da bambino che ci vuole per incontrare il Signore.
Cosa deve capire, cosa deve sapere un bambino per ricevere Gesù nell'ostia? Basta che comprenda che quello che mangia non è pane, ma il Corpo di Cristo, per effetto della consacrazione del sacerdote. Basta che aderisca a questo Mistero, e che lo ami con la semplicità del suo cuore. Del resto, c'è qualche cristiano adulto che può dire di comprendere di più, di fronte al mistero dell'Eucarestia, di un bambino di sette anni?
Mio figlio ha dunque ricevuto il Signore a questa "tenera età". Il giorno della sua Prima Comunione cantava, con gli altri amichetti del catechismo, "Sotto quel velo bianco c'è il Re del mondo". Ecco, bastava questa strofa per sapere tutto quello che c'era da sapere. Il resto lo faceva il raccoglimento, la compostezza della cerimonia, le parole calde del sacerdote, la devozione con cui quei bambini hanno vissuto il loro primo incontro con Gesù.
Il "catechismo" è terminato, la Comunion è stata fatta, ma mio figlio, ogni lunedì, continua a frequentare la parrocchia (che è in un paese a più di 15 chilometri).. Perché don Luigi non fa catechismo: condivide con i bambini l'ora del pranzo, poi gioca con loro, poi li fa studiare, poi li raduna un attimo in chiesa e li fa pregare, poi di nuovo a giocare, poi a servire la Messa. Un ritmo massacrante. E ha più di sessant'anni! Don Luigi non usa libri di testo, non fa "lezioni". Non ci sono classi, non ci sono aule. Invita i bambini a vivere un'amicizia grazie alla quale essi percepiscono che Cristo è tutto, è il centro di tutto. E che il sacerdote è colui che porta a Cristo. E pazienza se non si segue un "programma".
Non saranno delle nozioni che ci salveranno. Il cristianesimo, come ci ha ricordato Benedetto XVI nella sua prima enciclica, è un fatto, un avvenimento da incontrare e da vivere.
Per una cosa così puoi dare la vita. E' solo una cosa così, che ti coinvolge personalmente, cuore e mente, a cambiarti la vita, a segnartela per sempre. (Gianluca Zappa, La Cittadella, 27 maggio 2008)

I «soldi della Chiesa»: le tesi infondate di Curzio Maltese

Da che parte cominciare a smontare “La questua. Quanto costa la Chiesa agli italiani”, il libro del giornalista di Repubblica Curzio Maltese appena giunto in libreria?
Ma dall’inizio, e dall’equivoco di fondo che Maltese non nasconde, anzi dichiara apertamente.
La confusione tra Vaticano e Santa Sede di qua, Chiesa italiana e Cei di là. A pagina 31 sbotta: signori, è la stessa zuppa ed è vano perderci tempo. «Una volta scartati il politicamente corretto e il cattolicamente corretto, mi sono concentrato su quello di cui finanche l’autore capiva il senso: il costo della Chiesa, una e trina». In realtà la correttezza non c’entra. Maltese ha bisogno di confondere Santa Sede e Cei perché il mirino è puntato sull’otto per mille, che va alla Cei ma che ai lettori va fatto credere vada al Vaticano, insinuando l’idea che la distinzione sia un cavillo, una pura formalità. Invece è sostanza.
Un libro a tesi.
Altra tesi iniziale: la percentuale degli italiani che vanno a Messa (circa un terzo della popolazione) e di quanti firmano per l’otto per mille a favore della Chiesa cattolica coincide. Si tratta insomma delle stesse persone. Sbagliato, e lo dicono i numeri. Primo, il confronto è tra gruppi non omogenei: di qua tutti gli italiani, di là i soli contribuenti. Secondo, a firmare è più del 40% dei contribuenti, ma mal distribuiti: sono il 61,3% di coloro che sono costretti a presentare la dichiarazione (730 o Unico) e una percentuale davvero minima di chi non è obbligato, per lo più pensionati, che invece sono in larga misura praticanti. Un bel pasticcio. Scrive Maltese che questi italiani «dichiarano di andare a messa e di essere influenzati nel voto dall’opinione del papa e dei vescovi». Quale sia la fonte non si sa, ma che un italiano, credente o miscredente, ammetta di essere «influenzato» ha dell’incredibile.
Per Ruini bastava Google.
Da pagina 36 in poi, Maltese si avventura in brevi cenni di storia recente della Chiesa che farebbero sorridere un redattore di Topolino. Parla di «fronte passatista» che si oppone alle «aperture della Chiesa conciliare». I 27 anni di Papa Wojtyla sono così riassunti: «I risultati concreti del pontificato di Giovanni Paolo II sono il ritorno alla Chiesa preconciliare, l’alleanza privilegiata con le forze tradizionaliste e la progressiva riduzione, fino all’estinzione, del dissenso cattolico». Fine. Non si può dire che manchi di sintesi. E Camillo Ruini? Sarebbe bastato Google per evitare sciocchezze del genere: «Quando Giovanni Paolo II lo chiama a Roma da Reggio Emilia, Ruini è un giovane vescovo noto alle cronache solo per aver celebrato il matrimonio di Flavia Franzoni e Romano Prodi».
Le cronache di Eva Express, forse. Com’è arcinoto, Ruini, già stimato docente di teologia dommatica a Bologna, si fa apprezzare in particolare come vicepresidente del Comitato preparatorio del Convegno ecclesiale di Loreto (1985), dove ricopre un ruolo di primo piano.
Il prete, una "casta" da 853 euro al mese.
Capitolo otto per mille. Ruini, assicura Maltese, ha «l’ultima parola su ogni singola spesa». In un’inchiesta seria ti aspetteresti una descrizione del sistema, di come è "composta" la remunerazione di preti e vescovi, di chi decide la destinazione degli aiuti all’estero... Nulla di nulla. Sembra una dittatura, con i vescovi a capo chino succubi dei capricci del presidente. In realtà i criteri di distribuzione sono oggettivi e Maltese deve averli letti o su Avvenire o nei siti della Cei, di cui finalmente pare essersi accorto. I preti italiani, ovunque prestino servizio pastorale (anche i fidei donum> all’estero), ricevono la stessa remunerazione, a partire da 853 euro netti mensili; idem i vescovi, che alla soglia della pensione ne ricevono 1.309. Non sono cifre segrete. Maltese pubblica la remunerazione dei pastori valdesi (650 euro): perché non quella dei preti cattolici?
Forse perché è così bassa da non essere minimamente riconducibile ai «privilegi di una casta»? Criteri oggettivi, dicevamo. La quota assegnata alle singole diocesi viene divisa per metà in parti uguali, per l’altra metà in base al numero di abitanti. Per l’estero, un apposito Comitato riceve le richieste e provvede alle assegnazioni. È tutto così misterioso che l’elenco dettagliato dei primi 6.275 interventi è stato pubblicato nella primavera del 2005 in un volume di 386 pagine, Dalla parola alle opere. 15 anni di testimonianze del Vangelo della carità nel Terzo Mondo, con una ricca documentazione fotografica e alcuni saggi introduttivi. Il libro è stato presentato ai giornalisti in una conferenza stampa. Escluse le testate d’ispirazione cattolica, nessuno ne ha scritto niente. E quasi niente, quindi, ne ha saputo chi non legge la stampa d’ispirazione cattolica. Si può consultare il volume online nel sito www.chiesacattolica.it/sictm.
Chi vota e chi no.
Il sistema dell’otto per mille, scrive Maltese, non è democratico. In realtà è il primo caso di democrazia diretta applicata al sistema fiscale. Non c’è nulla di automatico, la Chiesa non ha alcuna garanzia – per dire: nessun minimo garantito – e dipende completamente dalla volontà degli italiani, che oggi firmano a suo favore, domani chissà. E gli astenuti? In gran parte sono contribuenti non tenuti a presentare la dichiarazione, costretti a compiere alcune operazioni complesse per far valere la propria firma. È inevitabile che molti, specialmente se anziani, se ne dimentichino o rinuncino; ed è un peccato proprio per la democrazia. Degli altri, due terzi firmano. Il meccanismo è analogo a quello di una votazione. Se per il Parlamento vota l’80% degli elettori, non per questo il 20% dei seggi rimane non assegnato. Chi si astiene si rimette alla volontà di chi partecipa. In effetti non si firma per il proprio otto per mille, ma per l’otto per mille complessivo, di tutti. A Maltese scappano queste precisazioni, tutt’altro che irrilevanti.
Spot pieni zeppi di preti.
Otto per mille e comunicazione. Maltese dà i numeri. Negli spot, scrive, le due voci – carità in Italia e nel Terzo Mondo – occupano il 90% dei messaggi, mentre assorbono solo il 20% dell’otto per mille. Controlliamo. Nel sito http://www.8xmille.it/ è possibile vedere ben 47 spot, con relativo documentario, degli ultimi anni, così distribuiti: carità Italia 20, carità estero 15, preti 6, culto 6. La carità occupa meno del 90%. Ma basterebbe guardare quegli spot per scoprire che tra i protagonisti ci sono sempre dei preti, che spesso costruiscono chiese, oratori, scuole, officine... Una divisione netta per destinazioni è assurda. Tutti i preti italiani sono impegnati, chi più chi meno, sul versante della carità; tutti i parroci custodiscono luoghi di culto.
La parola "colletta" dice niente?
E le offerte per il clero, quelle deducibili? Maltese ironizza: se dipendesse dai fedeli, il clero morirebbe di fame. Ma come si fa a ignorare che la forma ordinaria, normale, di contribuzione alle esigenze del parroco e della parrocchia è l’offerta fatta durante la Messa domenicale, o direttamente al parroco in tante occasioni, a cominciare dalla benedizione delle famiglie? È la forma ordinaria indicata anche dal documento Sovvenire alle necessità della Chiesa del 1988, che fonda l’intero sistema e che Maltese non cita mai. E viene il dubbio se sappia che esiste.
Ricevere per poter donare.
Con dispiacere ritroviamo nel libro un’aspra dichiarazione attribuita alla moderatrice della Tavola Valdese, Maria Bonafede: «I soldi dell’otto per mille arrivano dalla società ed è lì che devono tornare. Se una Chiesa non riesce a mantenersi con le libere offerte, è segno che Dio non vuole farla sopravvivere». Che cosa Dio voglia o non voglia siamo convinti non lo possa stabilire con tanta certezza nessuno, cattolico o valdese che sia. E i soldi tornano assolutamente tutti a quegli italiani che li affidano alla Chiesa. Tornano sotto forma di tempo dedicato a loro, di servizi, di strutture educative, formative, sanitarie e sportive, di luoghi in cui pregare. Altro che casta. Nulla serve a costruire personali carriere. Chiunque abbia un’esperienza anche superficiale di Chiesa – cattolica o valdese – lo sa.
Il fantasma di Luciano Moggi.
Un capitolo a parte merita una notizia, falsa, in fondo marginale. Ma serve a comprendere come sia stata costruita l’inchiesta. Maltese, nonostante le smentite, insiste: il 27 agosto, sul volo Mistral da Roma a Lourdes, al pellegrinaggio dell’Orp, con il cardinale Ruini c’era anche «l’invitato Luciano Moggi». Moggi non c’era, andò a Lourdes per i fatti suoi come privato cittadino. Maltese ci ha letti, infatti corregge un dettaglio (Boeing 737-300, non 707-200). Ma insiste: la fonte è il «blog di papa Ratzinger, ufficioso ma benedetto dal Santo Padre». Papa Ratzinger ha un suo blog? Una rapida indagine. In effetti esiste un «Papa Ratzinger blog», tenuto da una fedele cattolica, che però sotto la testata si affretta a precisare: «Si tratta di una iniziativa personale che non ha alcun riconoscimento ufficiale». Dov’è la «benedizione»? Il sito si limita a riprodurre quattro articoli del 28 agosto 2007 relativi al volo Mistral. Uno solo, dell’Eco di Bergamo, tira in ballo Moggi. Gli altri tre no. Uno è anonimo. Uno è del Giornale. L’ultimo, sorpresa, è di Orazio la Rocca di Repubblica.
Non ci sono né Moggi né il rettore della Lateranense che avrebbe benedetto il viaggio. Maltese farà bene a mettersi d’accordo con il collega. Se non basta, potrà leggersi la cronaca di Virginia Piccolillo dell’autorevole Corriere della sera: Moggi era mescolato tra migliaia di pellegrini, nella basilica a Lourdes, mentre Ruini celebrava. Tutto qui. Grande giornalismo d’inchiesta, davvero.
Demolite le chiese.
A un certo punto Maltese stigmatizza l’eccesso di spese per tante chiese e chiesine italiane, e sembra elogiare la Francia, che le chiese «inutili» le demolisce. Maltese trascura un dettaglio che certo non può ignorare: lo Stato francese è proprietario di tutti gli edifici di culto costruiti prima del 1905. Sono suoi, quindi se li può restaurare (a sue spese) o demolire. E la carità? Merce di scambio tra lo Stato e una Chiesa a cui è delegato il "lavoro sporco". Tutto qua. E comunque, «non bisogna dimenticare che per la dottrina cattolica e per la musulmana l’azione sociale è secondaria rispetto all’indottrinamento» (pagina 136). Servono ulteriori commenti? (Umberto Folena, Avvenire, 23 maggio 2008)

Duello Bagnasco-D’Alema sulla laicità. Quanto ai soldi della Chiesa…

“Esprimere liberamente la propria fede, partecipare in nome del Vangelo al dibattito pubblico, portare serenamente il proprio contributo nella formazione degli orientamenti politico-legislativi, accettando sempre le decisioni prese dalla maggioranza: ecco ciò che non può mai essere scambiato per una minaccia alla laicità dello Stato. Né in America né in Europa. La Chiesa non vuole imporre a nessuno una morale ‘religiosa’: infatti essa enuncia da sempre – insieme a principi tipicamente religiosi – i valori fondamentali che definiscono la persona, cuore della società. Proprio perché fondativi, essi sono di ordine naturale, radicati cioè nell’essere stesso dell’uomo, anche se il Vangelo li assume e rilancia illuminandoli di luce ulteriore e piena”.
Così il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della conferenza episcopale italiana, ha indirettamente replicato all’accusa di lesa laicità scagliata da Massimo D’Alema contro la Chiesa.
Il botta e risposta è avvenuto nel giro di un giorno. L’affondo di D’Alema contro la “demoniaca tentazione del potere” a cui la Chiesa sarebbe succube è di domenica 25 maggio, nel seminario di Italianieuropei a Marina di Camerota. La replica di Bagnasco è di lunedì 26 maggio, nella prolusione all’assemblea plenaria dei vescovi italiani, a Roma. (Il testo integrale della prolusione è nel sito della CEI). Il cardinale Bagnasco ha preso spunto dal viaggio di Benedetto XVI negli Stati Uniti per sciogliere un inno al modello americano di libere Chiese in libero Stato.
Quanto alla situazione politica italiana, Bagnasco non si è trattenuto dallo sferrare due stoccate. Una alle linee-guida alla legge 40 emesse in zona Cesarini dal ministro uscente della salute, Livia Turco. Un’altra al libro “La questua” di Curzio Maltese, liquidato dal cardinale come esercizio di “mala-informazione” dopo che già l’aveva passato al setaccio il quotidiano della CEI “Avvenire” nello speciale (I soldi della Chiesa…) che riportiamo più sopra. (Sandro Magister, Settimo cielo, 26 maggio 2008)

venerdì 23 maggio 2008

Roma: il Sindaco Alemanno, il Papa e i collettivi studenteschi.

“È importante che in questo momento storico ci sia una figura come quella di Papa Ratzinger. Il fascino che emerge da questo pontificato è quello di un mite rigore e della capacità di trasmettere rigore nella bontà e nella mitezza”. Lo ha detto il Sindaco di Roma, Gianni Alemanno (nella foto con il Santo Padre), nel corso del suo intervento alla presentazione del libro 'Benedictus', scritto dal vaticanista Giuseppe De Carli, dedicato appunto al Santo Padre. Alemanno ha proseguito il suo intervento affermando che ''se Papa Wojtyla è stato colui che ha sconfitto spiritualmente il comunismo, mi auguro che questo Papa sconfigga l'edonismo, la società molecolare e consumistica che non ha identità da trasmettere ai giovani”'.
Alemanno ha quindi ricordato due momenti che lo legano a Benedetto XV: “il primo lo ricordo con molto affetto ed emozione: ero con mia moglie Isabella in Piazza San Pietro quando ci fu l’elezione. Ma ho anche un ricordo brutto: quando il consiglio comunale non riuscì a esprimere solidarietà al Papa dopo la vicenda della Sapienza”'.
Alemanno, infine, raccontando la fin qui breve esperienza da Sindaco, ha detto che “'questa città sta cercando un'identità profonda che non può essere costruita nella ipocrisia sociale, non ci può essere integrazione senza un baricentro in cui far sentire l'anima di Roma”'. “'Lunedì aprirò il consiglio comunale e in quell'occasione inviterò il Pontefice in Campidoglio per cancellare l'offesa ricevuta all'apertura dell'Anno accademico della Sapienza”', ha poi annunciato Alemanno, che ha parlato di ''un'offesa ricevuta dal Papa a cui l'allora consiglio comunale non riuscì a trovare una maggioranza per dare la più elementare solidarietà”.
Come al solito il coordinamento dei collettivi studenteschi della Sapienza si oppone, continuando a difendere l’ignobile gazzarra camuffata da difesa al oltranza della “laicità della scienza”: «Una provocazione inutile e strumentale» tuonano. «Il sindaco Alemanno è libero di invitare in Campidoglio chiunque voglia: ma troviamo inaccettabile che Alemanno leghi il suo invito a un fatto che non ha niente a che fare con il Comune, facendo passare gli studenti contestatori come dei facinorosi che offesero il pontefice. Tutto ciò che rivendicammo era la laicità dell’università e il diritto democratico di dissentire». Critiche alle affermazione di Alemanno arrivano anche dagli studenti della Rete per l´Autoformazione, che in una nota precisano che «le affermazioni provocatorie del primo cittadino non sono altro che un modo per demonizzare i collettivi studenteschi e i docenti che si opposero alla visita di Ratzinger». Una posizione facilmente prevedibile.
Del resto sembra che questi “collettivi” non abbiamo nient’altro di meglio da fare. Sapevo che l’università era la cattedrale del sapere, dell’educazione, della civiltà, dell’apertura mentale… ma oggi invece, scusate, si ha l’impressione che sia ridotta a punto di convergenza di prepotenti ignoranti, imbottiti di slogan e di luoghi comuni, purché “rivoluzionari”, che hanno come risultato concreto quello di dimostrare alla società la loro pochezza intellettuale di nullafacenti.

Gay Pride, la sinistra contro Mara Carfagna

Il ministro per le Pari opportunità nega il patrocinio alla sfilata: "Il governo non può sostenere i Dico". La lobby omosessuale si scatena con sparate e insulti insieme a Prc e Comunisti. Pd spaccato, la Franco attacca mentre Follini è cauto...
Il popolo omosessuale è compatto contro Mara Carfagna. Il neoministro per le Pari opportunità annuncia che non darà il patrocinio al Gay Pride nazionale, in programma a Bologna il 28 giugno, e contro di lei si scatena la moltitudine dei «diversamente orientati», più una nutrita rappresentanza dell’opposizione.
«L’omosessualità non è più un problema - dice la Carfagna al Corriere della Sera - oggi l’integrazione nella società esiste. I miei amici gay non mi descrivono una realtà così tetra nel nostro Paese, ma se l’unico obiettivo del Gay Pride è arrivare al riconoscimento ufficiale delle coppie omosessuali, non posso essere d’accordo. Sono pronta ad agire su casi concreti, però sono molti altri i problemi di pari opportunità: donne, disabili, anziani, bambini».
Una dichiarazione che dimostra, per il presidente nazionale di Arcigay, che il ministro vive «nel mondo delle favole». Aurelio Mancuso fa un mix di fiabe e paragona la Carfagna alla matrigna di Cenerentola, augurandosi «che un principe la baci e la svegli», come la Bella Addormentata. A questo punto, dice, Silvio Berlusconi deve chiarire la linea del governo. Le «battutacce da bar» del ministro, attacca il leader storico dell’Arcigay Franco Grillini, confermano «quanto la destra italiana sia omofoba e non ami la diversità». Manuela Palermi del Pdci accosta le discriminazioni del gay ai campi nomadi bruciati e ammonisce: «Il nazismo cominciò così». E Vladimir Luxuria, ex deputata indipendente del Prc, accusa la Carfagna di guidare «un ministero inutile che di fatto non ci rappresenta».
La titolare per le Pari opportunità reagisce, ribadendo al «signor Vladimiro Guadagno» che il suo ministero ha come priorità i problemi di chi «è veramente discriminato»: donne lavoratrici e madri, minori, anziani e portatori di handicap. E non si deve confondere «con l’ufficio stampa e propaganda del movimento lgbt». Dove la sigla sta per lesbiche, gay, bisex e transessuali. Luxuria non si arrende, e il botta e risposta prosegue: «Visto che sembra non vivere in questo mondo, la invito a scambiare innocenti effusioni sentimentali con un’altra donna in pubblico per rendersi conto che l’omosessualità continuerà a essere un problema finché è la società a crearci problemi». Barbara Pollastrini, che sedeva al posto della Carfagna nel governo Prodi, la avverte: «Contrapporre diritto a diritto, dovere a dovere è quanto di più miope e ingannevole possa fare la politica».
Non sarà che la formula della kermesse dell’orgoglio omosex è vecchia e inefficace? Se lo chiede Antonio Mazzocchi, presidente dei Cristiano Riformisti del Pdl, a 8 anni dal World Gay Pride fatto a Roma, tra mille polemiche, nell’anno del Giubileo. «Non mi risulta che grazie a questo discutibile strumento siano stati risolti i problemi delle discriminazioni omofobiche. Sarà il caso di dare un’inversione di rotta e finanziare iniziative che si occupino realmente di combattere quelle violenze che colpiscono soprattutto la comunità glbt?». La sigla torna, ormai è nel lessico comune. Il Gay Pride è «una iniziativa censurabile, che non merita il patrocinio del ministero delle Pari opportunità»: concorda con la Carfagna Isabella Bertolini del Pdl. Opposto il parere di Vittoria Franco, ministro-ombra per le Pari opportunità del Pd: «Il Gay Pride non è altro che una giornata di rivendicazione dei diritti delle persone omosessuali, la Carfagna farebbe bene a partecipare». Dicendo no, per Fabio Evangelisti dell’Idv, «in un sol colpo è riuscita a sconfessare il mandato del proprio ministero e i propositi della propria formazione politica». Ma anche nel Pd c’è chi, come Marco Follini, ha qualche dubbio: «Il Gay Pride è un diritto degli omosessuali ma il patrocinio non è un dovere del governo».
Dal suo ex partito, l’Udc, Luca Volontè giudica «stravaganti critiche di sinistra e gay contro la corretta decisione» della Carfagna e le perplessità anche del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, sul «Pride carnevalesco». (Anna Maria Greco, Il Giornale, 20 maggio 2008)

Ripartire dalla famiglia

Il Forum delle Associazioni familiari ha depositato qualcosa come più di un milione di firme di cittadini che chiedono allo Stato italiano una politica più giusta per le famiglie. Noi abbiamo votato PDL perché in campagna elettorale il suo leader si è impegnato formalmente a dare una svolta alla politica italiana proprio in questo settore.
L'Italia è in tremendo ritardo, non è un Paese serio (per dirla alla Travaglio su un argomento di cui a Travaglio non frega proprio un bel niente) e risulta in gravissimo ritardo rispetto, per esempio, a Germania e Francia. Nella prima, le tasse per una famiglia con due figli sono la metà rispetto alle nostre; nella seconda addirittura un ottavo. In Italia metter su famiglia e fare figli è un autentico lusso. Scandaloso. Ma, evidentemente, questo problema non rientra nelle priorità di certi predicatori di piazza che vanno per la maggiore.
Un milione di firme è un grido di popolo. Ma non se ne parla più di tanto La notizia non merita approfondimenti e talk-show televisivi o vaffanculi in piazza. Le famiglie con figli, con i loro gravissimi problemi quotidiani, non fanno scalpore come le associazioni gay che reclamano diritti per minoranze numericamente marginali. Questo è un dato allarmante, il segnale di un'informazione che distorce la realtà del Paese.
Le famiglie hanno lanciato il loro, forte, grido di dolore. Ed ora si aspettano che il Governo le ascolti. E noi ci aspettiamo proprio questo. Non abbiamo mandato al Governo il PDL solo perché colpisca l'immigrazione clandestina e criminale o perché tolga l'ICI sulla prima casa o risolva la questione dei rifiuti a Napoli o faccia il federalismo. Qui c'è un'emergenza vera ed immediata, ed è l'emergenza famiglia, di quella comunità educante che tutti chiamano in causa quando le cose non vanno, ma che nessuno aiuta. Che un single con 30mila euro di reddito sia un benestante e una famiglia con le stesse entrate e tre figli debba sopravvivere, è uno scandalo che non può più essere sopportato. Si deve cominciare dalle deduzioni del costo di mantenimento di ogni familiare a carico, per arrivare al quoziente familiare.
Bisogna ripartire dalla famiglia. Noi vogliamo che l'attuale Governo dia un chiaro segnale. E attenzione, non è tanto e solo un problema economico, ma di cultura. Bisogna far capire agli italiani che lo Stato tiene alla famiglia, valorizza la famiglia, sostiene la famiglia. Ora è possibile, perché le forze al governo del Paese hanno un background culturale che condivide questa impostazione, laddove invece il governo di centrosinistra era in ostaggio di forze che non avevano nessuna volontà di dare il giusto rilievo alla famiglia. Anzi, diciamocelo chiaramente, c'è una vera e propria cultura contro la famiglia tradizionale, come del resto dimostra il fatto che in questo caso i problemi reali della gente non trovano spazio sui mezzi d'informazione.
Noi ci auguriamo che la politica di sostegno alla famiglia ottenga una corsia preferenziale, rientri tra le reali priorità di questo Governo. Se così sarà, il centrodestra avrà fatto il bene del nostro Paese e potrà anche mantenere il consenso dell'elettorato. In caso contrario, sarà l'ennesima occasione buttata al vento, e una grande delusione per chi ha creduto in un progetto davvero innovativo e rivoluzionario.
Intanto ci sono lì quel milione e passa di firme col loro grido di dolore. Non ascoltarlo sarebbe un errore madornale. (Gianluca Zappa, La Cittadella, 17 maggio 2008)

giovedì 15 maggio 2008

Allam: meglio Magdi che Cristiano

Può sembrare un paradosso: ma questa volta non è Umberto Eco, non Gianni Vattimo, non Eugenio Scalfari: in Italia i veri baluardi del relativismo che tanto preoccupa Benedetto XVI e la Cei non sono questi, ma i missionari gesuiti e comboniani, certi docenti dell’Università Cattolica e certe moderne riviste gesuite.
Basta vedere i loro commenti al Battesimo di Magdi Cristiano Allam, vera e propria pietra dello scandalo. A scandalizzarsi, infatti, in nome della sostanziale equivalenza di tutte le religioni, di quel che il Papa ha fatto durante l’ultima veglia pasquale, sono stati proprio i signori suddetti. Leggere per credere.
“Nigrizia”, la principale rivista comboniana, ha dedicato alla conversione di Allam un’intervista col protagonista stesso, mettendo però le mani avanti. «Nei documenti ecclesiali e nelle pratiche missionarie degli ultimi decenni», si legge nell’introduzione, «si possono evidenziare due tendenze: quella che concepisce l’evangelizzazione come un “conquistare a Cristo” le altre fedi (un’iniziativa che dovrebbe risolversi con la loro annessione alla chiesa) e quella che vede, invece, la missione nel contesto dell’orizzonte del Regno di Dio e concepisce l’attività missionaria come un continuo dialogo e confronto, che non prevede né vincitori né vinti [e quindi ognuno al posto suo, con buona pace dell' "andate... predicate... battezzate"! n.d.r.]. I cristiani – i missionari in particolare – sono oggi chiamati ad accettare la coesistenza di fedi differenti non “di malavoglia”, ma di “buon grado”». Quale tendenza prediligano quelli di Nigrizia si capisce bene dal linguaggio e dalle maiuscole che usano: Regno di Dio maiuscolo, Chiesa minuscolo; i termini associati al passaggio da una religione al cristianesimo sono “conquistare”, “annessione”, “vincitori e vinti”; quelli che descrivono la situazione in cui questo passaggio non avviene sono “dialogo”, “confronto”, “Regno di Dio”. Si può immaginare quanto stia loro simpatico Magdi Allam. Viene poi da chiedersi cosa dovrebbero accettare di “buon grado” delle altre religioni i missionari cristiani: il precetto islamico del jihad? La poligamia? I sacrifici umani e la schiavitù femminile dei culti tradizionali africani? La divisione in caste degli indù? La reincarnazione che è negazione della responsabilità individuale presso buddisti e indù?
I gesuiti vanno oltre. Sulla loro rivista “Popoli” (che un tempo si chiamava Popoli e Missione, poi hanno pensato bene di togliere la parola “Missione” dal nome) affidano il commento del battesimo di Magdi Allam a un confratello residente in Siria. «La luna della preoccupazione prioritaria per le libertà di religione e di coscienza – scrive padre Paolo Dall’Oglio – ha offuscato il sole della discrezione caritatevole, del rispetto dei sentimenti dei musulmani e della rinuncia al proselitismo… Sono scoraggiati numerosi sforzi per costruire armonia e amicizia, tanto nei quartieri delle città europee che nei paesi di secolare e pacifica coesistenza islamo-cristiana». Nei paesi di secolare e pacifica coesistenza i-slamo-cristiana come la Siria i cristiani sono scesi dal 30 per cento della popolazione totale del 1970 al 10 di oggi, ma di questo padre Dall’Oglio non appare preoccupato, anzi, in altra parte dell’articolo spiega di essere d’accordo con una madre cristiana siriana sposata a un musulmano che vorrebbe impedire al figlio musulmano di farsi cristiano, come lui desidera. Quel che lo preoccupa è altro: «È difficile sfuggire all’impressione che la sacra bandiera della libertà di coscienza sia utilizzata dall’Occidente come un cavallo di Troia da introdurre nel mondo musulmano al fine di disintegrarlo». Cioè non è la mancata accettazione della libertà di coscienza che disintegra il mondo musulmano in guerre intestine fra sunniti e sciiti, fra islamisti radicali e musulmani tradizionali. No, è tutta colpa di un complotto occidentale volto a introdurre quel principio che in Europa ha posto fine alle guerre di religione e gettato le basi della democrazia. Anche il linguaggio utilizzato da Popoli è interessante: la pubblica fede in Gesù Cristo è luna, meno importante del sole, che coincide col dialogo interreligioso; alla prima è associata la parola “proselitismo”, al secondo le parole “armonia e amicizia”. La superiorità del dialogo fra uguali rispetto all’affermazione dell’unicità di Cristo, secondo l’autore del testo e i suoi amici milanesi, dovrebbe essere addirittura dogmatizzata: «La conversione a Gesù è entrare in una logica di carità che tutto scusa e tutto salva… L’avversione teologica verso le religioni islamica o ebraica o altra potrebbe essere un motivo sufficiente per rinviare il battesimo e, comunque, per non fargli propaganda». Sì, avete letto bene: il prerequisito per il Battesimo non è più la fede in Gesù Cristo, ma la fede nel relativismo religioso.
Sulla stessa falsariga si muove “Aggiornamenti sociali”, altra rivista gesuita. Per commentare e contestualizzare la notizia del Battesimo di Allam con «una meditata riflessione sul tema delle conversioni fra le due grandi religioni monoteiste», il periodico diretto da padre Bartolomeo Sorge si affida niente meno che alla penna di Paolo Branca, docente di lingua araba all’Università Cattolica di Milano che alcuni mesi fa promosse una raccolta di firme di accademici e umanità varia contro Magdi Allam, reo di aver criticato in un suo libro i docenti universitari di islamistica italiani, accusati di una certa ignavia nei confronti degli estremisti islamici. Senza spendere una parola sul suo conflitto di interessi, Branca entra subito nel vivo dell’argomento e, dopo una descrizione dello stato dell’arte, formula giudizi di valore. Il primo è che «il proselitismo è diventato, specie dopo il Concilio Vaticano II, una forma di impegno religioso meno stimato rispetto alla testimonianza… Conoscersi e rispettarsi dovrebbero essere l’obiettivo principale cui tendere». Le conversioni sono legittime ma «è sempre preferibile tenersi al riparo da ogni forma di enfatizzazione, di cui la spettacolarizzazione mediatica è una delle più insidiose». Infine il Battesimo cristiano di un musulmano dovrebbe essere vissuto «come un compimento piuttosto che come una cesura», dovrebbe essere «esempio di una rara ed emblematica doppia fedeltà». Le stilettate contro Allam che ha definito la propria conversione «una svolta radicale» e contro Benedetto XVI che ha creato le condizioni perché il suo Battesimo andasse in mondovisione sono palesi. Il professore non sembra turbato dal fatto che Gesù abbia detto esplicitamente che nessuno può servire due padroni. E nemmeno tenta di spiegare perché il Papa meriti di essere accusato di spettacolarizzazione mediatica insidiosa quando battezza un musulmano, mentre nessuno ha da ridire quando prega alla musulmana dentro una moschea a Instanbul o prega con gli esponenti di altre religioni ad Assisi, e le immagini fanno ugualmente il giro del mondo. Preferisce invece lanciarsi in una spericolata esegesi del passo del Vangelo relativo all’incontro fra Gesù e il centurione romano che chiedeva la guarigione del suo servo, e la cui fede fu lodata da Cristo perché riconosceva che sarebbe bastata la sola parola di Gesù affinché la guarigione avvenisse. Ma secondo Branca il Figlio di Dio lodò piuttosto la discrezione, il rispetto per il diverso e il relativismo culturale di quel soldato di Roma. «Il romano – scrive – presumibilmente avrà percepito il rifiuto degli ebrei di contaminarsi entrando nelle case dei pagani come una sorta di arroganza. Riconoscendo in Gesù una forza salvifica e pur constatando la sua disponibilità a recarsi da lui per curare il servo malato, non volle tuttavia che egli facesse un gesto contrario alla sensibilità del suo popolo e formulò la famosa frase che tanto piacque al Messia e che ancora oggi il cristiano recita al momento di accostarsi all’Eucarestia».
Nel corso dei secoli poteri e contropoteri hanno sempre strumentalizzato la Parola di Dio per piegarla alle proprie preferenze e ai propri interessi. Negli anni Sessanta-Settanta la teologia della liberazione ha cercato di piegare testi come il Magnificat o il discorso della montagna a un’interpretazione politica di tipo socialista e rivoluzionario. Oggi i fautori del relativismo religioso e culturale s’ingegnano di trovare giustificazioni alla loro posizione nei testi evangelici. E contemporaneamente di presentare in una luce negativa chi antepone lo splendore dell’incontro personale con la verità all’ambiguità di un dialogo interreligioso dove uno dei due dialoganti, come ben dice Magdi Allam, «si sottomette e si nega dei diritti e delle libertà» che invece riconosce alla controparte. Di costui diranno che vuole la guerra anziché l’amicizia fra i popoli e che favorisce disegni politici di dominio. Ma la ragione profonda dell’imbarazzo di fronte al Battesimo di Allam non dipende dalle sue opinioni politiche. Il vero motivo è il senso di colpa che Allam risveglia nei fautori del cristianesimo ridotto a sedicente dialogo interreligioso. Allam fa quello che facevano i primi cristiani e che i cristiani relativisti non fanno più: si espone all’ostilità, al rigetto e all’irrisione in nome di Cristo. Di più: affermando con calore la verità della fede, mette allo scoperto la tiepidezza di quei cristiani che sulla questione della verità preferirebbero glissare. Perché, dicono, in realtà tutte le religioni, compresa quella cristiana, non esauriscono la verità. Il che può anche essere vero. Ma diventa una giustificazione per tutta un’altra faccenda: il vergognarsi di Cristo. Però «chi si vergognerà di me davanti agli uomini, anch’io mi vergognerò di lui davanti a Dio». (Rodolfo Casadei, Tempi.it, 13 maggio 2008)

La fabbrica di figli per genitori gay

Fabbricare figli per omosessuali è un grande affare da150mila dollari a bambino e la grande stampa borghese ne fa ampia propaganda. I diritti dei minori passano in secondo piano davanti al dio denaro e ciò che è tecnicamente possibile diventa moralmente lecito.
Il Corriere della Sera di Paolo Mieli una settimana fa ha dedicato due ampie pagine a favore dell'adozione dei bambini ai gay. La morale era che crescere con due genitori gay è meglio. In un articolo venivano sparate cifre ad effetto ("Figli di gay, centomila in Italia"), come ha notato un attento lettore questa cifra "sembrava indicare il numero di bambini cresciuti da coppie gay. Poi, leggendo bene, quei bambini risultano essere per la quasi totalità bambini con un genitore gay, nati in relazioni "normali" poi sfociate in divorzio. Ma ciò non offre alcuna indicazione su chi li cresca veramente". Fonte di queste cifre era l'Arcigay.
Mancando di qualsiasi senso di autoironia, si affermava anche che il pericolo per questi bambini è la famiglia tradizionale, magari sposata in chiesa. Contro cui si deve combattere. Invece loro, i gay, che realizzano i loro sogni grazie alla fecondazione artificiale, alcune volte mettendo su delle "cooperative" di due uomini e due donne omosessuali per crescere figli, li allevano meglio. Addirittura dicono di voler tutelare i loro diritti (dei bambini) con una associazione.
Ma come funziona la fabbrica di figli per gay? L'Agenzia France Presse, in un altro pezzo di propaganda, ci descrive come una coppia omosessuale, Michael Eidelman e A.J. Vincent, ha "investito amore, tempo e 150.000 dollari" per mettere su famiglia. Ognuno dei due uomini è padre biologico di un individuo di una coppia di gemelli. Questi sono stati concepiti grazie all'acquisto degli ovuli di una donna di Washington. Portati in gravidanza da una donna dell'Ohio, i bambini sono nati a Los Angeles dove la legislazione è molto permissiva.
Per arrivare a questo risultato, i due uomini sono ricorsi a Circle Surrogacy, una agenzia del Massachussetts. Senza alcuna vergogna, il presidente di Circle Surrogacy, John Weltman, riconosce che questo "è un affare molto proficuo". Infatti, aggiunge che "la nostra crescita in 12 anni è stata del 6.000%. Noi contiamo di raddoppiare i nostri profitti nei prossimi due anni e mezzo". La sua agenzia ha cominciato con il 10% di clienti omosessuali, che sono ora l'80% provenienti da 29 Paesi.
Il ricorso a quest'agenzie (ne esistono diverse, in particolare Northeast Assisted Fertility Group, a Boston) costa almeno 100.000 dollari : la "madre in affitto" riceve circa 25.000 dollari e la madre biologica, che fornisce l'ovulo, tra 4.000 e 10.000 dollari, mentre il resto serve a pagare l'agenzia, le spese mediche e legali.
Si assiste così ad un vero e proprio "gay baby boom" grazie alle "madri in affitto", che spesso sono lesbiche (il culmine della perversione). Ma l'inviato della Agezia France Presse si rallegra:
"Il gay baby boom è constatabile nei parchi come negli asili nido: famiglie composte da uno o più bambini e due padri non sorprendono più a New York, dove il matrimonio omosessuale tuttavia è impossibile".La conclusione del pezzo è che dunque urgente legalizzare questa pratica perchè ci siano ancora più coppie che possano diventare padri comprando bambini fabbricati senza madre per centomila dollari. In una società normale questo sarebbe chiamato "crimine contro l'umanità". (Stranocristiano, Cattolico pensiero, 12 maggio 2008)

giovedì 8 maggio 2008

Un innocuo sapore di fragola: il sesso a scuola


Il sesso “chiedi e gusta” spiegato ai ragazzini delle scuole medie coi soldi del contribuente. Tra esempi con Rocco Siffredi, scrupoli sulle dimensioni, vagine di plastica e risposte di gomma.
Strano posto, il territorio della provincia di Milano: se in una famiglia a una bambina capita di ritrovarsi sotto il banco a scuola un disegno pornografico con annessa legenda secondo la quale lei fa sesso a pagamento con suo fratello, quei genitori si vedranno portare via i figli perché non hanno esercitato a dovere la loro responsabilità di adulti. Se invece altri adulti insegnano a dei ragazzini di 13-14 anni come si pratica il sesso orale, spiegano che in caso di gravidanza possono ricorrere all’aborto senza parlare coi loro genitori o che l’età giusta per avere i primi rapporti sessuali è 15-16 anni, a questi adulti non succederà niente di male, anzi: lo Stato li pagherà per il loro lavoro, perché quello che stanno facendo si chiama, proprio così, “educazione sessuale”.
Per carità di patria non facciamo il nome delle scuole. Ma quello della zona sì: la zona 9 di Milano. Lì da alcuni anni nelle scuole medie inferiori viene portato, previa approvazione del singolo istituto su proposta di qualche commissione di docenti, un Progetto di educazione all’affettività dove ai ragazzini viene spiegato tutto ma proprio tutto, tranne l’affettività. Il progetto non è farina del sacco degli insegnanti (benché i lavori delle commissioni, 20 ore all’anno, siano retribuiti a 18-20 euro all’ora coi soldi del fondo di istituto), ma è calato dall’alto dall’Asl locale. Diciamo calato dall’alto perché è difficile definire diversamente un progetto che gli esperti dell’Asl presentano agli insegnanti della commissione che si è rivolta a loro nei seguenti termini: i contenuti sono quelli che vengono esposti e sono insindacabili, non si possono modificare o integrare, si può solo prendere o lasciare; durante le lezioni di dottoresse e psicologi loro, gli insegnanti, dovranno stare fuori dalla porta, affinché i ragazzi siano più liberi di esprimersi; da quest’anno il progetto, che è finanziato all’Asl dalla Regione (le scuole non devono pagare niente), va approvato e attuato non più su base annuale ma triennale: bisogna legarsi mani e piedi per tre anni a quello che l’Asl decide di fare.
Naturalmente le responsabili del progetto invitano anche i genitori dei ragazzi a un incontro di un’ora per presentare loro il lavoro che faranno coi figlioli. Ma pare che tacciano almeno un paio di circostanze: per esempio quella che gli insegnanti sono tassativamente esclusi dalla partecipazione alle lezioni; e per esempio quella che fra le informazioni trasmesse ai ragazzi c’è pure il fatto che possono rivolgersi ai servizi sanitari per interrompere un’eventuale gravidanza senza parlarne coi genitori. Un argomento fieramente dibattuto nei faccia a faccia con gli insegnanti, alcuni dei quali avrebbero obiettato che dire a un 13-14enne che ha facoltà di decidere di abortire senza nessun riferimento all’autorità dei genitori non è propriamente educativo. Significa investirlo di un senso di onnipotenza negativo per la sua crescita e per chi gli sta intorno. Ma quelli della Asl hanno replicato che la legge 194 prevede tale facoltà, che è loro compito informare in maniera completa ed esaustiva i ragazzi, in quanto non è automatico che alle medie superiori verranno correttamente informati, e perché il problema potrebbe presentarsi. La nuda informazione, senza interferenze da parte di giudizi di valore su cosa è giusto o sbagliato, bello o brutto. Tranne uno: che bisogna fare il possibile per evitare di contrarre malattie o gravidanze indesiderate.
Penna, quaderno e profilattico
Questa è la filosofia del Progetto educazione all’affettività. Gli insegnanti non sono ammessi ai corsi, ma i ragazzini parlano, e raccontano come si svolgono le lezioni. Lo spunto è dato dalle loro domande, raccolte per iscritto e in forma anonima in classe prima dell’incontro con la ginecologa. Costei parte dal singolo interrogativo per sviscerare l’intera materia. C’è sempre qualche curiosità circa il sesso orale, che dà la stura a spiegazioni dettagliate sui profilattici: «Per il sesso orale si usano preservativi al gusto di frutta», si sentono dire gli allibiti 13enni, «per il rapporto anale serve un preservativo più resistente, per i rapporti vaginali ne basta uno normale».
I profilattici fanno parte dei sussidi didattici, così come un pene e una vagina artificiali, che vengono fatti passare fra le mani di ragazzi e ragazze. A volte vengono invitati loro stessi ad applicare il coso di gomma sull’organo maschile, a volte fa tutto l’esperta della Asl. «A me non è piaciuto vedere la signora che continuava ad allungare il preservativo e poi ci ficcava le mani dentro», commenta un ragazzino.
Una delle ossessioni degli adolescenti maschi, si sa, è la misura del membro: nelle domande l’argomento torna spesso. «Cosa succede se il membro maschile è molto lungo?», diceva per esempio una domanda. Risposta: «Non succede nulla, la profondità della vagina è sette centimetri, più in là non si va. Anche Rocco Siffredi ha a disposizione solo quello spazio». L’aver evocato il Rocco nazionale ha indotto domande improvvisate sull’argomento: ma come fanno i pornoattori a fare quello che fanno? E per di più senza il profilattico che voi ci state caldamente consigliando? Risposta: «Quello che vedete al cinema è un montaggio di immagini. Nessun rapporto dura così a lungo come fanno vedere. E l’eiaculazione avviene sempre fuori dalla vagina». Un tempo c’era chi bigiava la scuola per frequentare cinema a luci rosse, adesso non c’è più bisogno: vai a lezione ed è quasi la stessa cosa.
Non tutti riferiscono le stesse cose. Secondo alcuni ragazzi il linguaggio è sempre scientifico e rigoroso, secondo altri «non abbiamo mai sentito dire tante parolacce da degli adulti come quel giorno». Le informazioni legali sul diritto all’interruzione di gravidanza non sono state sempre comunicate come era stato preannunciato agli insegnanti, ma solo dicendo che si può legalmente abortire nei primi tre mesi. Ma il paradigma generale è chiaro: dietro l’abito di una comunicazione puramente informativa su base scientifica e legale viene lasciata passare l’idea che in materia di sesso ognuno/a può fare quel che gli/le viene in mente senza porsi domande, se non circa le probabilità di beccarsi una malattia o una gravidanza non desiderata. Nessuno spiega ai ragazzi che quello che si vede nei film non è il modo giusto di vivere la sessualità. Nessuno gli racconta che il sesso è qualcosa di molto più affascinante e complicato di un meccanismo messo in moto da curiosità pruriginose. Sperma e gomma, gomma e sperma: nient’altro. (Rodolfo Casadei, www.tempi.it, 8 maggio 2008)

Una questione di stile

Sull’Avvenire di domenica 3 Maggio ci si interrogava, in un breve articolo non firmato, sulla strana solitudine di Vincenzo Visco: i redditi degli italiani sono infatti finiti su internet e nessuno si è assunto la responsabilità politica dell’iniziativa, quasi che il vice-ministro fosse un uomo senza governo e senza partito. Non è tuttavia la prima volta che qualcosa di simile accade. Anzi…
Si ricorderà il colpo di testa di Fabio Mussi sulla questione del consenso italiano alle ricerche distruttive degli embrioni in Europa, si parlò allora di un’iniziativa unilaterale del ministro, però nessuno si assunse la responsabilità di contraddire tale decisione nei fatti. Chi aveva sentito puzza di imbroglio ebbe conferma dei propri peggiori sospetti quando lesse il secco commento del ministro Bindi: “non ho motivo di dubitare che si tratti di una decisione collegiale”.
Recentissimo è invece il colpo di coda di Livia Turco, che ha atteso proprio le ultime ore del suo mandato per varare le tanto contestate “linee guida applicative della L. 40” che spianano la strada alla soppressione degli embrioni malati o presunti tali. Un provvedimento che contraddice clamorosamente le finalità della legge. Anche in questo caso l’iniziativa è stata assunta dalla titolare di un dicastero senza che si sia sentita una sola parola da parte di altre autorevoli figure del suo governo.
Pesa invero in tali circostanze il silenzio, anzi la completa scomparsa, del presidente del Consiglio uscente. In questi giorni Prodi è però intervenuto all’assemblea radicale di Chianciano dove ha preso la parola per rivendicare i meriti del suo esecutivo, ha parlato tuttavia delle sole questioni economiche quasi che si trattasse di un ministro dell’Economia e non del presidente del Consiglio, responsabile dell’azione di governo in tutti i suoi diversi e molteplici aspetti.
Non ho condiviso (e si sarà capito) del governo Prodi i tentativi di far passare leggi come quelle sui DiCo e sul testamento biologico, il tentativo di assimilare il concetto ambiguo di “discriminazione di genere” alle violenze contro le donne e i minori, per non parlare delle linee guida che stravolgono la L. 40 o delle campagne a favore dei vari tipi di pillola abortiva, ma ancor meno ho condiviso questo “stile”, questo procedere, su temi importanti per il nostro futuro di civiltà, secondo percorsi ben poco limpidi che rispondono probabilmente ai classici canoni di un ipocrita “gioco delle parti”.
Una seria riflessione sulle cause della sconfitta all’interno del centrosinistra non dovrebbe trascurare questi aspetti. (Stefano, La Cittadella, 6 maggio 2008)

Emergenza educativa

Il Papa ha parlato Domenica scorsa di una vera e propria "emergenza educativa" in Italia. A seguire le cronache quotidiane, e in specie quelle degli ultimi giorni, non si può non dargli ragione. Non passa giorno che non si senta parlare di uomini che stuprano giovanissime e finanche bambine, di aggressioni in luogo pubblico, di violenze fra coetanei, di lesioni, torture, uccisioni. E' un bollettino di guerra che fa impressione. Perfino la mia città, di solito piuttosto tranquilla, è salita alla ribalta delle cronache nazionali con i suoi casi di bullismo.
La cosa più ridicola, in questi casi, è sfruttare a fini politici il sangue versato. Come è avvenuto per il caso degli skinheads di Verona, che hanno ammazzato per una sigaretta. La stampa e le forze di sinistra hanno preso la palla al balzo per mettere in guardia contro il "neofascismo". Idiozie. Gli idioti di Verona sono uguali agli idioti che si firmano "la bestie di Satana" o a quelli che alimentano gli squadroni di ultrà allo stadio. Né più e né meno. Sono ragazzotti che in testa non hanno davvero niente, e che hanno bisogno di riempirla di qualcosa.
Qualcosa, che purtroppo, ha a che fare con la violenza.
Il problema è un altro. Cosa c'è nel vissuto di questi ragazzi? Cosa c'è dietro le loro bravate? Vai a vedere e trovi famiglie sfasciate, traumi infantili, sofferenze non rimarginate. Terribili situazioni di solitudine e di abbandono, mancanza di cultura. In genere si tratta di gente che vive ai margini della società, di disadattati, di ragazzi che non hanno una ragione valida per affrontare la fatica dl vivere.
Ne ho conosciuto uno, uno intendo che sarebbe capace di qualche sciocchezza, come quella di Verona. Pessimo rapporto con la scuola, pessimo rapporto con la vita di tutti i giorni, pessimo rapporto con la propria storia e con quella di suo padre, che ha abbandonato la famiglia quando lui è venuto al mondo. Nella mente debole di un ragazzo del genere, possono farsi strada pericolose quanto affascinanti suggestioni. Demonismo, occultismo, mitologie nordiche si mescolano con un nazismo ridotto a slogan istintivi, dentro un calderone che esalta la violenza fine a se stessa. Perché poi va veramente tutto a finire lì, nella voglia di pestare qualcuno, di torturare qualche debole, esattamente come fanno i bulli nelle scuole del Regno.
Questa è gente veramente disperata, poveri disgraziati giovani a cui è mancata la giovinezza. E lo capisci subito, anche perché dietro la maschera del bullo molto spesso riesci ad intravedere il bambino che c'è. Del resto, un ragazzo che vive sulla strada tutti i giorni è quasi predestinato ad essere una vittima dell'idiozia imperante. Le statistiche dicono che invece chi vive e frequenta ambiti positivi (una parrocchia, un oratorio, una comunità ecclesiale, una scuola cattolica), matura i giusti anticorpi, e riesce a produrre una cultura e un impegno con la vita infinitamente più positivi. E' una realtà sotto gli occhi di tutti, piaccia o non piaccia.
Allora, il problema è davvero quello dell'educazione. Il Papa denuncia la mentalità relativistica, edonistica e consumistica. Non denuncia dei soggetti sociali precisi, che sono pure in crisi (famiglia, scuola, istituzioni…), ma una "mentalità", cioè quello che abbiamo nella zucca, che è stato messo nella zucca della gente. L'indifferenza morale delle nostre azioni, la mancanza di una legge naturale uguale per tutti, la convinzione che tanto la verità non esiste e che ognuno può fare come gli pare. Non è stato predicato tutto questo? La ricerca estenuata, continua, corrotta del piacere a tutti i costi. Non è questo che si ripete ogni giorno? E allora chi si stupisce se le ragazzine vanno vestite come prostitute? E come stupirsi se i ragazzini, molto precocemente, desiderano violentarle?
Come stupirsi se giovani educati al tutto e subito si disperano perché la vita non mantiene le promesse, e sfogano la delusione e il risentimento gettandosi in tunnel di disperazione?
Il Papa, che Domenica parlava all'Azione Cattolica, di fronte a una tanto grave emergenza educativa ha invitato coloro che amano la Chiesa ad essere annunciatori instancabili ed educatori "preparati e generosi"; ad essere "testimoni coraggiosi e profeti di radicalità evangelica"; ad "allargare gli spazi della razionalità nel segno di una fede amica dell'intelligenza".
Nel deserto di oggi, oasi di speranza e di felicità autentica, di impegno responsabile ed attivo e di accoglienza, sono quelle realtà comunitarie create da coloro che amano Cristo e la Chiesa. La salvezza del mondo attuale è ancora una volta affidata a quei figli della Chiesa che con abnegazione s'impegnano a creare realtà nelle quali Cristo è presente ed operante, e trasforma i cuori e canalizza le energie e la creatività verso le opere buone.
E' uno sforzo immane, nel relativismo e nell'edonismo imperante, affidato a gente semplice che fa dono, a volte oltre le proprie forze, di quel poco che sa dare.
Magari è gente che non entrerà mai nella lista ufficiale dei potenti di questo mondo. Ma la vera potenza è proprio nelle loro mani. (Gianluca Zappa, La Cittadella, 7 maggio 2008)

Giullari alla corte di Santoro

Nella rubrica della settimana scorsa ho assegnato un “Castrone d’oro” con faccia di bronzo e coda di paglia al noto architetto Massimiliano Fuksas; devo estendere questo riconoscimento, limitato al secondo grado, quello di “Castrone d’argento”, anche ai giornalisti Michele Santoro, Aldo Cazzullo, Filippo Facci e Marco Travaglio (ignoranti, ma, in quanto giornalisti, sono scusati); alla presentatrice Beatrice Borromeo (ignorante, ma assolta ex officio per la sua grazia muliebre); al ministro Antonio Di Pietro (ignorante, come ognuno sa da tempo); al professor Giovanni Sartori e al disegnatore Vauro (ignoranti, e fa meraviglia per il loro essere toscani: anche se almeno in parte ce lo saremmo aspettato, perché Sartori di sciocchezze puntualmente smentite dallo svolgersi dei fatti ci sta inondando da anni). Quanto sopra lo abbiamo potuto accertare assistendo ad Annozero del 17 aprile scorso: nel corso della trasmissione, come forse ricorderete, l’esimio architetto fu autore di una sparata contro tutto e contro tutti. È partito con Berlusconi, accusato di essere ignorante in quanto autore di una citazione su Cesare sbagliata: naturalmente quella di Berlusconi era giusta, e sbagliate erano le farneticazioni di Fuksas. Poi se l’è presa con gli italiani tutti, ignoranti senza eccezioni e violenti.
Nell’assistere a questo spettacolo inverecondo mi sono chiesto: quel tale col viso segnato da due sopracciglia cespugliose, completamente pelato, dall’espressione belluina di cosacco incazzato, di nome Fuksas, era lo stesso Fuksas da me conosciuto nel ’68, quando predicava il libretto di Mao, l’egualitarismo, il potere salvifico della violenza e la palingenesi rivoluzionaria, e che ora ha studi in alcune delle principali città del mondo? Lo stesso che fece battaglie per l’esame politico, e con gli esami politici probabilmente ha strappato una laurea, e che in complicità con Rutelli ha fatto un progetto per il Palazzo dei congressi di Roma fermo da anni perché irrealizzabile? E che ultimamente, convocato da Santoro, si è impancato a giudice delle cose italiane e maestro di vita? Forse sta sfruttando, per farsi una platea, l’antica complicità con l’attuale presidente della Rai, Petruccioli? Il “Castrone d’oro”, non alla carriera, ma a un’intera vita. Come gli stanno bene la faccia di bronzo e la coda di paglia. Quanto agli altri, il silenzio figlio dell’ignoranza non vale più di un “Castrone d’argento”. Se questa non è ecologia naturale, non potete negare che si tratti di ecologia umana. (Paolo Togni, Tempi.it, 8 maggio 2008)

Il becchino Travaglio sotto la Mole Antonelliana

L’altro giorno, per riposarsi, il torinese Marco Travaglio ha scritto il milionesimo articolo contro Giuliano Ferrara. Non riesce proprio a sopportare che Ferrara sia considerato «intelligente» mentre lui solo una fotocopiatrice di verbali. La tesi, raffinata, è sempre quella: Ferrara è grasso, è un perdente, dove passa lui i candidati stramazzano, i giornali stentano, le battaglie pure. Ecco: a parte la sciatteria del metodo (se sostenessimo solo battaglie vincenti sai che bel mondo) ora provate ad applicare lo stesso metro a Travaglio medesimo. È passato dal Giornale alla Voce: la Voce ha chiuso. È passato al Borghese: il Borghese ha chiuso. È andato da Luttazzi: gli hanno chiuso il programma. Ha promosso Raiot della Guzzanti: non è mai andata in onda, e lo stesso vale per i programmi di Oliviero Beha e Massimo Fini. Ha sostenuto Santoro: Santoro è mancato dalla tv per il periodo più lungo della sua vita. Ha sostenuto la candidatura di Caselli all’Antimafia: hanno fatto una legge apposta per non farcelo andare. Ha sostenuto Woodcock: plof. Ha sostenuto la Forleo e De Magistris: una tragedia. Ora tremano in due: Beppe Grillo (già in discesa nei sondaggi) e il direttore dell’Unità Antonio Padellaro: Travaglio, infatti, è andato al V-day e ha protestato contro i fondi pubblici elargiti anche all’Unità, quelli che pagano i suoi articoli. Prossima battaglia: contro i torinesi che portano gramo. (Filippo Facci, Il Giornale, 6 maggio 2008)

giovedì 1 maggio 2008

La risposta di una mamma: quando l’amore per i figli ti illumina la vita.

Ho letto un commento all’articolo della Roccella, postato più sotto. Mi ha commosso e ho deciso di riportarlo. Grazie a Dio esistono ancora persone che credono e vivono per Dio, per la famiglia, per i figli. È la più grande benedizione per la nostra povera Italia.
«Gentile Signora Roccella, la seguo da tempo e sono rincuorata che ci siano donne come lei che si spendono nelle fatiche delle discussioni al femminile, temi roventi spesso trattati da donne chiuse ad ogni dialogo. L'ammiro per la sua voglia di continuare a discuterne, anche di fronte alle più rigide e fredde che il panorama complesso della Italia sinistra ci ha proposto. Mi sento coinvolta nella storia che ci racconta oggi, trascinata nella tristezza di Sandra soprattutto da quella cifra, 1300 euro al mese. Sono sposata da 9 anni, felici, pieni di amore e mi auguro di finire i nostri giorni mano nella mano. Mio marito ed io siamo stati benedetti dal Signore con l'arrivo di tre figli, la maggiore ha ora 7 anni, poi 4 anni la mediana e 18 mesi l'ultimo, un sorprendente regalo per il mio compleanno dei 40 anni che ci hanno spedito da lassu'. Ecco, tornando alla cifra, quando ci siamo sposati, nel 1999, mio marito aveva appena dovuto cambiare lavoro passando da dirigente a dipendente precario a causa del divorzio tardivo dei suoi genitori che avevano smembrato l'azienda di famiglia. Lui, per continuare insieme il nostro progetto di vita in comune, il nostro sogno, per potersi sposare, accetto' un lavoro di notte in una azienda che lo prese 'in prova', sempre in prova di mese in mese, senza un contratto di lavoro. Telefonai io al principale pochi giorni prima del matrimonio e lui casco' dalle nuvole meravigliandosi che la posizione del mio allora futuro marito non fosse ancora regolare. Arrivammo insieme al sagrato della Chiesa dove ci sposammo e subito prima della cerimonia il principale, che ora gli vuole bene come un figlio, mi mise in mano il contratto di lavoro firmato. Ci sposammo con quel contratto nella tasca del vestito da sposo. Era uno stipendio di 1100 euro al mese, e io ero precaria, talmente precaria, come solo i precari della ricerca universitaria possono essere, che, sebbene abbia speso fino all'ultima goccia di sudore per tenere dietro a tutti gli impegni che il mio capo-barone mi chiedeva, onorandoli tutti con successo, via via che nascevano i nostri bimbi i miei incarichi calavano tristemente. Ho onorato un incarico di insegnamento a Bologna, noi viviamo a Firenze, per 2 anni, portando di corsa le bimbe all'asilo e scaraventandomi su un intercity, il primo anno mentre aspettavo il nostro terzo bimbo, facendo esami col pancione di 6 mesi, e l'anno dopo lasciando il piccolo a mia madre e partendo in treno col tiralatte in borsa. Ecco, tutto questo partendo da quei 1100 euro al mese. Adesso sono aumentati, mio marito con la sua bravura ha ottenuto la promozione al turno di giorno, e io non ho piu' incarichi universitari. Ho pero' una famiglia meravigliosa e spendo cosi' volentieri le miei risorse umane per loro, per la loro crescita. Perche' i figli sono un impegno per la vita, ogni età con le sue esigenze, le sue sfide, difficile il lavoro dei genitori. Ma meraviglioso. A Sandra dico: parlane con tua mamma. Se lei avesse ragionato come te tu non ci saresti, ha il diritto di sapere secondo me. Ne vale davvero la pena cara, è una parte di te, forse la tua occasione per vedere il bello della vita, oltre che il brutto, non buttarlo via. Coraggio, non sarete soli con il vostro bimbo, ci saranno i vostri genitori, il ginecologo, l'ostetrica, e poi il pediatra, perfino l'ortolana puo' essere di conforto. Non pensare di essere sola, quando si diventa mamma si possono scoprire nuove amicizie, persone che ti stanno vicino in modo da sorprenderti, l'importante a chiedere. Chiedi, bussa, vedrai che ti sara' aperto. Un bacio grande, Anna». (Il Giornale, 1 maggio 2008)

Ma essere madre non è un lusso

«Egregio Presidente, tra due settimane abortirò». Inizia così, senza troppi giri di parole, la lettera di una giovane donna al Presidente Napolitano. L'autrice non è la classica immigrata senza una famiglia alle spalle e con il terrore di perdere il lavoro, non appartiene alla categoria delle disperate senza nessuno a cui chiedere una briciola di solidarietà. Nell'intervista, pubblicata ieri da Repubblica, appare una trentenne come tante, con un marito e un'occupazione, benché precaria e poco redditizia, e con una madre che sarebbe felice di diventare nonna e di aiutarla, se solo sapesse. Ma Sandra (il nome è quello, fittizio, che le ha assegnato la giornalista) non glielo vuole dire, perché lei e il marito hanno già deciso. 1300 euro al mese non bastano in due, figuriamoci in tre, e infatti, spiega Sandra, se un'assistente sociale dovesse selezionare dei genitori adottivi, non sceglierebbe mai una coppia con un lavoro precario e uno stipendio a malapena sufficiente. La lettera, più che una concreta richiesta d'aiuto, «è uno sfogo, un gesto di disperazione e di impotenza»; perché Sandra ha dei dubbi, trabocca di rabbia, vorrebbe e non vorrebbe, è un groviglio di sentimenti forti e contrastanti. Per suo figlio ha sognato un futuro più rassicurante, e anche per sé forse sogna di ottenere qualcosa di meglio, e non ha rinunciato a provarci, o almeno a sperarci. Che dire, di fronte a una lettera come questa, contraddittoria e aspra, retorica e insieme onesta, senza pudore e però anche impregnata di un dolore vero? A Sandra, dalle colonne di un giornale non si può dire nulla. Ci vorrebbe il calore di un discorso intimo, un'amica, o quella mamma che lei vuole escludere dalla decisione, forse proprio perché teme di essere convinta. Ci vorrebbe un incontro, magari con una delle volontarie dei Centri di Aiuto alla Vita; forse aiuterebbe persino rivedere la puntata di Sex and the City in cui Miranda, la più fredda e razionale tra le protagoniste, scappa dalla clinica in cui dovrebbe abortire, perché improvvisamente le è chiaro che quello è il «suo» bambino, la «sua» occasione di essere madre.
Ma la rabbia di Sandra chiede anche una concreta risposta politica. Perché la maternità in Italia è diventata un lusso privato, un desiderio che si paga tutto in prima persona, come se un figlio non fosse un bene prezioso per la società. Un Paese con un indice di natalità così basso è un Paese in sofferenza, che si accartoccia su se stesso; l'invecchiamento della popolazione vuol dire che ci sono in circolo meno idee nuove, meno gusto per il rischio e l'avventura, meno energie fresche, meno conoscenze all'avanguardia. Vuol dire ripiegamento, tendenza a privilegiare la rendita e la sicurezza, meno lavoro, meno consumi e meno investimenti. Vuol dire non avere uno sguardo proiettato sul futuro, sul nuovo, sulla vita che continua e va avanti. Il desiderio di maternità, tra le donne italiane, è rimasto quello di trent'anni fa: poi però, i figli non si fanno, perché non hai la casa, perché ti licenziano appena sanno che aspetti un bambino, perché quando raggiungi una certa sicurezza economica l'età giusta è passata. «In altri Paesi le coppie vengono aiutate, qui si parla tanto di baby bonus ma poi nei fatti non succede niente», si lamenta Sandra nell'intervista. Non so se il bonus per i nuovi nati promesso da Berlusconi sarebbe sufficiente ad aiutare Sandra a tenere il suo bambino, ma certo è necessario dare corpo alle speranze, e il sostegno alla maternità e alle famiglie è il primo obiettivo che il nuovo governo si dovrà porre.
(Eugenia Roccella, Il Giornale, 1 maggio 2008)

Il Grillo miliardario ora fa l’indignato: le lacrime del coccodrillo.

Nella sua Genova direbbero che «o meize de ciòule o ven pe tutti». Il periodo delle cipolle (e quindi delle lacrime) viene per tutti. Anche per Beppe Grillo, più abituato a sudare che a piangere. Per mandare in crisi il governo ombriciattola di Savonarola è bastato poco: giusto l’ennesimo intervento sul sito. Che stavolta però ha raccolto ben pochi proseliti tra gli adepti dei «vaffa» e che rischia di diventare un boomerang tra quanti già contestavano al comico l’invito all’astensione in occasione delle elezioni politiche.
Tutto nasce dalla presenza del reddito di Grillo nella tabella pubblicata da Italia Oggi: nel 2005, nelle sue tasche sono finiti 4.272.591 euro. Come Maurizio Costanzo, il triplo di Caltagirone, più di quanto dichiarato da Santo e Donatella Versace insieme. Vuoi per l’attenzione molto zeneize alle palanche, vuoi per un’improvvisa passione per la privacy dopo mesi di strali contro i truffatori, fatto sta che Grillo si indigna: «È una follia. Dopo l’indulto, questo ex governo di imbelli, presuntuosi e deficienti fornisce ai criminali le informazioni sul reddito dei contribuenti. Pagare le tasse così è troppo pericoloso, meglio una condanna per evasione fiscale. Scriviamo a Tremonti perché ristabilisca le regole».
Insomma, fuoco e fiamme contro l’operazione trasparenza, tacciata di fomentare «odi familiari», «rapine in villa» e racket. Fuoco e fiamme spente tuttavia dai suoi discepoli, allibiti, delusi o adirati. «La mafia non ha bisogno di internet - scrive Stefano Alimonti -. Caro Beppe, hai qualcosa da nascondere? ». E ancora Fabio: «Devi fare il bastian contrario anche quando ci sono aperture sulla trasparenza? La gente poi si stanca. Anche di te». E Francesco: «Vogliamo la libertà di informazione? Questa era la volta giusta. Hai sbagliato». Quel che secca ai grillini è che da lui, censore del malcostume, ci si aspettava un plauso all’apertura. Invece, ecco che Grillo si avvita sul suo livore e strepita. E stupisce anche i più affezionati, come Mauro: «Io ho partecipato ai V-Day e che Grillo guadagni 4 milioni non mi tocca. Ma non capisco questa rabbia quando la maggioranza degli italiani non ha nulla da temere». C’è chi rilancia e chiede di «allungare» la lista di Visco, chi chiede al comico un prestito, chi lo prega di dare «una risposta più riflessiva».
Il clima che si respira è ben teso e i commenti negativi si moltiplicano. C’è il caustico Leonardo Perazza: «Sputtanato in pieno! Sei peggio di Wanna Marchi, ecco qual era lo scopo delle tue chiacchiere». E c’è Mauro, lo scolaro che supera il maestro: «Sì alle dichiarazioni pubbliche! Facciamoci il V-Day 3, anche contro Grillo, se lui non è d’accordo!». Perché a Genova dicono pure «sciuscià e sciorbì no se pêu». Soffiare e succhiare non si può. Come non si può fondare un blog al grido di «Internet è la nostra unica speranza» e poi indignarsi se in rete ci finiscono i propri guadagni. Non è che la trasparenza è diventata di parte come i giornalisti? (Marco Zucchetti, 1 maggio 2008). D’altra parte i castelli che nascono sulla sabbia sono destinati a franare inesorabilmente.
Ma chi è veramente il Grillo urlante?
Ce lo tratteggia su “Il Giornale” un suo amico d’infanzia, co-animatore di “merende giovanili” .
«Beppe Grillo? Un falso difensore dell’uomo comune, che gli assicura un business da 4 milioni di euro… Queste righe sono dedicate alla decodificazione di alcune balle su Beppe Grillo e di Beppe Grillo. Anzitutto delle precisazioni. Come già detto, Giuseppe Piero Grillo non ha solo fruito due volte di un condono fiscale tombale, ma anche di un condono edilizio nella sua villa di Sant’Ilario. Come poi si è visto, sua la pretesa di impedire la candidatura di chi abbia avuto delle condanne penali in giudicato: regola che non esiste in nessun Paese del mondo, e che precluderebbe ogni candidatura, quella dello stesso Beppe Grillo, che è pregiudicato per omicidio colposo plurimo.
A questa condanna, va aggiunto un patteggiamento per aver definito Rita Levi Montalcini «vecchia p...» in un suo spettacolo del 2001: dovette pagare 8400 euro e la causa civile è ancora in corso, anche perché Grillo sostenne che la scienziata ottenne il Nobel grazie a un’azienda farmaceutica. A proposito dei referendum promossi dalle piazze grillesche, invece, vediamo che anche il promotore Antonio Di Pietro invoca che un parlamentare non resti tale per più di due mandati: ma non ha detto che lui, di mandati, ne ha già collezionati cinque, per un totale di anni 11. Anche Marco Travaglio, venerdì, ha tuonato contro i finanziamenti pubblici all’editoria: ma non ha detto che il suo giornale, l’Unità, percepisce più contributi di tutti, e non «come tutti i giornali italiani» (parole sue, rivolte alla folla beona del V-day), bensì nella modalità assai più danarosa riservata alla stampa politica; dalla Rai all’Unità, insomma, Travaglio è pagato coi soldi dei contribuenti. Per chiudere con la manifestazione di venerdì: Piazza San Carlo è grande 168 per 76 metri, dunque 12.768 metri quadri che moltiplicati per 3 (tre persone ogni metro, e sono già tante) dà 38.304 persone totali, non 120mila come dal blog di Grillo: «Eravamo in 120.000. Chi era presente lo sa e anche chi non c’era può informarsi in Rete».
Il Grillo censore
Grillo non a caso riconosce solo la rete, per quanto la cosa, nel tempo, si sia configurata come un’ossessiva paura del confronto. Interviste non ne rilascia, ed è nota l’esperienza del giornalista Sandro Gilioli: nel gennaio scorso si mise d’accordo col comico per un’intervista di quattro pagine, ma poi si vide respingere le domande perché definite «offensive e indegne»: tuttavia, una volta rese pubbliche, si sono rivelate del tutto ordinarie.
Poi c’è il capitolo libri: Grillo, semplicemente, è solito bloccare qualsiasi volume che lo riguardi. Nel 2003 fece diffidare e bloccare «Grillo da ridere» di Kaos edizioni, biografia a lui favorevole: la scusa fu che conteneva un’eccedenza di testi dei suoi spettacoli. Nel 2007 invece ha diffidato e bloccato «Chi ha paura di Beppe Grillo?» di Emilio Targia, Edoardo Fleischner e Federica De Maria, scritto per Longanesi: tre studiosi che hanno seguito Grillo per anni; aggiornato due volte, Longanesi infine ha lasciato perdere per non avere grane. Il libro, dopo che per analoghi motivi era stato rifiutato da ben 23 editori, è uscito infine per Selene edizioni giusto in questi giorni. La biografia «Beppe Grillo» uscita infine per Aliberti, e scritta da Paolo Crecchi e Giorgio Rinaldi, è nelle librerie dal novembre scorso nonostante le minacce fatte recapitare da Grillo, ai due autori, a mezzo del giornalista della Stampa Ferruccio Sansa, figlio del suo dirimpettaio Adriano. Tutte le cause, infine, per risparmiare, sono promosse dallo studio legale del figlio di suo fratello Andrea. Va anche detto che l’atteggiamento di Grillo, casta di se stesso, probabilmente non è solo ascrivibile alla preservazione di un culto della propria personalità: semplicemente, vuole essere l’unico a guadagnare col proprio nome. Il blog che non lo è Sotto questo profilo, la definizione corretta del suo celebre blog, aperto il 26 gennaio 2006, è «sito commerciale»: come tale è infatti classificato. I numeri parlano chiaro: un anno prima del blog, nel 2004, Grillo ha fatturato 2.133.720 euro; nel 2006, due anni dopo, ne ha fatturati 4.272.591. La politica del Vaffanculo sta rendendo bene. Nel citato «Chi ha paura di Beppe Grillo», i tre autori hanno monitorato il sito per tre anni osservando come Grillo, spesso con la scusa della battaglia per la democrazia e il finanziamento dei V-day, venda ogni genere di gadget: video del V-day, dvd dello spettacolo Reset, libro «Tutte le battaglie di Grillo», eccetera. Anche i circolini politici rendono: chi vuole aprire un fan club deve pagare 19 dollari per un mese (dollari, perché la piattaforma è negli Usa) che sono scontati a 72 per chi prenota un semestre. Per ora i circoli sono poco più di 500, ed è già un bel rendere.
Il moralista
Solo alla rete e a Grillo, dunque, dovremmo affidare le verità su Grillo. Tipo questa: «Ho avuto una Ferrari, ma l’ho venduta». Fine. Salvo scoprire, certo non sulla rete, che di Ferrari ne ha avute due, più Porsche, Maserati, Chevrolet Blazer, eccetera. Oppure, sempre parole sue: «Ho due case, una a Genova e una in Toscana». Fine. Salvo scoprire, certo non sulla rete, che una in effetti è a Bibbona, Livorno, 380 metri quadri e 5.600 metri quadri di terreno; ma risulta intestato a lui anche l’appartamento di Rimini dove stava con l’ex moglie, senza contare che la Gestimar, la sua società immobiliare gestita dal fratello, possiede i tre appartamenti a Marinelledda, una villa a Porto Cervo, due locali più garage a Genova Nervi e infine un esercizio commerciale a Caselle, oltreché un garage in Val d’Aosta. Oppure, ancora: «Ho avuto la barca, ma l’ho venduta». Salvo scoprire, certo non sulla rete, che di barche ne avute diverse; una forse l’avrà anche venduta, ma il panfilo «Jao II» di 12 metri, in realtà, risulta affondato alla Maddalena il 5 agosto 1997. C’erano a bordo anche Corrado Tedeschi (che oggi odia Grillo pubblicamente) con la sua compagna Corinne. La barca finì su una secca peraltro segnalatissima, e fu salvato dalla barca dei Rusconi, gli editori. Grillo fu indagato per naufragio colposo, procedimento archiviato. Un’altra volta, il 29 maggio 2001, riuscì nell’impresa si insabbiare un gommone nel profondissimo mar Ligure, alla foce del Magra: con lui c’era Gino Paoli, fu una giornata senza fine. Del condono tombale chiesto e ottenuto per due anni e per due volte dalla citata Gestimar, dal 1997 al 2002, diamo conto velocemente. Fu certo lecito, ma non obbligatorio. Il problema è che era esattamente il genere di condono contro il quale Grillo si era scagliato più volte, e in particolare con una lettera indirizzata al direttore di Repubblica risalente al giugno 2004. Se vorrà ne riparlerà Grillo medesimo, tra un vaffanculo e l’altro.»